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SOPRAVVISSUTI

Sudan, tratti in salvo i bimbi dell’orfanotrofio di Khartoum

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Quasi 400 bambini sono stati evacuati da Mygoma, l’orfanotrofio della capitale del Sudan dove dall’inizio della guerra sono morti 71 orfani per denutrizione, disidratazione e malattie non curate. Ora bisogna trovare delle famiglie disposte ad adottare. Ma anche milioni di sudanesi adulti sono in difficoltà.

Esteri 12_06_2023

Sono salvi i bimbi di Mygoma, l’orfanotrofio della capitale del Sudan, Khartoum, sopravvissuti nonostante le condizioni estreme in cui hanno trascorso le ultime settimane a causa dei combattimenti (la Bussola ne ha parlato già qui e qui): male assistiti, perché gran parte del personale aveva smesso di presentarsi al lavoro, senz’acqua per ore e giorni, stipati in locali resi roventi dalle frequenti interruzioni dell’energia elettrica che mettevano fuori uso ventilatori e condizionatori. Dall’inizio della guerra, il 15 aprile, su 400 ne sono morti almeno 71: di denutrizione, disidratazione, malattie non curate. Il 29 maggio alcune agenzie di stampa, tra cui la Reuters, informate dai medici che ancora prestavano servizio nella struttura, ne hanno fatto conoscere al mondo il dramma e questo ha fatto sì che finalmente si attivassero organismi internazionali e locali.

Così, a partire dal 7 giugno, tra mille difficoltà e pericoli, è iniziato il piano di evacuazione per portarli al sicuro. Adesso sono a Wad Maidani, una città a circa 200 chilometri a sud-est di Khartoum, sulle rive del Nilo Azzurro. Portarceli è stata una impresa. Il governo ha approvato il trasferimento, ma la mancanza di comunicazione lungo la catena di comando dei due eserciti contendenti ha reso impossibile accedere in condizioni di sicurezza all’orfanotrofio, che si trova in una parte della città dove si combatte, e ha ritardato le partenze.

Si è trattato di sottrarli a una morte certa per un futuro che si spera migliore”, ha spiegato alla Bbc Sadeia al-Rasheed Ali Hamid, una volontaria sudanese che, insieme a un pugno di colleghi, si è attivata per prima decidendo di mettere in salvo i bambini più grandi, da quattro a 15 anni, più facili da gestire. Sono stati reperiti dei pulmini. Il convoglio è partito in mezzo ai combattimenti e ha dovuto fermarsi a diversi posti di blocco. Davanti al primo pulmino era stato appeso un lenzuolo sul quale c’era scritto: bambini a bordo. La prima sosta è stata ad al-Hasaheisa, a sud di Khartoum. Lì sono stati ospitati in una scuola, ma i residenti, più che accoglierli e offrire loro qualcosa da mangiare, non sono stati in grado di fare.

Poi è stato affrontato il problema più difficile: portare via i bambini più piccoli. Per questo si sono mobilitati, oltre ai volontari locali, gli organismi internazionali tra cui l’Unicef, e il governo sudanese ha chiesto al Comitato internazionale della Croce Rossa di organizzare un convoglio. È stato un viaggio estenuante, anche questo compiuto mentre i combattimenti continuavano.

In tutto sono stati evacuati quasi 400 bambini, circa 200 dei quali di età inferiore a due anni. Agli orfani di Mygoma se ne sono aggiunti altri che erano ospitati in istituti più piccoli. “Hanno bisogno di assistenza, erano così piccoli tra le nostre braccia”, ha raccontato Marina Fakhouri, della Croce Rossa Internazionale. Quasi tutti erano denutriti, duramente provati. Per alcuni è stato necessario il ricovero in ospedale e uno è deceduto nonostante le cure.

Adesso bisogna trovare delle famiglie disposte ad adottare i piccoli. Anche se molte famiglie hanno accolto e già ospitano dei parenti fuggiti dai combattimenti, tante si sono fatte avanti. È già pronto un elenco. “Questi li abbiamo salvati - commenta Mandeep O’Brien, dell’Unicef - ma sono milioni i bambini in pericolo in tutto il Paese, le cui vite sono minacciate dal conflitto ogni giorno”. Si stima che in questa situazione si trovino circa 13 milioni di minori.

Ma oltre a loro ci sono milioni di adulti in estrema difficoltà; le dimensioni della crisi umanitaria provocata dalla guerra sono immense, paurose. La situazione più critica è quella delle persone che necessitano di cure mediche. Nelle zone in cui si combatte - Khartoum, Omdurman e altre città e l’intera regione del Darfur - più di due terzi degli ospedali sono fuori servizio. Quelli ancora in funzione operano in condizioni disastrose. Tra le persone particolarmente a rischio ci sono le donne incinte. In tutto il Paese si stima che siano circa 219 mila. Ad aprile nella sola Khartoum almeno 24 mila stavano terminando la gravidanza. L’al-Dayat, il più grande ospedale di maternità del paese, ha chiuso a fine aprile. Secondo il direttore generale, Emad Abdel Moneim, è stato possibile spostare molti pazienti, ma non quelli dipendenti da apparecchiature: quelli con dispositivi di ventilazione assistita, quelli in terapia intensiva e i neonati nelle incubatrici perché sarebbero state necessarie delle ambulanze attrezzate e non ce n’erano a disposizione. Nessuno sa dire che ne sia stato di loro. L’Alban Jadeed Hospital ha continuato a lavorare, ma spesso senza corrente elettrica, con il personale rimasto costretto a turni serrati, senza anestesisti e specialisti. Il dottor Howaida Ahmed al-Hassan ha eseguito dei tagli cesarei alla luce delle torce dei cellulari dei colleghi perché manca persino la benzina per far funzionare i generatori. Per far spazio ad altri pazienti, le donne che hanno subìto un cesareo vengono dimesse dopo soltanto dieci ore.

Prima della guerra, su poco più di 47 milioni di abitanti, quasi 16 milioni già risultavano bisognosi di assistenza. Adesso sono 25 milioni. Gli aiuti internazionali, dopo i primi giorni, hanno incominciato ad affluire, ma la distribuzione alla popolazione è ostacolata dai combattimenti - finora almeno otto operatori sono stati uccisi - e, persino, dalle lungaggini burocratiche. Inoltre depositi e convogli sono sistematicamente saccheggiati. “Il problema non sono soltanto i combattimenti - spiegava alla Bbc il 2 giugno Alyona Synenko, portavoce del Comitato Internazionale della Croce Rossa - ma lo sciacallaggio, lo stato generale di illegalità che rende le cose estremamente complicate”. All’inizio di giugno risultavano rubati alle organizzazioni umanitarie almeno 162 automezzi, 61 uffici e 57 depositi erano stati saccheggiati.


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