Svendesi abbazia, la "cura Semeraro" nuoce a Grottaferrata
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Leone XIII la definiva «gemma orientale incastonata nella tiara pontificia» ma oggi la comunità basiliana alle porte di Roma è a rischio liquidazione e il complesso potrebbe finire agli ortodossi. Le tappe di un disastro annunciato da quando la terza circoscrizione orientale d’Italia venne affidata all'allora vescovo di Albano.

Le celebrazioni del millenario della consacrazione della basilica abbaziale di Santa Maria di Grottaferrata (17 dicembre 1024) si stanno lentamente avviando alla loro conclusione, mentre un amaro e ironico destino sembra incombere su quella che Leone XIII definiva «una gemma orientale incastonata nella tiara pontificia».
Il complesso abbaziale, inclusa la basilica, secondo alcuni nostri informatori, potrebbe essere consegnato nelle mani degli ortodossi, come soluzione estrema per far fronte alle conseguenze sempre più ingestibili di alcune scelte fallimentari degli ultimi decenni. L’ironia sta nel fatto che quest’abbazia, fondata da san Nilo da Rossano e da san Bartolomeo il Giovane agli albori dell’anno Mille e caratterizzata dalla presenza dei monaci basiliani e dalla liturgia bizantina, rimase fedele a Roma negli anni caldi che portarono allo scisma del 1054. Ora però, è l’insipienza di chi sta gestendo il caso dalla parte cattolica a consegnare la storica ed importante abbazia nelle mani della Chiesa scismatica. Addirittura è stata avanzata la proposta di una “comunità mista” cattolico-ortodossa, una sorta di Taizé all’orientale, grazie a Dio tramontata per opposizione della parte ortodossa, che si mostra teologicamente più seria di quella cattolica.
Vediamo di ricostruire le tappe del disastro. L’ultimo egumeno, monaco dell’Ordine Basiliano italiano, di etnia arbëreshë (italo-albanese), fu l’abate Emiliano Fabbricatore, che presentò le dimissioni, prontamente accettate da papa Francesco, il 4 novembre del 2013. Nello stesso giorno, il Papa procedeva ad una doppia nomina: mons. Marcello Semeraro, all’epoca ancora vescovo di Albano Laziale, assumeva l’incarico di amministratore apostolico del monastero esarchico, mentre come egumeno veniva incaricato l’abate emerito del monastero di Chevetogne (Belgio) e direttore dal 2002 dell’importante rivista di studi ecumenici Irénikon, il benedettino dom Michel Van Parys.
La nomina di un vescovo italiano, nella persona di mons. Semeraro, si rese necessaria a motivo del Concordato tra la Chiesa cattolica e lo Stato italiano, che non permette ad una persona di altra nazionalità di diventare ordinario di una diocesi italiana. Nel 1937, il monastero venne elevato ad abbazia esarchica, divenendo così la terza circoscrizione orientale d’Italia, insieme a Lungro e Piana degli Albanesi. L’egumeno del monastero acquisiva così una giurisdizione episcopale, limitata al territorio abbaziale.
Dopo circa tre anni, dom Michel Van Parys veniva sollevato dalla carica per contrasti con mons. Semeraro, il quale, il 4 aprile 2016, diventava anche delegato pontificio per l’Ordine Basiliano d’Italia e superiore della comunità monastica di Grottaferrata, che conta appena 9 monaci (nel 2009, ne erano presenti una trentina!), dal momento che l’unico monastero dell’Ordine è appunto quello di Grottaferrata. Incarichi che Semeraro, che non solo non è basiliano, ma non è neppure monaco né religioso, continua a mantenere anche quando, nell’ottobre 2020, è stato nominato prefetto del Dicastero per le Cause dei Santi, dopo aver lasciato la guida della diocesi di Albano. L’abbazia risulta di fatto commissariata da quasi dieci anni.
Su proposta dello stesso, la Congregazione per le Chiese Orientali individuava un “delegato dell’amministratore apostolico”, con funzione di dirigere la comunità monastica, ma dipendendo pur sempre da Semeraro, nella persona del benedettino dom Francesco De Feo; il 5 maggio 2012, Francesco lo nominava Egumeno del Monastero di Grottaferrata. Nel curriculum di dom De Feo, proveniente dall’abbazia di San Paolo Fuori le Mura, non risultano però esperienze pregresse che lo abilitino a dirigere adeguatamente un monastero orientale; ma evidentemente De Feo appariva soggetto più docile per le manovre di Semeraro. Le tensioni interne alla comunità, probabilmente dovute ad un clima di sospetto ed eccessivo controllo, non si sono fatte attendere, registrando anche l’uscita di alcuni monaci della già ristretta comunità. Nemmeno le iniziative culturali da lui promosse, come, per esempio, un ciclo di conferenze sulla Divina Commedia, manifestano una sensibilità al mondo cattolico orientale. E a dire il vero, ci sarebbe di che dubitare anche della cattolicità in quanto tale, dal momento che nel chiostro del monastero sono state rappresentate due opere di Puccini non proprio cristiane, come Tosca e La traviata…
In questo contesto che nulla ha a che vedere con la promozione della conoscenza della storia e della spiritualità dell’Oriente cristiano, la benemerita Associazione Culturale S. Nilo, fondata per questo scopo e legata all’abbazia, il 19 dicembre 2024 ha deliberato con voto unanime di cessare la propria attività, dopo aver constatato «l’impossibilità di continuare ad operare per la realizzazione delle attività , degli obiettivi e delle finalità culturali per le quali l’Associazione è stata costituita ed ha operato fino a quella data».
Lo stesso De Feo ha però presentato le proprie dimissioni (che non sono ancora state accettate), ancora una volta, sembra, a causa di difficoltà con Semeraro, che di fatto appare ormai come un cardinale commendatario, con ogni potere di gestione disciplinare e soprattutto economica dell’abbazia. Qualcuno vocifera che egli sia intenzionato persino a trasferirsi in pianta stabile all’abbazia.
Il triste spettacolo di una comunità caratteristica (l’unica comunità di monaci basiliani in Italia!), profondamente ferita e destinata all’estinzione, e la prospettiva di una liquidazione della storica e importante abbazia, sembrano lasciare indifferente il prefetto del Dicastero per le Chiese Orientali, il cardinale Claudio Gugerotti, Dicastero che ha come scopo proprio quello di tutelare i diritti delle comunità cattoliche orientali e di custodirne le specificità liturgiche e disciplinari. Anche quelle che gli stanno sotto il naso, ad una manciata di chilometri da Roma. Perché la realtà è che la preziosa specificità dell’abbazia di Grottaferrata, sia dal punto di vista culturale che spirituale, sotto il commissariamento di Semeraro, sta rischiando seriamente di essere definitivamente compromessa.
Forse non sarebbe male alleggerire il peso del cardinale Semeraro, già prefetto di un Dicastero romano e ormai non più vescovo della diocesi vicina di casa di Grottaferrata, liberandolo dall’onere di gestire l’abbazia, nonostante egli paia esserle particolarmente “affezionato”. E magari dare una scossa all’altra eminenza, il cardinale Gugerotti, facendogli presente cosa ci sta a fare al Dicastero per le Chiese Orientali. Non ultimo, sarebbe bene ricordare che l’ecumenismo autentico non ha nulla a che vedere con la svendita dei gioielli di famiglia o con esperimenti al limite del ridicolo.