Sydney: vescovo ortodosso accoltellato. Era terrorismo islamico
Ascolta la versione audio dell'articolo
A Sydney, il vescovo Mar Mari Emmanuel, cristiano ortodosso è stato pugnalato nella chiesa di Cristo Buon Pastore, durante la messa, da un giovane radicale islamico
Sono passate da poco le 19 di lunedì a Sydney. Quando, nel bel mezzo della messa, mentre il vescovo della chiesa cristiana di rito assiro di Cristo Buon Pastore, nel quartiere di Wakeley, sta tenendo il suo sermone, un ragazzino di appena quindici anni si alza di scatto e prova ad ucciderlo con un coltello da cucina. Saranno ben dieci le coltellate che la furia omicida scaglierà ai danni del prelato, prima che i fedeli riusciranno ad immobilizzare l’attentatore. La funzione era in diretta streaming e così il video dell’attentato, non solo ha fatto il giro del mondo, ma continua ad essere condiviso, anche mentre scriviamo, e nonostante il governo australiano abbia chiesto a Meta di oscurarlo.
Il ragazzino, fermato dai fedeli prima che il peggio potesse accadere, ha urlato “Allah Akbar” ad ogni coltellata. E, una volta immobilizzato dai fedeli, alternando arabo e inglese, secondo quanto riportano i testimoni, avrebbe detto, «Se non avesse giurato contro il mio Profeta, non sarei qui. Se non fosse stata coinvolta la mia religione non sarei qui». Mentre il vescovo aveva il viso coperto di sangue, ha steso la mano su petto del quindicenne per dirgli, «Che il Signore Gesù Cristo ti salvi!» È quel che ha riportato il vicesindaco, alla CNN.
Il collegamento all’islam era chiaro dal primo minuto dopo l’attentato. Ma autorità e polizia hanno ordinato che non fosse rivelata la fede dell’attentatore. Pertanto i media, per quasi un giorno interno, hanno continuato ad evitare di parlare di attentato terroristico islamico. Fino a quando, martedì pomeriggio, la polizia lo ha finalmente definito tale. Nel frattempo, la stampa occidentale si è disinteressata presto dell’attentato.
A restare ferito non solo il vescovo Mar Mari Emmanuel, ma anche il parroco, padre Daniel Kochou e altri due fedeli intervenuti per fermare il piccolo terrorista. «È un miracolo se siamo vivi», diranno. Parlando ai media martedì mattina, il commissario di polizia del Nuovo Galles del Sud (NSW), Karen Webb, ha detto che il vescovo e il sacerdote sono stati sottoposti a un intervento chirurgico e sono «fortunati ad essere vivi».
Nessuno è stato mai in pericolo di vita, ma il vescovo ha dovuto subire un intervento chirurgico dopo essere stato ferito al volto e all’orecchio.
L’adolescente risultava già noto alle forze dell’ordine. Era stato, intatti, arrestato e rilasciato su cauzione a gennaio per due reati non specificati e poi aver portato un coltello a scuola. Per le forze dell’ordine c’è stata premeditazione e non si tratta di un pazzo. Il Daily Telegraph ha anche voluto riportare la testimonianza di un conoscente del ragazzino. Si tratterebbe di un uomo adulto che racconta di aver pregato insieme appena il giorno prima, «purtroppo, purtroppo, purtroppo, quel ragazzo con cui abbiamo pregato è stato avvelenato da un mostro,… è stato avvelenato. Sono islamico anch’io!», e poi lo chiama per nome che resta, però, secretato. Ma a dimostrazione di conoscerlo bene: frequentavano la moschea insieme. Ora, gli investigatori stanno cercando di capire se è stato incoraggiato da qualcuno. Ieri la polizia specializzata ha fatto irruzione in una casa nella zona ovest di Sydney, che credono sia collegata all’adolescente, e ne sono usciti con diverse sacchetti di carta marrone contenenti , pare, prove.
