Srebrenica, la vergogna mondiale non è stata cancellata
Sono passati 20 anni da quel 11 luglio 1995 a Srebrenica dove i militari serbo bosniaci entrarono nella zona protetta dalle truppe olandesi e dell'Onu. Morirono 8372 musulmani. Emergono nuove responsabilità di Usa, Francia e Gran Bretagna, che non impedirono il massacro per non rompere le relazioni con i serbi.
ono passati vent'anni ormai da quel terribile 11 luglio a Srebrenica, ma ancora non si finisce di seppellire cadaveri né di discutere. 136 i corpi riesumati nel 2014 dalle fosse comuni, ricomposti e identificati per trovare finalmente degna sepoltura nel cimitero di Potocari, accanto alle 6241 tombe già esistenti. Ma dalla sepoltura al raggiungimento della pace eterna, per queste vittime, la strada è ancora lunga. Degli 8372 dispersi, scomparsi nel luglio del 1995, 7057 sono i riesumati da un'ottantina di fosse comuni, dette “secondarie” perché i cadaveri vennero messi qui dai militari serbo-bosniaci in seconda battuta, a guerra finita, per tentare di occultare le prove del massacro. Tanti mancano ancora all'appello, e non si smette di cercare perché chi non ha trovato traccia dei propri famigliari non ha intenzione di arrendersi.
Proprio come Razim Nukic che dal 1999, data del suo ritorno nel villaggio di Kamenica, ha svolto la macabra attività di “cacciatore di ossa”: cercava il padre e il fratello minore nei boschi intorno a Srebrenica, ma era come cercare un ago in un pagliaio perché non c'era giorno che non tornasse a casa con qualche resto umano. Così Razim è diventato uno dei più validi collaboratori dell'Istituto bosniaco per la ricerca dei dispersi: grazie a lui 300 vittime del genocidio di Srebrenica hanno un nome e un loculo. Finalmente quest'anno qualcuno ha riesumato i resti del padre di Razim da una fossa comune e il suo lavoro ossessivo trova un parziale riconoscimento: «Anche se il suo corpo non è completo, saprò finalmente almeno dov'è la sua tomba. Ma continuerò a cercare mio fratello e quello che rimane di mio padre, fino alla fine dei miei giorni».
I fatti di Srebrenica non dovrebbero essere più oggetto di discussione: due tribunali internazionali, la Corte Internazionale di Giustizia e il Tribunale penale internazionale per i crimini di guerra nell'ex Jugoslavia (ICTY), hanno riconosciuto quella strage come genocidio e cinque ufficiali serbo-bosniaci sono stati condannati. Ma le polemiche non si arrestano. Inaccettabile ancora per molti serbi la definizione di genocidio. «Furono risparmiate le donne e i bambini di età inferiore ai dodici anni», ci riferisce Sinisa Mihailovic, editor della Radiotelevisione della Repubblica Srpska, «non si trattava di un disegno sistematico per far scomparire un popolo, ma della necessità di difendersi». Così come Mihailovic, sono molti i serbi impegnati a negare il genocidio, a classificare gli eventi di Srebrenica come uno dei tanti crimini di quella guerra fratricida che sventrò la Bosnia tra il '92 e il '95. Per questo il presidente della Serbia Tomislav Nikolic non parteciperà oggi alle celebrazioni per il ventennale, non che non sia pronto a rendere omaggio alle vittime musulmane, ma non accetta che Bakir Izetbegovic (esponente musulmano della presidenza tripartita bosniaca) «non faccia lo stesso a Kravica, Bratunac e in altri luoghi». Sarà assente anche il presidente della Repubblica Srpska, Milorad Dodik, che ha definito il genocidio di Srebrenica «una menzogna».
