Strickland rimosso dal Papa, i passi di una scelta preoccupante
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Monsignor Strickland, vescovo critico verso l’attuale pontificato, è stato rimosso da Francesco dalla guida della diocesi di Tyler. Una decisione preoccupante, che contraddice quanto più volte detto dal Papa stesso sulla parresia.
Un finale scontato di un film già visto. Monsignor Joseph E. Strickland, il vescovo in carica probabilmente più critico nei confronti dell'attuale pontificato, è stato deposto da papa Francesco. Questo è l'epilogo della visita apostolica disposta a giugno nella diocesi di Tyler e affidata a due dei vescovi più liberal degli Stati Uniti: Dennis Sullivan e Gerald Kicanas.
Dalla Santa Sede, oltre alla comunicazione del “sollevamento”, non è arrivata alcuna spiegazione. Sappiamo, invece, da una dichiarazione del cardinale Daniel DiNardo, arcivescovo metropolita di Galveston-Houston di cui Tyler è suffraganea, che le conclusioni dell'indagine arrivate sul tavolo del Papa sentenziavano che «la continuazione in carica del vescovo Strickland non era fattibile». Così da Santa Marta è partita la richiesta di dimissioni trasmessa dal nunzio apostolico, il neocardinale Christophe Pierre, il 9 novembre. Strickland ha respinto questa richiesta, dando in un certo senso uno “schiaffo” ad una prassi che potrebbe essere considerata una forma di clericalismo. Due giorni dopo, Francesco ha dovuto prendersi la responsabilità di sollevare personalmente il vescovo dalla guida della diocesi. Esistono almeno due precedenti analoghi a quello di Tyler: il paraguaiano Rogelio Ricardo Livieres Plano e il portoricano Daniel Fernández Torres. Nel primo caso, risalente al 2014, la Sala Stampa della Santa Sede avvertì almeno il bisogno di emanare una nota per provare a motivare quella che veniva riconosciuta come una «gravosa decisione». Nei casi di Fernández Torres e di Strickland, invece, ci si è limitati a poche righe nel bollettino ordinario per annunciare il prepensionamento di due vescovi rispettivamente di 57 e 65 anni.
Da tempo Strickland aveva preso a manifestare il suo disagio, comune a quello di tanti pastori e fedeli nel mondo, per l'indirizzo intrapreso da questo pontificato su dottrina, morale e liturgia. In una lettera alla sua diocesi scritta a fine settembre, il vescovo texano aveva criticato apertamente il Sinodo sulla sinodalità giudicandolo un «tentativo da parte di alcuni di cambiare il focus del cattolicesimo dalla salvezza eterna delle anime in Cristo». Strickland, inoltre, aveva deciso di non applicare in senso restrittivo Traditionis Custodes nella sua diocesi, continuando a far celebrare nella forma straordinaria dell'unico rito romano. Una scelta che potrebbe essere stata decisiva per la sua rimozione, come sembra di capire dalla prima battuta a caldo rilasciata a John-Henry Westen di LifeSiteNews, con il quale ha rivendicato il suo operato contestato nell'indagine, citando la difesa della cosiddetta Messa in latino e dicendo: «Non posso far morire di fame una parte del mio gregge. Lo rifarei allo stesso modo».
Strickland è probabilmente il vescovo diocesano che si è spinto più in là nella critica a questo pontificato, fino al famoso tweet di maggio in cui, prendendo le distanze dalle posizioni inaccettabili del sedevacantista Patrick Coffin e ribadendo la legittimità di Francesco, chiosava duramente che per lui era giunto «il momento di dire che rifiuto il suo programma volto a minare il Deposito della Fede». Anche nel recente intervento al Rome Life Forum, Strickland si era avventurato su sentieri un po' pericolosi leggendo una lettera di un suo amico molto pesante sui padri sinodali e con accuse inammissibili verso il Papa legittimamente regnante, ma era stato lo stesso presule texano a puntualizzare di non condividerla aggiungendo poi che «l'imprudenza che prevale oggi nella nostra Chiesa non è quella di parlare in modo inappropriato» e annunciando di preferire farlo piuttosto che «non parlare quando è assolutamente necessario». Di sfondo, poi, la vicenda dell'accoglienza all'ex suora Marie Ferréol, espulsa per un non meglio precisato «cattivo spirito» da Pontcallec e di cui la Nuova Bussola si è già occupata.
In ogni caso, il vescovo lascia a Tyler seminari ricchi di vocazioni, conti in ordine, nessuna violazione del Codice canonico. Difficile non collegare la sua rimozione alle critiche al pontificato e al Sinodo che il texano, tra i pochi, ha preferito «fare in faccia», con parresia, come più volte aveva chiesto lo stesso Francesco scagliandosi contro il chiacchiericcio. Per questo il messaggio che trasmette questa decisione è preoccupante, completamente opposto a quello insito nella telefonata e nella lettera di inizio pontificato che il Papa riservò a due “critici” come Mario Palmaro e Antonio Socci.
C'è poi un altro aspetto che spesso viene sottovalutato in casi come questo e che in questi anni, come risulta alla Nuova Bussola, ha riguardato diversi vescovi sollecitati a dimettersi prima di aver compiuto i 75 anni e senza motivazioni precise: privati di un incarico per così tanti anni, con la sola pensione, la necessità di cercarsi un nuovo alloggio e la sensazione di essere vittime di un'ingiustizia si finisce a volte per cadere in depressione. Probabilmente non sarà il caso di monsignor Strickland che, come si può capire dalle reazioni di queste ore, appare destinato a diventare uno dei punti di riferimento del mondo cattolico a disagio per l'indirizzo preso dalla “Chiesa in uscita”. Ma sempre nel “sentire cum Ecclesia”.
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La diocesi texana di Tyler riceve una visita apostolica. Cosa non va? Finanze ok, seminario pieno, ma è guidata da un presule loquace e schietto: critico sul sinodo, non le manda a dire nemmeno al Papa (che apprezza la parresia, almeno a parole).
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