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MEDIO ORIENTE

Siria, l'intervento russo salva Bashar al Assad

Prosegue senza sosta il ponte aereo russo destinato ad aiutare l'esercito regolare siriano. Non è ancora chiaro se i militari mandati da Mosca abbiano già iniziato a combattere contro Isis e ribelli siriani. Quel che è già certo è che l'intervento russo ha cambiato completamente l'agenda della diplomazia. Gli Usa non pongono più come condizione preliminare la rimozione di Assad.

Esteri 27_09_2015
Bashar al Assad

Anche se solo nelle ultime ore si registra l’atterraggio di 15 cargo militari russi pieni di equipaggiamento militare a Latakya non è ancora chiaro se le truppe di Mosca schierate in Siria abbiano già sostenuto i primi scontri a fuoco con le diverse formazioni jihadiste. L’unico aspetto che appare certo è che i militari russi hanno salvato Bashar Assad costringendo una Casa Bianca, sempre più confusa e in imbarazzo, a rivedere la politica nei confronti del regime di Damasco.

Fin dal 2012 Washington, Londra e Parigi (seguiti dai soliti proni alleati europei) avevano definito l’uscita di scena di Bashar Assad una pregiudiziale per discutere il futuro della Siria. Ora, dopo che i russi sono intervenuti in armi e “boots on the ground”. il Segretario di Stato John Kerry ha accettato di rimuovere la precondizione per consentire il rinnovato dialogo con Mosca, che culminerà lunedì nell’incontro tra Obama e Putin a New York. Kerry ha ribadito che il presidente siriano dovrà andarsene, ma senza stabilire una data. Nonostante il dialogo, le posizioni restano evidentemente molto diverse. "E' mia profonda convinzione che qualunque azione finalizzata a distruggere il legittimo governo di Bashar al Assad in Siria creerà una situazione come quella che si può vedere ora in altre regioni, per esempio in Libia, dove tutte le istituzioni statali sono state annientate" ha detto Vladimir Putin alla CBS.

Opposta la posizione di Londra, dove il ministro degli Esteri britannico Philip Hammond ha detto invece  che l'incremento della presenza militare russa in Siria "complica la situazione" perché rinforza il presidente Bashar al-Assad e aumenta la "responsabilità morale di Mosca per i crimini commessi dal regime" precisando che "Assad deve andarsene e non può essere parte del futuro in Siria".

Il confronto tra Russia e Stati Uniti sulla guerra in Siria è “un processo" in cui "tutte le parti in causa" si metteranno d'accordo, ha sottolineato Kerry  ribadendo che la “presenza di aerei da caccia e sistemi missilistici terra-aria russi in Siria solleva seri interrogativi" dopo che la Casa Bianca l’aveva definita “elemento di destabilizzazione” e “potenziale minaccia per la Coalizione”.

In realtà Mosca è diventata protagonista della crisi in Medio Oriente scavalcando USA e tutti gli altri attori proprio grazie al suo intervento militare in Siria che ha obbligato Washington ad accettare il dialogo proposto da Putin per coordinare gli sforzi internazionali contro il terrorismo. Usa e Russia possono trovare "spazi per cooperare" in Siria ha affermato venerdì il Segretario alla Difesa, Ashton Carter, e del resto se un’alleanza è improbabile almeno un accordo tecnico-militare è indispensabile per evitare incidenti e pericolosi confronti armati nell’affollato cielo siriano sorvolato dai jet armati della Coalizione, turchi, russi , israeliani e ovviamente siriani.

La visita di Benjamin Netanyahu a Mosca, lunedì scorso, ha sottolineato il fatto che ormai è Mosca l’arbitro del conflitto siriano dopo che già nell’estate del 2013 l’intervento di Putin riuscì a scongiurare i raid aerei di USA e alleati contro Damasco negoziando la consegna degli arsenali chimici del regime. In Siria, intanto, sono ormai sbarcati a Latakya e Tartus tra i 2.000 e i 3.500 militari russi con droni, una dozzina di carri T-90, decine di veicoli da combattimento BTR 82, elicotteri da combattimento MI-28 e almeno due dozzine di cacciabombardieri tra caccia Sukhoi Su-30, bombardieri Su-24 e aerei da attacco Su-25.

Secondo fonti israeliane le truppe russe sarebbero già in azione tra Aleppo e Homs dove l’ISIS minaccia di interrompere l’Autostrada 4 separando Damasco dai territori costieri e del nord ancora in mano al regime. Mosca per ora nega, ma senza particolare enfasi, anche le indiscrezioni circa la presenza di fanti di marina e forze speciali russe sulle colline a est di Latakya, a protezione della fascia costiera abitata da sciiti alawiti. Dopo un anno di fallimentare azione militare occidentale,  Mosca sembra voler dimostrare che  “un’altra Coalizione è possibile”. A Baghdad è stato infatti istituito un comando militare congiunto di coordinamento delle operazioni contro i jihadisti che riunisce russi, iraniani, siriani e iracheni. Secondo Fox News, che ha appreso la notizia da fonti di intelligence occidentali, nella cellula di coordinamento sono presenti alcuni generali di brigata russi. Secondo funzionari statunitensi non sarebbe certo il coinvolgimento delle forze armate irachene nel nuovo comando, ma è ovviamente improbabile che un tale organismo venga costituito a Baghdad senza che gli iracheni ne facciano parte.

Del resto, su tutto il fronte della lotta all’ISIS il ruolo degli USA appare compromesso. Lo conferma anche l’ennesima defezione dei “combattenti siriani moderati” delle Nuove Forze Siriane, addestrati dagli statunitensi in Turchia, per combattere l’ISIS nell’ambito di un programma triennale che prevedeva 1,5 miliardi di dollari di spesa per istruire e armare 16.200 miliziani. Il primo gruppo di combattenti (54 uomini) è stato attaccato dai qaedisti del Fronte al-Nusra in agosto e si è unito a loro, come hanno fatto del resto (senza neppure opporre resistenza) i 75 componenti del secondo gruppo che, come alla fine hanno dovuto ammettere fonti militari americane, dopo che il Pentagono aveva inizialmente negato.

Le foto diffuse dal Fronte al-Nusra di pick up, armi e munizioni consegnate dai combattenti delle Nuove Forze Siriane hanno seppellito nel ridicolo il programma di addestramento statunitense e il ruolo degli USA e della Coalizione da loro guidata contro l’ISIS. Una Coalizione in cui risulta inoltre praticamente nullo il ruolo delle monarchie arabe del Golfo, in serie difficoltà con la propria opinione pubblica quando si tratta di colpire i “fratelli sunniti” dello Stato Islamico. Non è un caso che molto spazio anche mediatico venga assicurato a Riad e nelle altre capitali arabe del Golfo Persico alla ben più popolare guerra in Yemen che coinvolge ormai 30 mila soldati sauditi, qatarini e degli Emirati ma dove il nemico da combattere sono gli sciiti Houthi.

Per Mosca combattere in Siria vuol dire anche difendere la porta di casa. Secondo i servizio segreti (FSB) tra i miliziani di ISIS e Fronte  al-Nusra vi sarebbero non meno di 2.400 cittadini russi. Accettando la sfida l’ISIS ha fatto sapere tramite un imam di Raqqa (capitale dello Stato Islamico) che “taglieremo le teste dei soldati russi in Siria”.