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LA CLINICA INGLESE

Sentenza Tavistock: un freno agli ormoni per minori

La decisione dell’Alta Corte sulla clinica di Londra accusa i medici di agire senza dati, rileva che il blocco della pubertà non è senza conseguenze e che i bambini si sottopongono ai trattamenti ormonali perché assecondati, mentre diversamente potrebbero guarire dalla disforia di genere. Anche se non arrivano ad impedire il trattamento, i giudici chiedono che i casi di minori di 16 anni passino dal tribunale.

Vita e bioetica 03_12_2020

Avevamo già raccontato la storia di Keira, che nel 2019 aveva denunciato la clinica Tavistock di Londra per aver accettato la sua richiesta di sembrare un maschio sottoponendola ad un bombardamento ormonale da cui non si può più tornare indietro. In questi mesi erano giunte anche denunce di altri pazienti, di famiglie e di ex operatori della clinica. Alla fine del processo l’Alta Corte di Londra ha deciso che le storie di persone pentite come lei e come altri ragazzini sono un allarme da ascoltare. E, sebbene la sentenza emessa martedì non vieti il trattamento, ha quantomeno il merito di indicarne i pericoli, imponendo che tali processi su minori di 16 anni non siano intrapresi senza un vaglio del tribunale.

La vicenda di Keira era quella di una bimba con un’infanzia difficile e con una madre divorziata che cominciò a chiederle fin da piccola se «volevo diventare un maschio» ma che alla sua risposta che «no, non sono un maschio» non si era fermata. E, continuava Keira, se anche «l’idea mi disgustava… mi rimase impressa nella mente e non andò via». Ci sono diversi psicologi che spiegano come il transessualismo sia frutto di un desiderio spesso inconscio e narcisista del genitore, tanto che Keira alla fine si era fatta convincere. Nella sentenza si legge poi che uno psichiatra aveva tentato di dissuaderla, ma che poi «è stata vista per la prima volta al GIDS (Servizio sanitario per lo sviluppo dell’identità di genere) all’età di 16 anni... È stata indirizzata all’UCLH (all’ospedale della University College di Londra) a giugno 2013 e solo dopo tre sedute sono iniziati i trattamenti di PB (farmaci per il blocco ormonale). Le è stata data un’informazione sull’impatto sulla sua fertilità», ma «lei ha detto che a 16 anni non pensava ai bambini... Nell’aprile 2014 è stata indirizzata a una clinica per l’identità di genere per adulti», dove «mi hanno fatto vedere che sarei diventata un giovane alto, fisicamente forte per cui non c’era praticamente differenza tra me e un ragazzo biologico».

Così, se «dopo l’inizio della somministrazione di testosterone a 17 anni i cambiamenti nel suo corpo sono cominciati rapidamente», la giovane Keira ha iniziato «ad avere i miei primi seri dubbi sulla transizione... notando quanto fisicamente ero diversa dagli uomini... nonostante avessi il testosterone che attraversava il mio corpo». Purtroppo, però, un «forum online», parlava «dei dubbi come una parte normale della fase di transizione». Così a 20 anni ha subito «una doppia mastectomia», dopodiché, spiega lei, «ho iniziato a rendermi conto che la visione che avevo da adolescente di diventare maschio era una mera fantasia. Il mio sesso biologico era ancora femminile... ho iniziato a sentirmi più persa, isolata e confusa di quando non avevo ancora cominciato la transizione». Da gennaio 2019, sottolinea il tribunale, la ragazza «ha smesso di assumere testosterone… “È solo poco tempo fa che ho iniziato a pensare di avere bambini e, se mai avrò una possibilità, devo convivere con il fatto che io non sarò in grado di allattare i miei figli... Ho preso una decisione imprudente da adolescente (come molti adolescenti fanno)... ora il resto della mia vita sarà influenzata negativamente (da quanto accaduto, ndr)... La transizione è stata una soluzione temporanea e superficiale ad un problema di identità molto complesso"».

La corte lamenta poi il fatto che sebbene uno studio su questi trattamenti sia stato richiesto circa 9 anni fa, al momento dell’udienza i risultati dovevano ancora essere pubblicati. Anche sulla distribuzione per età delle persone trattate con farmaci per il blocco ormonale tra il 2011 e il 2020 non sono state fornite statistiche. Non solo, i giudici hanno domandato come mai sia cresciuto il numero delle ragazze che si sottopone al trattamento per apparire maschi ma «l’imputato non ha fornito alcuna spiegazione clinica». Infine, le ricerche hanno segnalato la presenza di disforia di genere in molti giovani con diagnosi di autismo ma sebbene «il tribunale ha chiesto statistiche sul numero o sulla percentuale... tali dati non erano disponibili… è sorprendente».

