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CASSAZIONE

Senza l'assegno la convivenza diventa famiglia

Se l’ex coniuge divorziato, invece di risposarsi va a convivere, non potrà aver diritto di percepire ancora l’assegno divorzile. I giudici della Cassazione, nella sentenza di questo aprile come in altre precedenti, si affrettano a dire che ciò non significa equiparazione tra matrimonio civile e convivenza. Nei fatti, però, con la sentenza la famiglia non è quella disegnata dalla Costituzione.

Famiglia 17_04_2015
La Cassazion equipara la convivenza alla famiglia

La Prima Sezione Civile della Suprema Corte di Cassazione lo scorso 3 aprile ha ribadito un principio giuridico ormai consolidato in giurisprudenza (v. le sentenze della Cassazione del 25/11/2010; 12/03/2012; 18/11/2013; 26/02/2014): se l’ex coniuge instaura un rapporto di convivenza stabile e duraturo non ha più diritto a percepire dall’altro ex coniuge l’assegno divorzile. Il principio lo troviamo ben descritto in una sentenza sempre della Cassazione del 11/08/2011: la «famiglia di fatto, ossia quella caratterizzata da un rapporto stabile e duraturo, portatrice di valori di stretta solidarietà, di arricchimento e di sviluppo della personalità di ogni componente e, come tale, meritevole di garanzia costituzionale, ancorchè indirettamente, quale fenomeno sociale in cui si svolge la personalità dell’individuo, ai sensi dell’art. 2 della Carta Costituzionale, altera e rescinde la relazione con il tenore ed il modello di vita caratterizzato dalla pregressa convivenza matrimoniale e così il presupposto per il riconoscimento dell’assegno divorzile». 

Gli ermellini, nelle sentenze riportate come in quella più recente, articolano il seguente ragionamento. L’ex coniuge che non dispone più del mezzi economici adeguati per condurre una vita di pari tenore a quella condotta durante il matrimonio, ex art. 5 legge 898/70, deve ricevere dall’altro ex coniuge un assegno che le permetta di condurre un’esistenza con gli stessi standard di benessere del passato. Se poi l’ex coniuge si risposa, automaticamente questo assegno non deve essere più versato, perché si presume che sia il nuovo coniuge a prendersi cura del suo sostentamento e così il parametro della «adeguatezza dei mezzi»non ha più ragione di esistere. 

Con le sentenze sopra citate, a un nuovo matrimonio civile viene equiparata la convivenza more uxorio. Quindi se l’ex coniuge, invece di risposarsi, va a convivere, anche in questo caso non può più richiedere l’assegno divorzile. I giudici, nella sentenza di questo aprile come in altre precedenti, si affrettano a dire che ciò non significa equiparazione tra matrimonio civile e convivenza. Infatti, a loro dire, il primo è individuato dall’art. 29 della costituzione, la seconda dall’art. 2 della costituzione che tutela ogni cittadino sia come singolo sia nella formazioni sociali ove esprime la sua personalità. In breve la convivenza andrebbe tutelata perché è una formazione sociale. Ma i padri costituenti, come si legge dai lavori preparatori, non avevano in mente la convivenza quando usarono l’espressione “formazione sociale”, bensì le associazioni, i partiti, le confessioni religiose, etc. Ma anche nel caso in cui volessimo far ricomprendere sotto l’etichetta “formazioni sociali” pure le convivenze, lo Stato dovrebbe tutelare, ex art 2 della Costituzione, solo i diritti fondamentali dei conviventi, non certo le questioni attinenti agli assegni divorzili, che tutto sono fuorché diritti fondamentali. In realtà i giudici stanno equiparando eccome il matrimonio con la convivenza, proprio perché un nuovo matrimonio o l’instaurarsi della convivenza producono i medesimi effetti giuridici nel caso di specie. 

C’è un altro dato su cui riflettere. Per la Cassazione la famiglia non è quella disegnata dalla Costituzione, bensì quella immaginata secondo criteri sociologici. Infatti il «rapporto stabile e duraturo, portatrice di valori di stretta solidarietà, di arricchimento e di sviluppo della personalità», fa nascere una “famiglia”, seppur di fatto. Peccato che per il nostro ordinamento l’unica famiglia esistente non sia quella di fatto, bensì quella giuridica indicata dall’art. 29 della Costituzione, dove solennemente gli sposi si sono assunti precisi oneri. La differenza tra la famiglia fondata sul matrimonio e la convivenza sta appunto, dal punto di vista giuridico, nella presa in carico formale di specifici obblighi. Legami affettivi duraturi, sentimenti di solidarietà vicendevole, crescita personale non fanno di una relazione a due una “famiglia”, così come vestirsi da Napoleone non ci fa diventare imperatori.

La sentenza di questo 3 aprile va a consolidare un orientamento non solo giurisprudenziale, ma anche culturale che da una parte mira a rendere simile alla convivenza il matrimonio perché lo rende sempre più un legame precario. Vedi la legge sul divorzio express. Dall’altro tende a matrimonializzare la convivenza attribuendole diritti esclusivi dei coniugi.