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IL PUNTO

Sinodo, l'immagine triste di una Chiesa al traino del mondo

Ascolto, dialogo, accompagnamento, discernimento. Al Sinodo risuonano le solite parole d'ordine, ma i resoconti e le interviste di coloro che guidano l'assemblea ci danno l'immagine di una Chiesa più preoccupata del consenso del mondo, e dei giovani, che non di una proposta di significato pieno della vita.

- ASCOLTO? SÌ, MA DI DIO, di Angela Pellicciari

Ecclesia 09_10_2018

Ascolto, dialogo, accompagnamento, discernimento. Anche al Sinodo sui giovani le parole d’ordine sono quelle che ormai siamo abituati a sentire da un po’ di tempo. E i briefing quotidiani ci riferiscono di quanto sia bello il clima di ascolto e di dialogo instauratosi nell’aula sinodale: si parla di tutto, «senza pregiudizi». Un «processo di reale incontro e ascolto tra generazioni», aveva sintetizzato qualche giorno fa il segretario speciale del Sinodo, il gesuita padre Giacomo Costa.

Eppure, a giudicare dai resoconti e dalle dichiarazioni di coloro che guidano il Sinodo si ha l’impressione di un vuoto terribile. In qualche modo lo ha rilevato anche monsignor Charles Chaput, arcivescovo di Philadelphia, nel suo intervento, quando ha messo in guardia da un ascolto fine a se stesso, che dimentica di «annunciare Cristo senza esitazioni e senza scuse». In effetti, leggendo l’Instrumentum Laboris, leggendo le interviste ai segretari del Sinodo, ascoltando i briefing quotidiani che riferiscono sull’andamento dei lavori, emerge una Chiesa che non ha nulla da dire, nulla da proporre. Come se la testimonianza del Vangelo sia tutta nell’ascoltare quel che i giovani hanno da dire, accompagnarli nei loro sogni, trovare un linguaggio per entrare in sintonia.

Per comunicare cosa poi? Questo non si sa. Anzi, è la Chiesa che si deve “convertire”, deve cambiare, ascoltando i giovani. È quello che fa capire bene il già citato padre Costa che in una intervista a Quotidiano Nazionale ha spiegato all’inizio del Sinodo che dai giovani sono arrivate provocazioni su molti temi, che poi in realtà si finisce sempre sulle stesse cose: l’omosessualità, il gender, il sesso pre-matrimoniale, la discriminazione verso le donne anche in ambito ecclesiale. Ebbene, dice padre Costa, «questi stimoli sono affidati ai padri sinodali, perché si lascino toccare in profondità. Sono convinto che il loro discernimento consentirà di mettere a fuoco la direzione su cui la Chiesa è invitata a incamminarsi». E ancora: «I ragazzi si aspettano che la Chiesa cambi, che sappia essere più vicina».

È l’immagine triste e terribile di una Chiesa costretta a inseguire il mondo, per avere ancora diritto a un posticino nella società, per sentirsi ancora utile, per sopravvivere. Non c’è nulla che ricordi che l’unica cosa che la Chiesa può offrire è una proposta di significato pieno della vita, quell’incontro con Cristo che dà senso a tutte le cose, e che dunque rende pienamente ragionevole l’insegnamento che da Cristo in poi la Chiesa ci ha tramandato. Certe affermazioni sembrano la fotocopia dei discorsi dei leader di quei partiti che, all’indomani di una sconfitta elettorale, dicono che «dobbiamo tornare a farci capire dalla gente».

Si dice che bisogna dialogare su tutto, «affrontare in maniera concreta argomenti controversi come l’omosessualità e le tematiche del gender, su cui i giovani già discutono con libertà e senza tabù», è scritto nell’Instrumentum Laboris. Si vuol dare l’idea di una Chiesa che dopo secoli di chiusura finalmente intende affrontare temi finora accuratamente evitati, coperti da «dottrine astratte». In realtà è solo un trucco linguistico che nasconde tutt’altra intenzione. Perché di certi temi se ne parla fin dall’Antico Testamento, e la Chiesa ne ha sempre parlato con piena comprensione di cosa si muove nel cuore e nella mente dell’uomo, da Gesù fino a Benedetto XVI.

La novità di questo Sinodo – e più in generale di un certo andazzo nella Chiesa – non è nel fatto che di certi argomenti se ne parli, ma che si metta in discussione ciò che la Chiesa ha sempre annunciato come verità dell’uomo. Ecco, ad esempio, cosa ha detto un padre sinodale, secondo quanto riferito nel briefing da Paolo Ruffini, il nuovo prefetto del Dicastero vaticano per la comunicazione (e la scelta degli interventi da riferire in questi briefing non è certo casuale): il tema è quello «del sesso e della castità prematrimoniale, dell’astinenza prima delle nozze»; il padre sinodale – riprendiamo dal resoconto di Avvenire - sottolinea come la posizione della Chiesa su questo aspetto pone «due rischi: da una parte rischia di far sposare le coppie prima del tempo di un’adeguata maturazione della loro volontà, dall’altra di provocare un allontanamento dal sacramento di chi non riesce a vivere la vita di coppia senza rapporti sessuali». Davanti a questo divieto, ha detto ancora il padre sinodale, ci sono ragazzi che «perdiamo per un po’», alcuni ritornano, altri «li perdiamo per sempre».

È l’immagine fedele di una Chiesa che si è appiattita sulla ricerca del consenso, che non riconosce più la verità sull’uomo che Gesù ci ha rivelato. Lo ha ricordato anche il vescovo Chaput che, contestando la presenza di un linguaggio Lgbt nell’Instrumentum Laboris, ha detto che «ciò che la Chiesa afferma come verità della sessualità umana, non è un ostacolo, ma è l’unica vera strada alla gioia e alla pienezza di vita». E più in generale «gli adulti hanno il compito di trasmettere la verità del Vangelo di generazione in generazione, intatta da compromessi e deformazioni. Troppo spesso però, i responsabili della mia generazione, nelle nostre famiglie e nella Chiesa, per una combinazione di ignoranza, vigliaccheria e pigrizia hanno abdicato alla responsabilità di educare i giovani a passare la fede nel futuro».

Ecco, il problema è qui, nella fede. Non si parla più per fede, ma per calcolo politico. Certo, non tutto è così nella Chiesa. Sicuramente, come è accaduto per Chaput, ci saranno altre voci in queste settimane che richiameranno al compito vero della Chiesa, ma difficilmente ne sentiremo parlare dalla segreteria del Sinodo. Perché chi guida l’assemblea è più preoccupato di promuovere la propria agenda.