Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Cristo Re a cura di Ermes Dovico
IL REPORT SU CINA E INDIA

Svelata la politica (neo-malthusiana) del figlio unico

Uno studio del libertarian Cato Institute documenta lo strettissimo rapporto tra il neo-malthusianesimo e le politiche del figlio unico di India e Cina: dalle purghe sanguinose e dalle carestie del maoismo sorse la necessità di rilanciare il regime dove la riduzione della popolazione ha svolto un ruolo decisivo.

Attualità 30_07_2020

C’è un orrore che ancora non ha indignato le coscienze abbastanza: la politica del “figlio unico”, con cui Pechino violenta le coppie cinesi imponendo loro l’aborto dopo la nascita del primogenito.

La legge morale, infatti, vieta l’aborto; la legge positiva dovrebbe farlo, ma, se già fa il male presentandolo come “diritto”, se lo impone, compie un delitto doppio. Proprio questa constatazione dovrebbe unire sia chi si batte contro l’aborto come “diritto” sia chi si batte contro le imposizioni liberticide. Purtroppo non sempre è però così, e dunque molti difensori dei diritti umani si fermano davanti alla soglia dell’aborto, difendendo piuttosto la morte che la vita, così come certi difensori della dignità umana si fermano sulle soglie della Grande Muraglia, temendo di scivolare in politica. Ma è proprio il caso cinese che annulla i distinguo speciosi fra morale e politica.

Milioni e milioni di aborti e di sterilizzazioni
Su quest’orrore cinese esiste oramai una certa letteratura. Addirittura c’è un documentario gratuito su Amazon Prime, One Child Nation, che tra l’altro ricorda due grandi verità, una di storia e l’altra di attualità. Quella di storia è che la politica del “figlio unico” fu lanciata dal Partito Comunista Cinese (PCC) nel 1979, inserita ufficialmente nella Costituzione cinese nel 1982 e conclusa per decreto nel 2015. Quella di attualità è che da allora il PCC ha semplicemente trasformato la politica dell’aborto obbligatorio: non più il “figlio unico”, bensì i “due figli unici”. Ed è qui che entra in scena un rapporto appena pubblicato dal Cato Institute di Washington, per ciò stesso preziosissimo.

Intitolato Neo‐​Malthusianism and Coercive Population Control in China and India: Overpopulation Concerns Often Result in CoercionIl controllo demografico forzato e neomalthusiano in Cina e in India: spesso le preoccupazioni per la sovrappopolazione finiscono in coercizione»), documenta l’«Emergenza» nazionale dichiarata per paura della sovrappopolazione dall’allora primo ministro indiano Indira Gandhi (1917-1984), che «[…] sospese le libertà civili e rese obbligatorie le sterilizzazioni su scala enorme fra 1975 e 1977», nonché il suo retaggio ancora forte ai vertici del Paese, e la catastrofe cinese, finita in «[…] più di 300 milioni di donne […] a cui sono stati applicati impianti intrauterini modificati per essere inamovibili se non mediante intervento chirurgico, più 100 milioni di sterilizzazioni e più di 300 milioni di aborti» (nel documentario One Child Nation ci sono fotogrammi di un video di propaganda trasmesso dalla televisione di Stato cinese nel 1998 in cui si afferma che la politica del “figlio unico” ha evitato la nascita di 338 milioni di bambini cinesi. Solo nel 1998).

Pechino neo-malthusiana
Ora, l’importanza del rapporto del Cato Institute è decisiva per almeno tre ragioni. Primo, non è prodotto da un ambiente particolarmente pro-life. Il Cato, fondato nel 1974, è un think tank del panorama libertarian che pone al centro di tutto l’idea che la libertà dell’individuo e dei mercati sia la chiave per la coesistenza pacifica fra le persone. Del resto l’autrice del rapporto è Chelsea Follett, responsabile di Human​Progress​.org, un progetto editoriale del Cato di stampo “umanistico”.

