Sinodo Amazzonia: vescovi, rigettate quel documento
L'Instrumentum Laboris per il Sinodo sull'Amazzonia, presentato lunedì, è un testo gnostico che contraddice la fede cattolica. Si può solo sperare che i Padri sinodali lo ricusino e ne stilino uno nuovo. Oltre a contenere analisi molto discutibili sull'Amazzonia, le cui popolazioni non avrebbero neanche bisogno della liberazione portata da Cristo, c'è l'idea che la salvezza derivi da una prassi e l'esaltazione di un primitivismo ecologistico della vita nel "tutto" della Madre Terra. Un testo del tutto inaccettabile.
L’Instrumentum Laboris del prossimo sinodo dei vescovi sull’Amazzonia, presentato alla stampa due giorni fa, ha un impianto inaccettabile e si spera che i Padri sinodali lo ricusino e ne stilino uno nuovo. Darebbero così prova di carità e di verità. Il motivo di fondo di questa nostra drastica proposta riguarda non le tante pesantezze e incongruità che il testo contiene, ma la sua anima nascosta, il sottile filo teologico che collega insieme le parti. È quello a non essere accettabile.
Il testo (clicca qui) è densamente farcito con la neo-lingua ecclesiale di oggi. Non si contano le parole come sinodalità, Chiesa in uscita, scelta dei poveri, dialogo, ascolto, discernimento, conversione ecologica, periferie geografiche ed esistenziali, e le tante altre che ormai abbiamo tutti a noia perché le sentiamo ripetute per dovere istituzionale, come manifesto ideologico, per moda comunicativa o per servile compiacenza.
Contiene anche un'analisi molto discutibile della situazione dell’Amazzonia dal punto di vista scientifico, e dei caratteri delle culture delle popolazioni indigene dal punto di vista dell’antropologia culturale: tali culture non rappresentano per nulla un mondo idilliaco, equilibrato, conviviale come il documento ci vorrebbe far credere. Il loro paganesimo non era e non è fonte di libertà ma di molteplici schiavitù. I rapporti interni alle loro vite tribali conoscono forme crude di violenza, di ingiustizia e di segregazione.
L’Instrumentum laboris contiene pure una ingiusta e improvvida demonizzazione dell’evangelizzazione del continente più volte rimarcata in tutto il testo. Il lettore, poi, davanti alle svariate proposte pratiche e ai suggerimenti pastorali che chiudono i vari capitoli, capisce che si tratta di cose che non verranno mai fatte, essendo troppe, troppo generiche e troppo impari rispetto alle forze di un cattolicesimo latinoamericano in grande difficoltà e per rivitalizzare il quale non sarà sufficiente la lotta per i diritti dei popoli indigeni.
Tutti questi elementi lasciano perplessi e, spesso, sconcertano. Anche da soli metterebbero una seria ipoteca sulla utilità del documento. Tuttavia – come ripetiamo – il vero problema non sta in questo. Si tratta piuttosto di una chiara venatura gnostica che anima tutto il testo.
Nella sostanza viene proposto di leggere il messaggio di Cristo alla luce della cultura ancestrale e panenteistica delle popolazioni indigene. Il paganesimo – ossia una religiosità del mito che non conosce il Logos -, è presentato come sano esempio di multireligiosità in cui si manifesterebbe lo Spirito Santo, qualcosa di parallelo alla biodiversità sul piano ambientale. L’animismo è presentato come una valida ed elevata dimensione spirituale che coglie il senso del tutto e vi si immedesima, usando un linguaggio narrativo esoterico a cui si dovrebbe conformare il linguaggio della Chiesa. La ritualità indigena è considerata “essenziale per la salute integrale” in quanto crea “armonia ed equilibrio tra gli esseri umani e il cosmo". Essa è quindi vista come valida esperienza del sacro, aliena da superstizione, magia, stregoneria, sciamanesimo, e da tenere presente come spunto per l’inculturazione della liturgia cattolica. Il creato è chiamato gnosticamente la “Madre Terra”, nel cui grembo tutti noi viviamo in connessione “con le varie forze spirituali”, da essa nutriti in una uguaglianza integrale tra gli esseri viventi da cui l’uomo non emerge per alcuna forma di elezione divina.
L’Amazzonia sarebbe “piena di vita e di saggezza”; le sue culture ispirano “nuovi cammini, sfide e speranze”; i suoi popoli vivrebbero in modo mirabile “l'armonia dei rapporti tra l’acqua, il territorio e la natura, la vita comunitaria e la cultura, Dio e le varie forze spirituali”; l’Amazzonia è un luogo “di significato per la fede o l'esperienza di Dio nella storia … un luogo epifanico … una riserva di vita e di saggezza per il pianeta, una vita e una saggezza che parlano di Dio”; da essa promana “un insegnamento vitale per una comprensione integrale dei nostri rapporti con gli altri, con la natura e con Dio”; in Amazzonia “La vita è un cammino comunitario dove i compiti e le responsabilità sono divisi e condivisi in funzione del bene comune”.
Una Amazzonia simile che bisogno ha dell’annuncio della liberazione di Cristo? Tutt’al più ne ha bisogno perché quel paradiso è sotto minaccia delle industrie estrattive, ne ha bisogno come azione sociale rivendicativa, c’è bisogno di Cristo per liberare l’Amazzonia ma non per liberarla anche dall’Amazzonia, piuttosto per ripristinare l’Amazzonia pura, originaria, primitiva, che ha dentro di sé tutti i criteri del “buon vivere” e da cui la Chiesa deve imparare. È questa “conoscenza” (Gnosis) che ci salverà e non la dottrina, la vita e il culto della Chiesa di Cristo? Sembra di sì, se l’Instrumentum dice che bisogna “disimparare, imparare e reimparare”: un progetto chiaramente gnostico.
Nel documento confluiscono due gnosticismi. Il primo è l’idea che la salvezza derivi da una prassi, da un cristianesimo rivisto dall’interno di una situazione storica (di sfruttamento): era la via della teologia della liberazione. Il secondo è rappresentato dal primitivismo ecologistico della vita nel “tutto” della Madre Terra di cui sarebbero depositari i popoli amazzonici oggi sfruttati. Due gnosticismi in uno. Due gnosticismi poco amazzonici, molto di esportazione occidentale, pensati sulle cattedre della nuova teologia cattolica europea.