Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Dottrina sociale
a cura di Stefano Fontana

Il libro

Sulla definizione (erronea) di laicità di Augusto Barbera

Nel suo volume “Laicità”, l’attuale presidente della Corte costituzionale parte dal principio che esistano solo “verità parziali”, il che comporta avere una visione solo relativa della verità. Una visione, quella di Barbera, contraria al realismo della filosofia classica e cristiana.

Dottrina sociale 22_02_2024
ritaglio copertina libro Barbera

Il convegno sul “Suicidio dell’Occidente” tenutosi alla Biblioteca del Senato lo scorso 31 gennaio, con le relazioni molto importanti di Marcello Pera e Alfredo Mantovano, ha rimesso in gioco il concetto di laicità, del resto già tornato alla ribalta in questi ultimi tempi. Vi ha dedicato un libro anche Augusto Barbera, giurista e presidente della Corte costituzionale [Laicità. Alle radici dell’Occidente, Il Mulino]. Non intendo qui presentare il libro nel suo complesso, né sottolineare i suoi (a mio avviso) molti punti deboli. Mi soffermo solo sul concetto di laicità fornito all’inizio del libro. Barbera dice che non si tratta tanto di esumare i “principi laici”, «quanto piuttosto far scendere in campo il “metodo laico”, la ricerca di un confronto, cioè, tra persone portatrici, ciascuna, di “verità parziali” (o, se si preferisce, di visioni parziali della verità), aperte alle ragioni dell’altro» (p. 13).

Capita spesso che chi dice di rinunciare a dei principi lo faccia enunciando un principio. Questo è anche il caso di Barbera, dato che la preminenza del metodo sul contenuto è precisamente il principio della modernità filosofica (Cartesio docet). Per parlare di metodo occorre fare un discorso sul metodo il quale parta da dei principi, fossero anche quelli di sostenere di non avere principi. Anche la priorità della prassi è un principio.

Oltre a questa imprecisione, va anche osservato che nel proseguo della definizione si tirano in ballo anche altri principi assunti, ossia fatti propri senza una discussione. Una di queste assunzioni riguarda la convinzione che esistano solo “verità parziali”, ossia che non si diano verità dotate di una certa assolutezza o errori dotati di altrettanta assolutezza (negativa in questo caso). Ritenere che esistano solo verità parziali comporta avere una visione solo relativa della verità, il che è un ben preciso principio e non solo un metodo. Le verità sono intese come parziali perché storicamente condizionate, dipendenti da altro da sé, da qualche a-priori della nostra conoscenza che le orienta e quindi le limita. Questa però è “una” definizione della verità (secondo me non vera) e non “la” definizione di verità. Più precisamente è la visione della verità del modernismo filosofico, contraria al realismo filosofico della filosofia classica e cristiana.

L’idea secondo cui il feto non ha diritto a nascere, o che il matrimonio possa essere costituito da persone dello stesso sesso, o che l’uomo sia un animale più evoluto degli altri ma non di una specie diversa, che l’uomo e la donna non abbiano uguale dignità, che i diritti vengano prima dei doveri e così via… non sono verità parziali, sono errori della ragione che fondano poi errori dell’azione. Che la realtà non sia conoscibile del tutto e che la verità non ci sia data nella sua totalità non vuol dire che, strada facendo, non possiamo conoscere delle verità certe e indisponibili.

La definizione di laicità fornita da Barbera vorrebbe assomigliare a quella di Socrate, principe del dialogo. Ma Socrate intendeva, nei suoi dialoghi, giungere alla verità universale, ritenendo che esistesse. Egli pensava di aver ricevuto questo incarico direttamente dal Dio. In presenza di verità solo parziali il dialogo non è possibile, perché progressivamente si stanca di sé stesso e indietreggia verso un relativismo sempre più radicale. La vita comunitaria non si fonderà mai sul dialogo, ma semmai sulle ragioni del dialogo, per poter stabilire nel dialogo chi ha ragione e chi ha torto. Le ragioni del dialogo, però, devono essere sottratte al dialogo. Il principio deve essere distinto dal principiato. Questo lo insegnava già Anassimandro.

Stefano Fontana