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Super-prefetture, il nuovo volto del centralismo

Fra le riforme di Renzi, c'è anche l'accorpamento delle prefetture. Ne verranno abolite ben 23, accorpandole a quelle vicine, con criteri territoriali e organizzativi molto dubbi. Non ci troviamo di fronte a un "pasticcio" da dilettanti, ma ad un chiaro progetto di centralizzazione del potere.

Politica 18_09_2015
Province italiane

La riforma costituzionale Renzi-Boschi sta attirando l’attenzione della stampa e dei commentatori quasi soltanto come episodio della battaglia tra maggioranza e minoranza all’interno del Pd; quella che dovrebbe essere l’opposizione - avendo molto più interesse allo sviluppo del conflitto tra Renzi  e la sua minoranza interna che non al nocciolo del problema - nemmeno interviene nel dibattito. A noi come cittadini è innanzitutto il contenuto della riforma che invece dovrebbe stare a cuore. Già in altre circostanze abbiamo ricordato come il caso del Senato sia relativamente un dettaglio dentro quello che è un progetto complessivo di riconcentrazione a Roma di tutta quanta la sostanza del potere, di un ritorno al centralismo del vecchio Regno d’Italia.

Mentre resta ancora da vedere quanto e come la riforma costituzionale andrà avanti, merita di venire sottolineato che, nel frattempo, il governo Renzi procede per la sua strada per altre vie usando con disinvoltura strumenti della legislazione ordinaria. E’ ad esempio di pochi giorni fa un decreto del Presidente della Repubblica sulla riorganizzazione del  ministero dell’Interno che prevede tra l’altro la soppressione entro il 2016 di 23 Prefetture e l’accorpamento del loro territorio con quello di Prefetture limitrofe. Si tratta in Liguria di Savona; in Piemonte di Asti, Biella e Verbano-Cusio-Ossola; in Lombardia di Sondrio, Lecco, Lodi e Cremona; nel Veneto di Belluno e di Rovigo; nel Friuli-Venezia Giulia di Pordenone; nell’Emilia-Romagna di Piacenza; in Toscana di Massa-Carrara e di Prato; nelle Marche di Fermo; nell’Abruzzo di Teramo e Chieti; nel Molise di Isernia; nel Lazio di Rieti; in Campania di Benevento; in Calabria di Vibo Valentia; in Sardegna di Oristano; in Sicilia di Enna. Già ci sarebbero delle osservazioni da fare sulla burocratica astrattezza di molte di queste scelte: chi le ha fatte  evidentemente crede che l’Italia sia una prateria a perdita d’occhio, una specie di Stato del Midwest nordamericano. Solo così, uno può ritenere che sia ragionevole aggregare Sondrio a Monza o Como, Belluno a Padova, o Oristano a Nuoro. E resta poi da domandarsi ad esempio come mai costui trovi superflua la Prefettura di Piacenza e indispensabile invece quella di Rimini. Se poi l’obiettivo fosse quello di ottenere così dei risparmi di spese, in personale e in sedi, la scombinata riforma delle Province ha già dimostrato che con riorganizzazioni frettolose e improvvisate di questo genere non si risparmia un euro, anzi è più facile che si spenda anche di più. Per essere credibile in materia, Matteo Renzi avrebbe piuttosto un’ottima occasione a chilometro zero: la Presidenza del Consiglio, che ha più di 4500 dipendenti (negli Stati Uniti, l’ufficio della Casa Bianca ne ha 150). Cominci da lì invece che da Sondrio e da Oristano.

Non è però su questi pur importanti aspetti che vorrei qui soffermarmi quanto sulla sostanza della filosofia politica, tutta all’insegna del centralismo e dello statalismo, che sta alla base di queste iniziative dell’attuale governo. Per meglio capire quanto radicale sia lo scardinamento del sistema di governo del territorio cui Renzi e i suoi stanno mettendo mano, vale la pena di fare qualche passo indietro. Prendendo a modello la Francia, il Regno d’Italia era stato simmetricamente organizzato in Province (i Dipartimenti francesi) con a capo un Prefetto. In pratica, Province e Prefetture coincidevano, non solo in quanto a territorio, ma anche in quanto a struttura amministrativa. Esisteva infatti una Deputazione provinciale eletta a suffragio limitato, ma la presiedeva il Prefetto del quale, di fatto, era una specie di organo consultivo. Perciò, come si vede nel caso di tutte le Province storiche, quasi sempre i due enti condividono la medesima sede magari occupando rispettivamente le due ali di un medesimo edificio. Caduto il fascismo, con la nascita della Repubblica e il ritorno della democrazia (allora compiutasi con l’introduzione del suffragio universale anche femminile), grazie all’istituzione del Consiglio provinciale elettivo nonché del presidente della Provincia pure elettivo, il ruolo di intervento politico del Prefetto sulla vita pubblica locale cominciò a venire ridimensionato. 

Molti anni dopo, con la nascita effettiva delle Regioni nel 1970, si ridimensionò il ruolo delle Province, ma in effetti non quello della circoscrizione provinciale che nel frattempo era divenuta un ambito generale di vita pubblica del territorio. Essendo infatti il Prefetto non solo l’alto controllore dei Comuni per conto del potere centrale, ma anche e prima ancora il referente di tutti gli uffici dell’amministrazione statale presenti sul territorio della Provincia, tutte le loro circoscrizioni, dal provveditorato agli Studi al comando dei Carabinieri, erano state portate a coincidere con quelle delle Prefetture. E per motivi pratici avevano fatto lo stesso pure le più diverse organizzazioni della società civile, dai partiti ai sindacati, dalle Camere di Commercio alle associazioni di categoria. In ogni ambito della vita pubblica del territorio tutti gli interlocutori a nome dello Stato e, rispettivamente, tutti gli interlocutori del territorio sono correlati. Pur nei suoi limiti tale coincidenza è una garanzia democratica: la forza delle cose conduce tutti gli attori di rilievo di un certo territorio a una corresponsabilità complessiva.

Guardando a quanto sta accadendo adesso siamo, per parte nostra, sempre meno convinti di essere soltanto di fronte a pasticci combinati, senza saperlo, da una compagnia di Giamburrasca. Non è uno sconquasso casuale: la guerra contro le Province, il rimescolamento delle circoscrizioni degli uffici statali sul territorio, la creazione di nuove remote super-prefetture ha una logica: quella di rendere sempre meno controllabile dal basso l’azione di governo. E c’è poi un dettaglio tutto da valutare, ma che comunque fa impressione: i simpatici ragazzi e le belle ragazze che allegramente lo stanno provocando vengono dall’alta valle dell’Arno, da Arezzo, da terre dove la massoneria ha una solida presenza e dove, non a caso, la loggia P2 nacque e prosperò.