"Strappare" i figli dai genitori, necessità o abuso?
Il sistema attuale di welfare conta numerosissimi casi di allontanamenti familiari. Ma sono tutti necessari? No, perchè la maggior parte è giustificato da povertà di tipo materiale. Si tratta di un abuso figlio della stessa logica che porta alle adozioni gay: bisogna spezzare il rapporto madre-figlio
«Numerosi rapporti e articoli di stampa italiani hanno messo in luce un eccessivo affidamento di bambini in casa-famiglia, tanto da far parlare di “allontanamenti facili”. Spesso i minori vengono allontanati per motivi generici (ad esempio conflittualità, problemi economici, inidoneità genitoriale, problemi abitativi), senza una reale possibilità di ascoltare i genitori e i minori coinvolti, sulla sola base dei rapporti dei servizi sociali e delle perizie psichiatriche o psicologiche». Così si esprimeva l’allora Vice Presidente del Parlamento Europeo Roberta Angelilli, nell’interrogazione del 28 giugno 2013, precisando che per applicare correttamente la legge italiana ed internazionale il più delle volte sarebbero sufficienti pochi e mirati sostegni alla realtà familiare. La legge, infatti, è chiara: «Il minore ha diritto di crescere ed essere educato nell'ambito della propria famiglia. Le condizioni di indigenza dei genitori o del genitore esercente la potestà genitoriale non possono essere di ostacolo all'esercizio del diritto del minore alla propria famiglia. A tal fine a favore della famiglia sono disposti interventi di sostegno e di aiuto» (Legge 28 marzo 2001, n. 149, Diritto del minore alla propria famiglia, Tit. I, artt. 1, 2).
Quale la situazione in Italia dopo l’interessamento in sede europea di 3 anni fa riguardo del problema degli “allontanamenti facili”?
Sta emergendo in modo sempre più insistente tale fenomeno che coinvolge intere famiglie o singoli genitori in fase di separazione, in virtù di un intenso lavoro di autorità pubbliche, associazioni come “Adiantum”, “Tu sei mio figlio”, Il Centro Italiano di Ricerca Scientifica Operativa nella Psicanalisi e nell’Educazione, attraverso pubblicazioni, convegni, interventi diretti di sostegno. Si rileva talvolta un acritico ed imprudente affidamento dei Tribunali ai pareri dei servizi sociali o alle perizie di psicologi o psichiatri, con impostazioni scientifiche e culturali diverse e non sempre palesemente specificate, spesso durante procedimenti di urgenza, che lasciano poco spazio ad un esame ponderato e distaccato.
Il Gruppo di Lavoro per la Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza ha persino parlato di «attuale inesistenza di politiche minorili, in un contesto di default del sistema di welfare». Stando alle rilevazioni del Ministero del lavoro e dei servizi sociali del 2014, aggiornate al 2012, sarebbero 28.449 i bambini e ragazzi fuori famiglia in Italia, dove l’incremento di affidamenti della classe prevalente rappresentata da quelli dai 15 ai 17 anni è stato dal 20% nel 1999 al 27% nel 2011. In generale, si nota una sostanziale equa distribuzione delle accoglienze tra affidamento familiare e servizi residenziali, con una maggior difficoltà di tenuta dell’accoglienza nelle comunità. I dati, in genere relativi ad alcune regioni italiane, variano sensibilmente dall’una all’altra. Molto più difficile è trovare dati che riguardano gli allontanamenti da uno dei due genitori nelle separazioni, soprattutto dopo che la legge ha favorito l’affido condiviso.
L’interrogazione di Roberta Angelilli, altresì, rilevava: «Allo stato attuale, non si riesce a distinguere gli allontanamenti realmente necessari da quelli che, con un'adeguata politica di sostegno alle famiglie in grado di prevenire e risolvere i disagi, potrebbero essere evitati, soprattutto senza allontanare i bambini dai propri genitori». Anche oggi, dal punto di vista giuridico, invero, si parte da una normativa nata per affrontare i casi di grave violenza domestica sui minori, per poi applicarla ai casi di difficoltà psicologica. Si fa, infatti, ricorso all’art. 333 del Codice civile che prevede l’allontanamento quando ci sono condotte “pregiudizievoli per il figlio” e all’art. 403, che contempla anche il caso di incapacità all’educazione per “ignoranza”, come valido per un provvedimento di questo genere. Tale norma viene interpretata con altrettante sottospecie, tra le quali viene citata l’alta incapacità educativa dei genitori o l’interesse del minore (Camera dei Deputati. Servizio studi, Allontanamento di minori dalla propria famiglia e loro accoglienza in strutture esterne e/o familiari, 25 febbraio 2015).
