Shoah, il silenzio sui Giusti
Non meno dell'80% della comunità ebraica italiana venne salvato. Merito di una rete di conventi, parrocchie, cascine e case trasformate in rifugi. I Giusti fra le Nazioni, coloro che si opposero alla Shoah, furono tanti, ma difficilmente individuabili e poco considerati dai nostri storici.
Essendo tra l’altro venuto più o meno a coincidere con la morte di Erich Priebke, il carnefice della strage delle Fosse Ardeatine, il 70° anniversario della deportazione degli ebrei rastrellati in massa nel ghetto di Roma il 16 ottobre 1943, crimine nazista di una gravità indiscutibile, è stato tuttavia spunto ancora una volta di un certo modo trattare il tema della Shoah, di rigore in Italia ma sempre meno altrove, che merita qualche osservazione.
Nel nostro Paese la persecuzione e la deportazione degli ebrei verso i campi di sterminio nazisti viene sempre o quasi sempre rievocata ignorando un dato fondamentale, ossia il ruolo di coloro cui lo Stato di Israele riconosce oggi il titolo di “Giusti tra le nazioni”, ossia le persone che in vario modo aiutarono degli ebrei a sfuggire alla Shoah. Nel caso dell’Italia si trattò di un fenomeno di massa, tanto e vero che non meno dell’80 per cento degli ebrei italiani, forse l’85 per cento, sfuggì alla deportazione. Ciò fu possibile appunto grazie a una resistenza generale alla loro cattura nonché all’attivo impegno dei cattolici, della Chiesa: conventi, seminari, parrocchie, anche abitazioni e cascine private, si trasformarono in una rete di luoghi di rifugio per gli ebrei perseguitati.
A parte il caso della Danimarca, la cui piccola comunità ebraica venne messa in salvo per intero, e il caso ancor più rilevante della Bulgaria, entrambi certamente ammirevoli, quello del nostro Paese merita però senza dubbio di venire particolarmente ricordato tanto più considerando la stretta alleanza tra la Germania nazista e l’Italia fascista nonché la linea antisemita che il fascismo aveva assunto con le leggi razziali del 1939. Malgrado tutto questo quando, dopo l’8 settembre 1943, nell’Italia sotto occupazione militare nazista iniziò la caccia agli ebrei, nella sua larga maggioranza il popolo italiano spontaneamente non vi collaborò mentre furono migliaia e migliaia coloro che in vario modo aiutarono gli ebrei perseguitati a sfuggire alla deportazione. Veniamo ad esempio all’episodio particolarmente tragico di cui si diceva, ossia la deportazione degli ebrei romani. Su una comunità che contava in quegli anni circa 10mila persone, gli arrestati e deportati furono 1022. Sarebbe ignobile ignorare o sottovalutare la tragedia di quelle 1022 persone, meno di 20 delle quali sopravvissero, ma non si deve nemmeno dimenticare che furono circa 9 mila gli ebrei romani che sfuggirono alla cattura in genere grazie all’aiuto di famiglie cristiane e avendo per lo più trovato rifugio in conventi, seminari, collegi pontifici e altre istituzioni ecclesiastiche.
La descrizione della Shoah come un buio senza fine, cui nessuno si oppose, oltre a essere un falso storico (non soltanto ma in modo del tutto particolare nel caso del nostro Paese) è anche una pessima lezione per il futuro poiché accredita l’idea che contro una grande forza potente e malefica gli inermi non possano fare nulla. La vicenda di migliaia di “Giusti tra le nazioni” dimostra il contrario; e non dimenticarlo è tanto importante come non dimenticare la Shoah. E’ vero tuttavia che il riconoscimento dell’importanza dei “Giusti” e del significato permanente della loro testimonianza non fu immediato. A ciò diede un contributo fondamentale un’interessante figura di magistrato israeliano, Moshe Bejski (1921-2007), uno di coloro che avevano trovato la salvezza lavorando nella fabbrica di Oskar Schindler, vicenda resa poi celebre dal famoso film di Steven Spielberg Schindler’s List. Soprattutto grazie a lui a Gerusalemme venne inaugurata nel 1962 la Foresta dei Giusti, dove viene piantato un albero per ogni “Giusto” di cui si è avuta notizia certa. Tra loro gli italiani sono relativamente pochi proprio perché la stessa natura di massa della disobbedienza in Italia all’ordine di collaborare alla ricerca e alla cattura degli ebrei rende difficile l’adeguata individuazione di singole persone meritevoli di tale titolo.
Curioso ma significativo è invece che nel nostro Paese il tema dei “Giusti” sia così poco presente nell’ufficialità della memoria della Shoah. Probabilmente tale censura si deve al fatto che il motore sia culturale che pratico della mobilitazione popolare a soccorso degli ebrei perseguitati fu la Chiesa, il che non è evidentemente gradito a quell’establishment politico-culturale di matrice marxista e di cultura neo-giacobina che si è autoinvestito del ruolo di unico titolare legittimo dell’esecrazione del nazismo; un establishment che trova tra l’altro largo spazio nell’ebraismo italiano contemporaneo. Si deve perciò essere particolarmente grati all’intellettuale ebreo Gabriele Nissim, che malgrado tutto tenacemente promuove in Italia il tema dei “Giusti”, anche con riguardo ad altri genocidi del Secolo XX. Suo è il volume Il tribunale del bene. La storia di Moshe Bajski, l’uomo che creò il Giardino dei Giusti, che consiglio a chiunque voglia approfondire l’argomento. Nel 1999 Nissim insieme ad altri, tra cui lo storico italo-armeno Pietro Kuciukian, fondò Gariwo, una onlus che promuove la sensibilità per i Giusti riguardo non solo alla Shoah ma anche a tutte le altre analoghe tragedie dell’età contemporanea a partire dal genocidio degli armeni. Per iniziativa di Gariwo un Giardino dei Giusti del Mondo è sorto a Milano.