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INTERVISTA A PADRE TICOZZI

Su Hong Kong si aggira lo spettro della guerra civile

Hong Kong: c’è lo spettro della guerra civile. Gli scontri in questa prima metà di novembre si sono intensificati, e le due parti sembrano sempre più nemiche l’una dell’altra. La Cina per ora attende che le autorità locali reprimano da sole i disordini, ma minaccia sempre l'intervento armato. Intervista a padre Ticozzi, missionario a Hong Kong

Esteri 16_11_2019
Hong Kong, gli ultimi violenti scontri

Inutile girarci troppo intorno: a Hong Kong c’è lo spettro della guerra civile. Gli scontri in questa prima metà di novembre si sono intensificati, e le due parti sembrano sempre più nemiche l’una dell’altra.  Da una parte la polizia, il governo e l’establishment pro Pechino, dall’altra i manifestanti, che sono tantissimi, specie fra i giovani. Le università infatti sono divenuti campi di battaglia, ma in tutta Hong Kong oramai le azioni di protesta hanno cadenza giornaliera.

Padre Sergio Ticozzi, missionario del Pime a Hong Kong da più di 50 anni, è uno dei più grandi esperti su Cina e Chiesa cattolica e sulla storia dell’evangelizzazione a Hong Kong. Ecco il suo pensiero sulla situazione attuale.

Padre, la situazione in Hong Kong sembra sempre più violenta. Cosa sta succedendo? Alcuni parlano di guerra civile...

Negli ultimi giorni si ha proprio l’impressione che si tratti di guerra civile, con scioccanti manifestazioni di violenza: arresti e abusi, sparatorie dirette contro i manifestanti, morti e feriti, distruzioni e danneggiamenti, invasione di università, blocchi di strade e di mezzi pubblici, ecc. L’obiettivo dei dimostranti è di costringere il governo locale ad accettare le loro richieste e non intendono desistere da questo obiettivo. Le autorità locali, con la polizia, sono decise a usare qualsiasi mezzo per eliminare le dimostrazioni e i dimostranti. Un accordo tra le due parti non sembra prevedibile. Si aspetta il giorno delle “District Council Ordinary Elections”, che sono previste per 24 novembre e si prospetta anche qualcosa di peggio.

La Diocesi cattolica di Hong Kong è sembrata comprendere la frustrazione dei manifestanti, ma come può frenare una violenza che sembra irrefrenabile?

Sì, la Chiesa cattolica si è mostrata sensibile alle richieste dei dimostranti, soprattutto nelle iniziative contro la bozza di legge dell’estradizione. Si è poi limitata a dichiarazioni ufficiali quando la problematica si è allargata e i metodi sono peggiorati. Ha accolto vittime nei propri locali e ha sollecitato veglie di preghiera per casi gravi e per la riconciliazione. Parecchie persone però si aspettano dalla Chiesa dichiarazioni più specifiche e qualcosa di più concreto.

Come mai, a circa un anno dalla scomparsa del vescovo precedente non ce ne è uno nuovo ma solo un amministratore apostolico?

Il mio semplice parere è che il dilazionamento della nomina del nuovo vescovo sia dovuto alla situazione complessa sia in Hong Kong che nel Vaticano, cosa che è nota a tutti.

La polizia non si ferma neanche dall’invadere edifici religiosi come le chiese cattoliche. Per lei la situazione giustifica questo atteggiamento?

La polizia si sente sicura di fare quello che vuole perché è protetta dalle autorità civili di Hong Kong e di Pechino. Quindi non bada ai mezzi e a metodi mafiosi. Si sente al di sopra di ogni legge. Per questo ha perso ogni credibilità agli occhi della maggior parte della popolazione.

 Come interpreta lei l’atteggiamento guardingo della Cina?

La mia interpretazione è un po’ superficiale, ma credo che è perché le autorità supreme di Pechino sono preoccupate da altri gravi problemi (la guerra commerciale con l’America, la lotta di potere per mantenere salda la supremazia del Partito e l’autorità del Presidente Xi Jinping, l’instabilità sociale, ecc.) e, aspettano che con lo scorrere del tempo, Hong Kong riesca da sola a trovare una soluzione ai disordini. Si limitano ad esprimere il loro appoggio al governo locale e alla polizia e mandare rinforzi, con a volte qualche minaccia di intervento militare. I rappresentanti di Pechino residenti in Hong Kong non osano prendere nessuna posizione prima di quella ufficiale di Pechino e ripetono le stesse dichiarazioni.