Serve un'Italia diversa per contare in Europa
Il voto di fiducia sulle unioni civili, il referendum sulle riforme costituzionali, i rapporti tesi con l’Europa. Che Renzi stia cominciando a perdere le staffe? Eppure, c’è paradossalmente qualcosa di berlusconiano in lui, in quel suo non volere tutta quella rete di esperti consiglieri senza la quale ci si riduce a fare una politica non di fatti, ma di annunci.
Che Renzi stia cominciando a perdere le staffe? A giudicare da alcune sue recenti prese di posizione sembra di sì. Lasciandosi sorprendentemente ispirare dal mussoliniano «Molti nemici, molto onore», con tutto quello che c’è in ballo il premier punta a testa bassa sul voto definitivo a favore delle unioni civili, pronto se necessario a porre la fiducia.
Mentre, insomma, proclama di volersi giocare tutto sull’esito del referendum costituzionale del prossimo ottobre, il che dovrebbe indurlo a una politica orientata ad assicurargli il più vasto consenso possibile, piegandosi all’influente, ma esigua lobby Lgbt, va insomma allo scontro frontale con chi difende la famiglia secondo natura in un Paese in cui i Family days sono stati le più affollate assemblee di massa di questi ultimi anni. Anche al di là del merito non ci sembra una scelta molto furba. Frattanto, a due mesi dalla sua nomina a rappresentante diplomatico presso l’Unione europea, per imporre la quale si era apertamente scontrato con l’intera diplomazia italiana, richiama Carlo Calenda a Roma come ministro dello Sviluppo economico aggiungendo così allo sgarbo verso la Farnesina quello verso Bruxelles. E sono solo due esempi, ma se ne potrebbero fare anche altri.
C’è paradossalmente qualcosa di berlusconiano in Renzi in quel suo non volere, ovvero essere incapace, costruirsi tutta quella rete di esperti consiglieri da un lato e di esperti collaboratori di governo dall’altro senza la quale ci si riduce a fare una politica non di fatti, ma di annunci: una politica che perciò provoca la mobilitazione dei vecchi interessi presi di mira senza motivare il sostegno dei nuovi interessi che s’intendono promuovere, ed è quindi inevitabilmente destinata al fallimento. In questo modo Renzi finisce per indebolirsi quanto basta per diventare il facile bersaglio di manovre internazionali simili a quelle che, come ieri ricordava Ruben Razzante (clicca qui), portarono nel 2011 alla caduta di Berlusconi e alla nomina di Monti. Manovre ormai divenute di pubblico dominio, ma allora già ben avvertibili.
Vista la situazione, anche chi non sta dalla sua parte ha però ben poco di che rallegrarsi. Per il momento, infatti, ogni possibile alternativa all’attuale premier fa venire i brividi. Resta soltanto la speranza di una di quelle sorprese che la realtà talvolta riserva al di là di ogni ragionevole aspettativa. Essendo oggi non più coscienza critica bensì elemento essenziale del potere profondo (quello cioè che non dipende ipso facto dal consenso popolare), in circostanze del genere la grande stampa va seguita con attenzione; non tanto come specchio di ciò che accade quanto come megafono di ciò che si punta a far accadere.
É sintomatico il caso della riforma costituzionale Renzi-Boschi: sulla grande stampa il dibattito sui contenuti si è aperto adesso, a disegno di legge approvato. Durante il suo iter parlamentare di ogni cosa si parlava salvo che della sua sostanza. Un progetto che modifica in senso statalista e centralista circa un terzo della Costituzione è passato attraverso sei diversi voti parlamentari spacciato semplicemente come legge per l’abolizione del Senato, che fra l’altro non ne viene affatto abolito. Con giovanile imprudenza Renzi ha poi promesso che, se la riforma non passa, si ritirerà dalla vita pubblica.
Non l’avesse mai fatto: da quel momento le pagine importanti dei più diversi grandi giornali e telegiornali si sono aperte al contributi di costituzionalisti critici verso tale riforma, mentre autorevoli commentatori, divenuti tali perché maestri nell’arte di fare i pesci in barile, si sono tempestivamente travasati da un barile all’altro. Chi, come noi, l’aveva criticata da subito ha di che restarne sorpreso e anche imbarazzato.
C’è paradossalmente qualcosa di berlusconiano in Renzi anche in quel suo credere di riuscire a risolvere tutto con il contatto personale e con la capacità di persuasione. Una presunzione particolarmente pericolosa nel caso di Angela Merkel, sempre disponibile a farsi persuadere su questioni di dettaglio senza cedere di un passo su ciò che in ogni questione giudica essere l’intoccabile interesse del suo Paese. Con i tedeschi, con la Germania occorre innanzitutto negoziare sugli interessi, e stando a tale livello giungere con fermezza al compromesso più alto possibile. Ogni altra cosa può essere simpatica ma è secondaria.
L’Italia poi da sola non pesa tanto da impensierire la Germania, né può contare sull’appoggio degli altri maggiori Stati dell’Europa occidentale, che del nostro Paese continuano spesso ad avere un’idea ottocentesca. Perciò, diciamolo ancora una volta, converrebbe far crescere il ruolo dell’Italia là dove può crescere prestando specifica attenzione ai membri est-europei dell’Unione a partire dai quattro del gruppo di Visegrád (Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia), invece di far nostri acriticamente i pregiudizi di Parigi e di Berlino nei loro confronti.