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MEDIO ORIENTE

Siria: Russia e Occidente ai ferri corti

Con una dimostrazione di forza senza precedenti, i russi hanno iniziato a colpire obiettivi in Siria anche con missili lanciati dalla flotta nel Mar Caspio. E' un modo per rafforzare la loro coalizione: Iran, Iraq e governo di Damasco. La reazione stizzita delle diplomazie occidentali rivela il maggiore interesse a eliminare Assad piuttosto che l'ISIS.

Esteri 09_10_2015
Lancio di missili russi dal Caspio

La reazione occidentale al lancio dei missili da crociera russi contro le basi dello Stato Islamico in Siria effettuato dalle navi nel Mar Caspio è scomposta e mal cela la sorpresa per “l’americanata" di Putin.

Finora il lancio bellico di missili da crociera imbarcati su navi e sottomarini contro obiettivi terrestri era un’esclusiva delle flotte anglo-americana che avevano impiegato missili Tomahawk per dare il via ai conflitti contro iracheni, serbi, talebani e l’anno scorso proprio contro le basi dello Stato Islamico. I 26 missili Kalibr lanciati dalle corvette russe hanno volato per 1.500 chilometri sui territori di Iran, Iraq e Siria prima di colpire gli obiettivi con le testate da 450 chili di esplosivo. Un raid spettacolare, uno show di potenza che ha ribadito le capacità militari russe e sottolineato il peso della coalizione che unisce Mosca a Iran, Iraq e Siria intesa come alternativa alla Coalizione a guida statunitense con turchi, occidentali e arabi rivelatasi inconcludente e poco determinata a sgominare i jihadisti.

Per questo la reazione in Occidente è stata stizzita. Il segretario generale della NATO, Jens Stoltenberg ha dichiarato che “la Russia deve cessare di sostenere il regime di Bashar al-Assad”  perché l'intervento russo in Siria "non è un contributo positivo alla pace a lungo termine". Stoltenberg ha minacciato “risposte difensive e proporzionate” alle violazioni da parte di jet russi dello spazio aereo turco al confine con la Siria ma non ha spiegato se l’Alleanza Atlantica gioirebbe se il regime islamico (Isis più salafiti e al-Qaeda) rimpiazzasse quello di Bashar Assad. Stesse perplessità sollevano le affermazioni del ministro della Difesa britannico, Michael Fallon, per il quale “la Russia sta rendendo molto più pericolosa una situazione già molto seria" aggiungendo che "chiederemo esplicitamente alla Russia di smettere di sostenere il regime di Assad e di bombardare zone non controllate dall'Isis". Una conferma che la Gran Bretagna vuole una Siria governata da tagliateste e sharia.

Per il segretario alla Difesa statunitense, Ashton Carter, "la Russia sta seguendo una strategia sbagliata" e colpendo obiettivi che non sono solo dell'Isis "sta facendo un errore". Lo ha detto mercoledì a Roma sottolineando che gli Usa "non collaboreranno" con la Russia "finché loro continueranno a perseguire questi obiettivi".

Obiettivi che Putin ha precisato nettamente: aiutare Bashar Assad e coinvolgere i ribelli moderati (curdi e ed Esercito Siriano Libero) a combattere le milizie jihadiste (ISIS ed Esercito della Conquista composto da salafiti, al-Qaeda e Fratelli Musulmani definiti tutti “terroristi”) per poi avviare una transizione che faccia uscire di scena Assad. Un progetto politico che punta a togliere di mezzo gli estremisti islamici e che (solo in teoria) dovrebbe essere quindi condiviso in un Occidente minacciato direttamente dall’islamismo. Evidentemente così non è e questo sta creando non pochi problemi di consenso alle leadership occidentali e soprattutto europee che devono fare i conti con opinioni pubbliche che non comprendono perché si debba criticare Mosca quando bombarda gli estremisti islamici.

I successi militari, esaltati e ingigantiti dall’abile propaganda russo-siriana, mirano a consolidare il consenso intorno al ruolo di Mosca in Medio Oriente e ad allargare la “nuova coalizione”. L’efficienza e la potenza militare russe affascinano l’Iraq che da un anno lamenta la cronica insufficienza dei raid aerei USA e occidentali e solo le pressioni di Washington hanno per ora sconsigliato il governo iracheno dal formalizzare la richiesta di raid russi sul suo territorio. Una tentazione non da poco specie dopo che l'ambasciatore siriano a Mosca, Riyad Haddad, ha dichiarato che le incursioni russe hanno provocato la distruzione del 40% delle infrastrutture dello Stato islamico, lo sfaldamento di alcuni reparti dell’Isis segnalati in ritirata verso il confine turco e addirittura la resa di 400 miliziani.

Informazioni ovviamente tutte da verificare ma funzionali al progetto di Mosca di allargamento della “sua” Coalizione. Il ministero della Difesa russo ha fatto sapere di avere aperto il dialogo con l’Esercito Siriano Libero, che diede il via alla rivolta contro il regime di Assad ma si trova oggi schiacciato tra ISIS ed Esercito della Conquista. Mosca propone l'unione delle forze dell'ESL e governative per combattere lo Stato Islamico e gli altri gruppi “terroristici” di  ispirazione islamista per poi avviare una transizione controllata al riparo da derive jihadiste.

L’opposizione dell’Occidente a questo progetto la dice lunga sulla reale volontà di USA ed Europa di combattere l’estremismo islamico. L’adesione al progetto russo la stanno valutando anche i curdi siriani che in alcuni settori combattono già l’ISIS al fianco dei soldati di Assad e che sono in cerca di garanzie internazionali da quando i turchi hanno iniziato in luglio una campagna di raid aerei che prende di mira i curdi invece dello Stato Islamico e continuano a premere per istituire nel nord della Siria una “zona cuscinetto” di cui farebbero le spese soprattutto i curdi.