Stark, il sociologo agnostico che apprezzava la religione
È morto Rodney Stark, massimo sociologo delle religioni. Da agnostico ha infranto molti luoghi comuni e pregiudizi specialmente anticattolici. Secondo Stark la religione non è affatto l'"oppio dei popoli" e quella del terzo millennio sarà ancora una società religiosa, nonostante le profezie positiviste. Con un futuro persino in Cina.
Leggendo l’opera di Rodney Stark si passa dal considerare la religione “oppio dei popoli”, secondo la vulgata marxista, a fattore di civiltà e progresso. Il massimo sociologo delle religioni è morto a 88 anni lasciando pagine estremamente significative che uniscono rigore scientifico a una prosa estremamente divulgativa, permettendo anche ai non addetti ai lavori di entrare in contatto con i suoi studi e di sfatare numerosi luoghi comuni, smascherando quel sottile complesso di inferiorità che affligge molti cattolici messi in soggezione dalle colpe loro attribuite prima ancora di verificarle.
La religione sarebbe destinata a finire, la religione avrebbe causato solo male, e la presenza di più religioni farà in modo che non si crederà in nessuna. Si potrebbero sintetizzare così alcuni dei “dogmi” capillarmente diffusi tra la gente comune e non solo. Persino tra i suoi colleghi, quei sociologi della religione – su cui Stark ironizzava – che però disprezzavano a priori il loro “oggetto” di studio. Con La scoperta di Dio, il sociologo scomparso «voleva chiudere i conti con gli studiosi accademici delle religioni, molti dei quali – piuttosto curiosamente – non sono religiosi, odiano le religioni e considerano le persone religiose inguaribilmente arretrate, se non affette da una malattia di cui si dovrebbe cercare la cura», come riferiva il sociologo Massimo Introvigne, direttore del Cesnur e coautore di diversi titoli con Stark, il quale non era affatto di parte...
«Non sono cattolico e non ho scritto questo libro per difendere la Chiesa. L’ho scritto per difendere la storia»: così Stark nel suo False testimonianze. Come smascherare alcuni secoli di storia anticattolica. Un titolo che ci si aspetterebbe da un apologeta, non da un agnostico di famiglia luterana. E che per di più ha insegnato all’Università di Washinton e alla Baylor University (un ateneo battista) e che annovera decine di pubblicazioni. Oltre ai titoli già citati (pubblicati in italiano dalle Edizioni Lindau), troviamo, per esempio, Il trionfo del cristianesimo, in cui ribalta l’etichetta dei “secoli bui” medievali che invece furono densi di fervore culturale e innovazioni tecnologiche (evidentemente con i mezzi dell’epoca). Oppure La vittoria della ragione, dove Stark osa un’operazione considerata “blasfema” dal politically correct, cioè abbinare ragione e religione. E ancora Un unico vero Dio. Le conseguenze storiche del monoteismo.
La religione ha infatti anche risvolti storici, sociali, eccetera: quello di una religione sterile o ininfluente (se non in negativo) è uno dei primi miti che cadono grazie alla lettura di Rodney Stark. Essa svolge un ruolo nella storia, e già questo di per sé costituisce un fatto storico tutt’altro che marginale. Del resto è curioso che il diffuso pre-giudizio antireligioso (in un’epoca che si profonde in relativistico rispetto di qualsiasi credenza) si concentri in modo ossessivo sul cristianesimo, in particolare sul cattolicesimo, e quindi con singolare accanimento sul Medioevo. E invece, Stark cita il filosofo e matematico inglese Alfred North Whitehead, secondo il quale «la scienza si sviluppò soltanto nell’Europa cristiana perché soltanto l’Europa medievale credeva che la scienza fosse possibile e auspicabile», in virtù della concezione della razionalità dell’universo creato da un Dio razionale.
Molto meno razionali, a suo avviso, sembrano certi atei moderni, i quali «non riescono a capire che la scienza si limita al mondo naturale, empirico, e non è in grado di dire nulla su un mondo spirituale, non empirico – tranne negarne l’esistenza», naturalmente a priori, con piglio dogmatico a scanso delle professioni di laicismo. Essendo peraltro in minoranza, poiché nonostante la scomparsa della religione vaticinata dal positivismo, «il 74 per cento della popolazione mondiale considera la religione una parte importante della sua vita e che gli atei ci sono, ma sono pochi», mentre il cristianesimo continua a crescere: non è un «fenomeno lineare e continuo» e potrebbe rallentare in Africa, dove ci sono già state molte conversioni e «continuerà in Asia, specie nei Paesi economicamente più sviluppati» – dichiarava nel 2015 intervistato su Cristianità.
Stark non studiava solo il ruolo passato della religione, ma anche il presente. E anche qui era in grado di offrire una lettura alternativa al mainstream, come in queste righe riportate da Tempi: «Non credo che l’Occidente cristiano stia diventando intollerante. Credo che l’Occidente non-cristiano stia diventando intollerante: in alcuni paesi europei ci sono leggi contro il cosiddetto hate speech che vietano la lettura in pubblico di alcuni passaggi della Bibbia».
Ma persino il ruolo storico della religione finisce per contenere richiami all’attualità. In Ascesa e affermazione del cristianesimo descrivendo – sul piano sociologico – gli albori della fede cristiana Stark annovera, tra i fattori che hanno contribuito alla sua diffusione, anche la risposta concreta – ispirata da un elemento religioso, come l’amore cristiano – a una situazione drammatica: l’epidemia di vaiolo che colpì l’impero sotto il regno di Marco Aurelio. Laddove il fatalismo dei pagani li portava a fuggire e abbandonare gli infetti, i cristiani li soccorrevano.
In breve, dai testi del grande sociologo scomparso emerge che il cristianesimo è stato (ed è) tutt’altro che sterile e tutt’altro che finito. Ha retto alla modernità (smentendo le profezie positivistiche secondo cui la scienza ne avrebbe preso il posto) e persino alla concorrenza. Rodney Stark è noto per la teoria dell’“economia religiosa”, basata su un’analogia tra le dinamiche innescate dal libero mercato in ambito economico e quelle corrispondenti in ambito religioso, come dimostra la situazione degli Stati Uniti, dove la molteplicità di religioni non ha portato affatto a spegnerle.
Insomma, il terzo millennio non sarà quello della miscredenza. E la religione avrà un ruolo crescente anche laddove appare più soffocata: addirittura in Cina, dove il comunismo ha spinto i cristiani a non farsi solo ammazzare, ma anche a organizzarsi per sopravvivere. I cristiani cinesi, affermava nel 2014 alla Bussola, sono il 5%: una minoranza, ma destinata a crescere, specie tra i più istruiti, e quindi a influire: «si deve tenere conto che si tratta dell'élite della nazione, con una possibilità di influenza culturale molto maggiore di quello che il semplice dato numerico farebbe presumere». Tutto questo per Stark smentiva il mito della “religione oppio dei popoli”, piuttosto – con una frecciatina ai suoi colleghi – «il mito della Cina comunista come società atea e post-religiosa è emerso come l'oppio dei sociologi».