Si comprende facilmente quanto incida tuttora la soggettività dei diversi esperti coinvolti in tali procedimenti, quando sono in gioco valori educativi e relazioni intime. A ciò si aggiunga anche la significativa prevalenza dell’affidamento giudiziale rispetto a quello consensuale, a motivo, per lo più, della conflittualità e della non accettazione da parte della famiglia. Per quanto concerne la durata dell’accoglienza, i bambini e gli adolescenti in affidamento familiare da oltre due anni costituiscono la maggioranza degli accolti. Ciò pare interessante, tenuto conto che la legge 149/01 individua il periodo massimo in ventiquattro mesi, prorogabile da parte del Tribunale dei Minori laddove se ne riscontri l’esigenza. A ciò si aggiungono, stando a quanto rilevano i professionisti coinvolti, problematiche derivanti dalla congestione dei Tribunali e il mancato collegamento tra la sezione famiglia del Tribunale e il Tribunale dei minori.
In occasione di un intervento, poi, del Comune di Trento del 2013 a favore della prevenzione dell’allontanamento dei minori e del recupero delle relazioni familiari, si rilevava che negli anni si è registrato un incremento di situazioni problematiche che richiedono azioni di sostegno alla famiglia. E l’alta percentuale di bambini che in meno di un anno tornano in famiglia dimostra che con un’adeguata azione domiciliare molti allontanamenti avrebbero potuto essere evitati.
A ciò fa da contorno la denuncia di finanziamenti di milioni di euro da parte della Provincia alle case famiglia e l’opposizione netta verso proposte di legge volte a favorire un incremento dei collocamenti in famiglia. L’attività comunale ha messo in luce nel 2012 anche le motivazioni degli allontanamenti: il 37% dei bambini per inadeguatezza genitoriale; il 9% per problemi di dipendenza di uno o entrambi i genitori; l’8% per problemi di relazioni nella famiglia; il 7% per maltrattamenti e incuria; il 6% per problemi sanitari di uno o entrambi i genitori. Secondo l’indagine ministeriale, si scopre che i motivi rimandano in maniera prevalente a situazioni di povertà materiale, innanzitutto economica (44%), ma anche abitativa (24%). Le difficoltà relazionali costituiscono poi il secondo motivo (32%), a cui seguono problemi lavorativi di uno o entrambi i genitori (19%), maltrattamento e incuria del minore (18%).
Ci sono stati, quindi, interventi in sede politica, in particolare a Trento e a Roma, tesi ad ottenere la rivisitazione del ruolo dei Servizi Sociali e la prevalenza dell’affido interfamiliare, al fine di evitare invadenze nella responsabilità genitoriale e la pretesa di disciplinare processualmente affetti e dinamiche familiari. Nel Rapporto biennale 2011-2012 dell’Osservatorio nazionale sulla famiglia si afferma: «Tutte le esperienze mostrano che il capitale sociale costituito dalle relazioni familiari rappresenta un patrimonio che non potrà mai essere rimpiazzato da interventi sostitutivi che mettano in evidenza solo la fragilità e la debolezza delle famiglie».
In una società, dunque, in cui si facilitano le adozioni alle coppie omosessuali, si spezza il legame madre-figlio con l’aborto, si manipola il rapporto coniugale con la pratica della fecondazione artificiale, che, con un’efficacia di poco inferiore al 10% dei bambini nati, si fa complice di innumerevoli vite umane congelate o “perse” durante la procedura, non ci si può sorprendere se si verificano difficoltà procedurali in un ambito in cui, da anni, dopo la legge sul divorzio, si stenta a riconoscere e rispettare ruoli e rapporti familiari. Come si legge nel Compendio di dottrina sociale della Chiesa: «La famiglia, comunità naturale in cui si esperimenta la socialità umana, contribuisce in modo unico e insostituibile al bene della società» (cap. 5, nn. 212, 213).
Essa così precede lo Stato che ha il compito di aiutarla a realizzare i suoi scopi di educazione e crescita dei figli. La disgregazione che oggi la coinvolge apre, però, il fianco ad un’invadenza della sfera pubblica, investita ormai dell’onere delle scelte educative ed etiche, in virtù della squalificazione della famiglia operata dalle ideologie materialiste ed idealiste.
Questo manifesta con chiarezza che, quando la natura uscita dalle mani del Creatore è pesantemente manipolata o negata, i frutti non possono essere se non la violenza cieca di fronte ai veri diritti che, se rispettati, rendono umana la convivenza.