Secondo, la politica abortista cinese viene ricondotta alle sue cause ideologiche: l’allarme, lanciato fra anni 1960 e 1970, della cosiddetta «Bomba P», dove «P» sta per «popolazione». All’epoca l’organizzazione allarmista di punta era il Club di Roma, con sede a Winterthur, in Svizzera. Nel 1972 produsse The Limits to Growth, il libro-arma che diede il La a quello che i suoi critici hanno chiamato «neo-malthusianesimo». Il neologismo deriva dal nome dell’economista inglese Thomas Robert Malthus (1766-1834), convinto che le risorse naturali della Terra siano così scarse da imporre la pianificazione demografica del pianeta. Ma la notizia a più strati, ben nota benché ignorata, è anzitutto che Malthus sbagliò i calcoli, che la scarsità è sempre stata foriera di innovazioni vincenti e che l’economista inglese, al contempo curato della Chiesa anglicana nel Surrey, non ha mai predicato né aborto né sterilizzazione, bensì castità e continenza.

Il neo-malthusianesimo ha poi fatto strada, e dal Club di Roma ha preso dimora nientemeno che nel Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione (UNFPA): fu infatti questo organismo a istituite, nel 1983, il «Population Award» per il più meritevole nello sforzo di ridurre l’umanità. Il primo vincitore, ricorda la Follett, fu proprio Indira Gandhi.

La Follett traccia poi lo sbarco del neo-malthusianesimo in Cina al 1978, quando Song Jian si accese di «fervore messianico» per il controllo demografico durante un viaggio in Europa settentrionale. Classe 1931, Jian è un ingegnere aerospaziale tuttora vivente a cui sono toccati diversi incarichi governativi nel campo dell’industria aerospaziale e della tecnologia di Stato cinesi e che dal 1968 al 1988 è stato membro del Consiglio di Stato, l’organo esecutivo del governo. Traduttore in cinese mandarino della letteratura del Club di Roma (ma non dei suoi debunker), «[…] calcolò l’entità ideale della popolazione cinese in una forchetta compresa fra i 650 e i 700 milioni di persone, vale a dire fra i 280 e i 330 milioni meno di quanto fosse all’epoca».

Finirà?
Il terzo motivo che rende notevole il rapporto del Cato lo suggerisce la finta apertura del 2015, allorché Pechino adottò la nuova politica, ma «ancora giustificata in termine neomalthusiani», dice la Follett.

Per capirlo adeguatamente occorre ricordare che l’adozione parziale, in Cina, di una tecnica economica mutuata dai sistemi di mercato voluta dai “riformisti” post-maoisti (fra cui i massacratori di Piazza Tiananmen nel 1989) fu dettata dalle condizioni pietose in cui Mao Zedong (1893-1976) aveva ridotto il Paese, per esempio volendo trasformare in brevissimo tempo un Paese agricolo in una potenza industriale maggiore degli antagonisti occidentali. Dalle purghe sanguinose e dalle carestie immani del maoismo sorse così lo sposalizio fra neo-malthusianesimo occidentale e necessità di rilanciare il regime in una sorta di perestrojka, stavolta riuscita, anche economica, in cui la riduzione della popolazione ha svolto un ruolo decisivo. È dunque solo la volontà di mantenere in equilibrio il parziale successo di questo sforzo titanico che ha sostituito il “figlio unico” con i “due figli unici”.

La Follett suggerisce che Pechino potrebbe anche, in un futuro non lontano, liberalizzare la politica delle nascite, tant’è che, a differenza delle volte precedenti, al Congresso nazionale del popolo svoltosi dal 22 al 28 maggio non si è parlato di controllo demografico. Il giorno che accadrà sarà benedetto, ma finché il criterio politico cinese resterà il neo-malthusianesimo, dovesse rendersi “necessario”, l’aborto di Stato tornerebbe in un battibaleno. Sempre con un numero troppo alto di indignati part-time.