Si è trattato del secondo grande attentato con accoltellamento in soli tre giorni nella città più popolosa dell’Australia, dopo che sei persone sono state uccise e dodici ferite in un centro commerciale. Il premier, in conferenza stampa, si è detto disponibile a introdurre nuove misure sulla vendita e l’uso di coltelli che, da queste colonne ve lo abbiamo sempre raccontato, in Europa, sono da tempo l’arma prediletta dei nuovi terroristi islamici. Il quartiere di Wakeley rappresenta un centro nevralgico per la piccola comunità cristiana assira di Sydney che si compone anche di tanti fuggiti dalle persecuzioni e dalla guerra in Iraq e Siria.
Non stupisce pertanto, visto anche l’attentato in diretta, che una folla inferocita di fedeli s’è radunata presto davanti alla chiesa per protestare non solo per il grande ritardo con cui la polizia, a parer loro, è intervenuta - sono stati, infatti i fedeli a bloccare il ragazzino attentatore e attendere il loro arrivo -, ma soprattutto perché si sono sentiti violentati, e violati, nel bel mezzo di una funzione religiosa, in un luogo che, per ogni fedele, di qualsiasi religione, è casa. La reazione è stata emotiva, nervosa, certamente scomposta e violenta, tanto che alcune auto della polizia sono state anche aggredite con sassi e mattoni. Ma presto sono intervenuti alcuni sacerdoti a calmare la rabbia - ai fedeli era noto il movente islamico dal primo minuto - invitandoli, piuttosto, a pregare per il vescovo e il ragazzino terrorista. Nei video diffusi nella tarda serata di venerdì, si vedono anche alcuni fedeli alzare una croce di legno come a rivendicare un’appartenenza profanata.
Il loro vescovo Emmanuel è un leader molto noto ed amato in quella comunità. È uno degli “esseri umani più gentili, [più] autentici e genuini”, che conosco ha detto il deputato locale, la signora Dai Le. Il vescovo ha guadagnato notorietà con le sue predicazioni durante l’emergenza Covid richiamando i fedeli a restare saldi nella fede, per aver definito il lockdown di Sydney, “schiavitù di massa” e rivendicato l’inutilità dei vaccini. Solo sul gruppo Facebook il vescovo conta quasi 290mila seguaci. E le sue predicazioni contano milioni di visualizzazioni. I suoi sermoni vengono regolarmente trasmessi in live streaming a livello internazionale, e l’incidente di lunedì sera ha fatto notizia in tutto il mondo, in diretta.
Il vescovo Emmanuel è noto, inoltre, per la sua franchezza su questioni morali, inclusa la forte condanna dell’ideologia LGBT all’interno delle chiese cristiane occidentali, soprattutto a Roma. Ma, soprattutto, Mons. Emmanuel era finito al centro dell’attenzione da quando, alla fine dello scorso anno, durante un un viaggio negli Stati Uniti in un’intervista podcast aveva affermato, «Posso assicurarti che in paradiso Maometto non ti saluterà, Buddha non ti saluterà, Krishna non ti saluterà. Ci sarà solo Colui che è la via, la verità e la luce. Ti saluterà Gesù Cristo di Nazareth che è morto per te e per me. Non posso affermare qualcosa che non sia veritiero, so che la verità fa male, non sto offendendo le persone, dico la verità, e se ti offende non posso farci niente». Quest’affermazione per settimane ha fatto il giro del mondo, sui social, perché considerata blasfema dall’islam.
Ed, evidentemente, qualcuno ha voluto fargliela pagare. Se gli esecutori di attacchi con armi bianche sono spesso terroristi “non professionisti”, cioè non avvezzi all’impiego di armi ed esplosivi, non è detto, come abbiamo spesso dimostrato, che la loro azione sia improvvisata, dettata da frustrazioni varie e “disturbi mentali”: definizioni con cui in Europa si smorza la matrice islamista dei attentati.
Non è un caso che l’Isis ha sempre definito “soldati” gli uomini che compiono azioni come queste. Il successo di azioni suicide di questo tipo è dimostrare la vulnerabilità dell’Occidente e la debolezza dei nostri governi, oltre a diffondere senso di insicurezza.