Per quanto riguarda la presenza di giovani esclusi dal trattamento perché immaturi, la clinica «non ha potuto produrre alcuna statistica… L’approccio adottato sembra essere quello di continuare a dare al bambino maggiori informazioni», finché non sia «considerato competente a prendere la decisione». Eppure, «il professor Scott (direttore dell’Institute of Cognitive Neuroscience della University College di Londra)... ha spiegato lo sviluppo neurologico del cervello degli adolescenti che lo porta a prendere decisioni diverse e più rischiose rispetto agli adulti». Inoltre, la sentenza sottolinea che anche se «lo scopo principale del blocco della pubertà è dare al giovane il tempo di pensare alla sua identità di genere... tuttavia, le prove che abbiamo su questo argomento dimostrano chiaramente che nella pratica tutti i bambini/giovani che iniziano il PB passano al CSH (trattamento ormonale)».

Ma quel che è peggio è che i medici della clinica abbiano sostenuto di informare correttamente i pazienti su qualcosa che nemmeno loro conoscono a fondo. Si legge ancora: «La dottoressa de Vries… ha detto: “Il trattamento per il blocco della pubertà è completamente reversibile”, ma precedentemente aveva ammesso “l’incertezza delle conseguenze fisiche a lungo termine del blocco della pubertà sulla densità ossea, sulla fertilità, sullo sviluppo del cervello e delle opzioni chirurgiche”». In poche parole, non è vero che il blocco della pubertà sia neutro (rispetto al trattamento ormonale irreversibile). Anzi, il primo, oltre a spingere verso il secondo, può causare danni importanti alla salute fisica e mentale del bambino/giovane.

Tanto che nel foglio informativo del PB si legge che «i possibili effetti collaterali dei bloccanti ormonali sono vampate di calore, mal di testa, nausea e aumento di peso. Un effetto a breve termine è che la forza ossea non si sviluppa allo stesso ritmo... Non sappiamo appieno come l’ormone che blocca la pubertà influenzerà lo sviluppo della forza ossea, lo sviluppo dei tuoi organi sessuali, forma del corpo o altezza... potrebbero influenzare la tua memoria, la tua concentrazione o il modo in cui ti senti riguardo al tuo genere e quanto è probabile che ti faccia cambiare idea sulla tua identità di genere». Dunque, si ammette che il trattamento potrebbe solo confermare la disforia di genere.

Ma soprattutto, sottolinea la corte, «il punto centrale sollevato dai ricorrenti è che... il bambino o il giovane avrà perso un periodo, per quanto lungo, di normale sviluppo biologico... che non potrà mai essere veramente recuperato o “invertito”». Infine, sentendo tutte le testimonianze, la sentenza chiarisce che «esistono prove sufficienti che per una percentuale significativa di giovani che si presentano con disforia di genere, la condizione si risolve attraverso l’adolescenza senza trattamento con blocco ormonale». Di più: «Tale trattamento serve ad aumentare la probabilità di disforia di genere». Come ha spiegato il professor Hruz, non si può escludere che coloro che hanno una disforia di genere spesso si radichino in essa «per il fatto stesso che la diagnosi e il trattamento che afferma la diagnosi (si parla sia della psicoterapia affermativa di genere che dell'uso dei PB) solidifica il sentimento di identificazione con l’altro sesso, portando i giovani a impegnarsi nella riassegnazione di sesso in maniera più convinta di quanto avrebbero fatto se ci fossero stati una diagnosi e trattamento diversi... In sintesi, il trattamento può causare la persistenza della disforia di genere in circostanze in cui è almeno possibile che senza il trattamento la disforia si risolva da sola».

Dal punto di vista concettuale, anche se non arriva fino a proibire il trattamento, la sentenza inglese è una bomba, ammettendo che i bambini spesso si sottopongono a trattamenti invasivi irreversibili perché assecondati, mentre diversamente potrebbero guarire e far pace con il proprio sesso biologico. I giudici chiedono che nel caso di minori o in casi dubbi la decisione passi dal tribunale, dato che «il problema a nostro avviso è che in molti casi, per quanto il bambino riceva informazioni... non sarà in grado di valutare le implicazioni del trattamento in misura sufficiente».

A dire la follia del documentario “Transhood” che tutti i grandi media hanno appena celebrato come “illuminante”.