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VACANZE LETTERARIE / 8

Siena, città consacrata alla Vergine e terra di grandi santi

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La regalità di Maria si respira in ogni angolo della Civitas Virginis e l'eco di san Bernardino e santa Caterina è così vivo che a distanza di secoli lo scrittore Federico Tozzi si convertì grazie all'"incontro" con loro.

Cultura 02_09_2024
Wikimedia David McSpadden from Daly City, United States

La religiosità traspira in ogni parte della città di Siena, che ha consegnato le sue chiavi alla Madonna fin dal Duecento, dall’epoca della battaglia di Montaperti, come ricorda Antonio Socci nel suo ultimo saggio Dio abita in Toscana (Rizzoli, Milano 2024). Da allora, in ogni momento di difficoltà, la città ha sempre implorato lo sguardo materno di Maria.
Le sue monete portano, probabilmente dal 1376, la scritta Sena Vetus Civitas Virginis ovvero «Siena città antica della Vergine» a compendio delle precedenti espressioni Sena vetus e Sena civitas Virginis utilizzate già dai primi anni del XII secolo.

La Vergine è rappresentata come Madonna in trono (Maestà) nei due luoghi più importanti della città: da Duccio di Boninsegna sull’altare maggiore della Cattedrale (1311) e da Simone Martini nella Sala del mappamondo al centro del Palazzo del governo (1315).

La sua regalità era l’identità stessa della città. Alla Madonna – in Siena – è consacrato tutto: la cattedrale (alla Madonna Assunta), l’antico ospedale, il Campanone della Torre del Mangia; per le i sono le feste del palio e a lei – al suo mantello misericordioso – rimanda la stessa piazza del Campo, dove domina il Nome che lei per prima aveva pronunciato e che lei, più di chiunque altro, amò e ama: Gesù (Socci).

Sulla facciata del Palazzo Pubblico sono impresse le iniziali del nome di Gesù: il trigramma JHS (trascrizione latina dell’abbreviazione del nome greco di Gesù), circondato dai raggi del Sole. In maniera erronea venne da taluni interpretato come abbreviazione del nome di Gesù in latino Iesus Hominum Salvator.

Colui che promosse la venerazione del Santissimo Nome di Gesù fu proprio un santo di Siena: san Bernardino (1380-1444). Canonizzato nel 1450, solo sei anni dopo la morte, san Bernardino fu un grande predicatore, le cui prediche conservano una grande forza comunicativa, anche se il santo non ebbe mai un fine letterario. Addirittura i suoi testi furono conservati e trascritti da altri. Proveniente da una famiglia nobile, a soli ventidue anni entrò nell’ordine dei frati minori e a venticinque iniziò a predicare in tante città d’Italia. In pochi anni la sua fama crebbe e san Bernardino divenne il responsabile dei frati francescani in Toscana. La sua devozione per il nome di Gesù proveniva dalla sua formazione francescana, in particolare da Ubertino da Casale e dal suo Arbor vitae crucifixae Iesu (L'albero della vita crocifissa di Gesù).
I suoi avversari lo accusarono di eresia presso il Papa. In ogni modo cercarono di far cessare la devozione per il trigramma. San Bernardino fu però assolto. Scrisse un memoriale di difesa in cui spiegava il significato del trigramma, che non aveva alcun valore di per sé se non quello di ricordare il maestro Gesù.

L’anno in cui nacque san Bernardino fu anche quello della morte di una grande santa senese, santa Caterina. Figlia di mercanti senesi, è oggi patrona d’Italia, insieme a san Francesco. Pur se non istruita, ha mostrato tutta la saggezza proveniente dalla fede in Cristo tanto da riuscire lei nell’impresa in cui tanti colti intellettuali avevano fallito: convincere il Papa a riportare la curia papale da Avignone a Roma.
Nata nel 1347, Caterina Benincasa fin da piccola mostrò un’irresistibile vocazione religiosa entrando tra le domenicane a soli sedici anni.  La fama delle sue visioni mistiche si diffuse ben presto. Il primo aprile 1375 ricevette le stimmate. Nel 1376 si recò ad Avignone per convincere il papa Gregorio XI a riportare la curia a Roma. E l’anno successivo finì la cattività avignonese. La sua attività fu estenuante nel portare la pace tra le fazioni contrapposte nelle città d’Italia, nell’evitare scismi nella chiesa, nel cercare la salvezza di ogni uomo. Nel magnifico romanzo di Louis de De Wohl La mia natura è il fuoco santa Caterina è così infiammata d’amore per Cristo che desidera che tutti possano incontrarlo, magari anche all’ultimo momento, prima di morire. Memorabile l’episodio in cui la santa, venuta a conoscenza di una condanna a morte che sarà eseguita il giorno seguente, vuole trascorrere l’ultima notte parlando con il condannato perché desidera che possa incontrare Cristo ed essere salvato. La mattina dell’esecuzione il carcerato chiede a Caterina di accompagnarlo al patibolo.

Santa Caterina è la maggior mistica in Occidente, prima di santa Teresa d’Avila. Nelle sue lettere Dio è una presenza fisica, un fuoco d’amore che accende il cuore e lo dispone ad ogni dedizione e sacrificio. Questa esperienza diretta e personale di Dio conferisce autorevolezza alle sue parole, così grande che chi conferisce con lei sente soggezione e riconosce la verità dei suoi giudizi e dei suoi rimproveri, come se fossero parole che provengono direttamente da Dio.
Santa Caterina riesce a trasferire il fervore mistico nelle sue lettere e nei suoi trattati con un linguaggio familiare e domestico, con un realismo che non trascura nessun vertice della sua avventura religiosa e mistica.

Fu grazie alla scoperta delle figure di questi due grandi santi senesi, oltre che all’incontro con lo scrittore Domenico Giuliotti (1877-1957) con il quale fondò la rivista cattolica La torre, che Federico Tozzi (1883-1920), uno dei maggiori romanzieri del Novecento italiano, nativo di Siena, prima di fede anarchica, si convertì poi al cattolicesimo.
I suoi romanzi più noti, Tre croci e Con gli occhi chiusi, rappresentano il polo epico e quello lirico della sua scrittura, l’uno tutto spalancato agli altri, alla loro vita e al loro dramma, il secondo più legato al dato autobiografico dell’autore.
In tutte le sue opere, comunque, il personaggio autobiografico non manca mai» (Carlo Cassola). Così il personaggio Ugo Carraresi del romanzo Gli egoisti riconosce la grazia di Dio ed esclama: «Io non credo che a Dio. Ho abolito tutto in me. Mi sento ricco perché mi sento povero. Tutto il resto per me non esiste più. Soltanto mi sento uomo perché credo in Dio». 
Sono parole che riecheggiano quanto Tozzi scrive in un articolo su La torre: «L’uomo che cerca Dio esalta la propria individualità; perché cercare Dio significa spingere l’anima fin dove le è concesso di arrivare […]; la nostra religione, così trascurata e sbassata da tutti i trattati di psicologia, è il motivo spontaneo della nostra anima».



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