A scaldare ulteriormente gli animi e a riportare di nuovo la questione al di là dalle scaramucce politichelocali, sottoponendola all'attenzione dei grandi attori internazionali, è stata l'Inghilterra. Si attende a breve il pronunciamento del Consiglio delle Nazioni Unite su un progetto di risoluzione presentato il 7 luglio dalla Gran Bretagna con cui si chiede di nuovo di condannare le atrocità di Srebrenica e rafforzare la prevenzione del genocidio in tutto il mondo. I contrasti su questa proposta hanno riportato alla ribalta divisioni vecchie sulla guerra nei Balcani, con la Russia schierata con i serbi di Bosnia e di Serbia, e i Paesi occidentali con i musulmani bosniaci. Ad aumentare le frizioni i processi ancora in corso a carico di Ratko Mladic, generale serbo bosniaco, e di Radovan Karazdiv, ex leader serbo. E ancora il braccio di ferro tra Sarajevo e Belgrado per l'estradizione dell'ex capo dell'esercito musulmano bosniaco Naser Oric, ritenuto il difensore di Srebrenica, che la scorsa settimana è stato consegnato dalle autorità elvetiche alla procura di Sarajevo, nonostante la Serbia avesse chiesto per prima l'estradizione. Oric era già stato assolto nel 2008 dal Tribunale Internazionale dell'Aja per i crimini commessi contro i serbi nell'area di Srebrenica, ma questa volta il mandato di arresto riguarda una strage di civili serbi avvenuta a Zalazje nel 1992, non considerata dall'Aja: i principi della Convenzione europea per l'estradizione e il diritto dell'accusato a non essere giudicato due volte per gli stessi fatti risultano dunque rispettati.
Nonostante ciò non più di due settimane fa in tutta la Bosnia si sono tenute manifestazioni per chiedere il rilascio dell'arrestato e a Sarajevo centinaia di veterani dell'esercito bosniaco hanno dimostrato davanti al Parlamento e sotto l'ambasciata svizzera. Ma la più grave e dolorosa tra le polemiche di questo ventennale è quella che emerge in seguito a un'inchiesta realizzata dal domenicale britannico The Observer su documenti recentemente declassificati. Secondo gli autori le potenze occidentali e i caschi blu olandesi ignorarono scientemente il massacro dei serbi sui musulmani che si trovavano in quella zona, protetta dell'Onu. Il motivo di questa scelta fu la speranza di ottenere più rapidamente un accordo che portasse alla pace: e così fu a novembre, pochi mesi dopo quel luglio, con gli Accordi di Dayton. Pare che le truppe delle Nazioni Unite fornirono anche 30mila litri di benzina per i camion che trasportarono le vittime nei campi di morte e per i bulldozer che ricoprirono le fosse comuni. Lo studio rivela che Gran Bretagna, Francia, Stati Uniti e i vertici Onu non potevano sapere del massacro che ne sarebbe seguito, ma erano a conoscenza dell'intenzione del generale Mladic di «far scomparire completamente i musulmani dall'intera regione» e sapevano anche dell'esistenza della “Direttiva 7” dell'esercito serbo-bosniaco, che ordinava la «rimozione permanente» dei musulmani bosniaci dalle aree protette dall'Onu, come Srebrenica, Zepa e Gorazde.
«Quello che serve in questo Paese è il coraggio del domani, è su questo che dobbiamo continuare a lavorare», Ruggero Corrias, ambasciatore italiano in Bosnia Erzegovina, apre la strada a una visione riconciliatoria di questo ventennale: «Abbiamo voluto che queste celebrazioni non riguardassero solo il passato, ma anche il futuro. Così l'11 sarà il giorno della memoria, e l'Italia parteciperà anche con la presenza della presidente Boldrini, e il 12 sarà il giorno della pace». L'ambasciata porterà al Teatro Nazionale di Sarajevo la Filarmonica della Scala e offrirà a tutti un Concerto per la pace, dedicato alla speranza e alla riconciliazione, dedicato al domani della Bosnia. Anche le autorità serbe vi prenderanno parte e questo è un traguardo del lavoro diplomatico italiano, ma anche della società civile bosniaca. «Perchè la gente vuole superare frizioni, vuole guardare al domani. E proprio grazie a questa tensione verso il futuro del popolo bosniaco si sta andando al di là delle contrapposizioni politiche e ci si sta avviando in direzione dell'Europa». A Srebrenica oggi sono attese 50mila e 85 tra Capi di Stato e di governo.