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COMUNISMO CINESE

Taiwan e Cina, storia di due visite, due pesi e due misure

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In questa settimana, la presidente di Taiwan, Tsai Ing-wen, ha visitato gli Stati Uniti quasi di nascosto, dove ha comunque incontrato il presidente della Camera, Kevin McCarthy. Minacce da parte di Pechino. In compenso, il suo predecessore Ma Ying-jeou è andato in visita in Cina, accolto in pompa magna, a parlare di unità dei cinesi. 

Esteri 07_04_2023
Tsai Ing-wen e Kevin McCarthy

In questa settimana, la presidente di Taiwan, Tsai Ing-wen, ha visitato gli Stati Uniti quasi di nascosto. Nonostante la visita fosse non ufficiale, ha incontrato il nuovo presidente della Camera, il repubblicano Kevin McCarthy nell’ultimo giorno del programma, in California. La Cina ha minacciato rappresaglie, prima, durante e dopo il viaggio della presidente taiwanese. La settimana prima, tuttavia, il predecessore di Tsai Ing-wen, l’ex presidente Ma Ying-jeou, ha visitato la Cina, accolto con tutti gli onori ed ha parlato in pubblico, con grande copertura mediatica. Questo doppiopesismo dice tutto dei rapporti fra Cina continentale e la Cina democratica, cioè Taiwan.

La contestatissima (dalla Cina) tournée nordamericana di Tsai Ing-wen è stata incastrata fra le visite ufficiali a Guatemala e Belize, due Stati dell’America latina che riconoscono ufficialmente Taiwan. All’andata, prima di andare in Sud America, la presidente taiwanese ha fatto tappa a New York, teoricamente una sosta tecnica. Qui è stata premiata, in un evento a porte chiuse, dall’Hudson Institute. La discrezione è stata massima: persino nella locandina dell’evento il nome Tsai Ing-wen era stato omesso. Si parlava solo di: “un ospite speciale”. La tappa a New York è stata anche l’occasione per l’incontro con una delegazione bipartisan di senatori americani. Hanno promesso di intensificare i rapporti commerciali, di non abbandonare l’isola democratica, di non far mancare l’aiuto in caso di invasione cinese. Nessuno, chiaramente, voleva la guerra, dunque nessuno (nonostante qualche notizia sbagliata uscita inizialmente) ha promesso di riconoscere l’indipendenza di Taiwan. Tutti, però, di entrambi i partiti, hanno ribadito l’impegno americano a difendere l’isola in caso di aggressione militare.

Al ritorno dal suo giro in America latina, la Tsai è atterrata a Los Angeles. Anche qui, in teoria, nulla di ufficiale: solo un’altra sosta tecnica. In California ha incontrato Kevin McCarthy. Inizialmente il presidente repubblicano della Camera si era offerto per una sua visita all’isola. Ma dopo l’escalation militare che era seguita alla visita di Nancy Pelosi, suo predecessore, è stato lo stesso governo di Taipei a sconsigliarlo. Più che i contenuti dell’incontro, è il simbolo ad essere importante: si è trattato del meeting di più alto profilo per un presidente taiwanese in terra americana. E, dal punto di vista statunitense, è la dimostrazione che il sostegno alla causa taiwanese è realmente bipartisan, riguarda sia la Democratica Nancy Pelosi che il Repubblicano McCarthy.

La Cina ha minacciato molto, ma fatto meno del previsto. Probabilmente per evitare una crisi di immagine, considerando che Emmanuel Macron e Ursula von der Leyen sono in visita a Pechino proprio in questi stessi giorni. La prudenza di incontrare McCarthy negli Usa e non a Taiwan, ha sicuramente abbassato il livello dello scontro. La Cina ha però molti strumenti non militari a sua disposizione per fare pressione in modo meno eclatante. Ad esempio ha annunciato un’operazione di ispezione di massa delle navi che attraversano lo Stretto di Taiwan, condotta dalla Guardia Costiera. Pur non muovendo direttamente la sua marina militare, Pechino sta ostacolando il commercio dell’isola. Sul piano militare, pur non essendoci nulla di simile alle esercitazioni ed alle provocazioni aeree dell’anno scorso, in risposta alla visita della Pelosi, qualcosa si muove: stavolta, la nuova portaerei Shandong ha condotto manovre nello stretto. Prove tecniche di blocco navale? Gli americani hanno comunque risposto dislocando la vecchia portaerei nucleare Nimitz nei pressi del Mar Cinese Meridionale.

Tutto questo movimento per un paio di soste della presidente Tsai negli Usa, nessun incontro con membri dell’amministrazione Biden e nessuna tappa a Washington. Ma Ying-jeou, al contrario, ha visitato la Cina, a partire da Shanghai, accolto con un dispiegamento di sicurezza pari a quello mobilitato per un capo di Stato riconosciuto. Si trattava della prima vista di un ex presidente taiwanese dalla nascita della Repubblica, dunque dal 1949. A Nanchino, Ma ha reso omaggio al mausoleo di Sun Yat-sen, il leader rivoluzionario repubblicano che guidò la rivoluzione contro l’impero. La figura di Sun è celebrata sia dai nazionalisti del Kuomintang, il partito di Ma, sia dai comunisti che sono nati da una scissione dai nazionalisti nel 1921. A Nanchino, Ma ha espresso il principio “siamo tutti cinesi”, auspicando la pace nello Stretto. Anche la visita dell’ex presidente taiwanese è stata informale, motivata dalla visita alle ceneri dei suoi parenti e di un programma universitario di scambio. Ma il suo viaggio è stato ben accolto dalle autorità e coperto dai media di Stato.

Questo doppiopesismo è una forma di ingerenza diretta della Cina nella politica di Taiwan. Pechino sta indicando il leader e il partito nazionalista con cui intende trattare. Mentre minaccia chiunque abbia contatti con la presidente espressione della sinistra taiwanese, la più indipendentista. E non è solo un’impressione: Xi Jinping, appena rieletto per un inedito terzo mandato, pone la “riunificazione” con Taiwan in cima alle priorità. Lo ha fatto con Hong Kong, senza muovere un soldato. Non la considera neppure politica estera, ma interna. L’isola, dal punto di vista del Partito Comunista, è una provincia, anche se “ribelle”. Il problema, per Taipei, è che questo è anche il punto di vista ufficiale degli Stati Uniti dal 1979, da quando hanno cioè riconosciuto Pechino come l’unico legittimo governo di tutta la Cina. E non per caso devono sempre nascondere o trovare mille diversi trucchi per giustificare incontri con la controparte taiwanese. Finché dura.