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L'INTERVISTA

Sentenza Charlie: frettolosa e semplificata

La sentenza della Corte di Strasburgo, che ha dato il via libera all'uccisione di Charlie Gard, letta ai raggi x: “La decisione è molto frettolosa. La Corte dice: «Questo problema sarebbe da esaminare, ma è inutile farlo perché il ricorso è manifestamente infondato». Parla l'esperta di diritto dell'Unione Europea Ilaria Anrò. 

Vita e bioetica 21_08_2017

Possono essere i giudici a decidere di “staccare la spina” a un bambino malato, magari d’accordo con i medici ma contro il parere dei genitori? L’apparato sanitario e quello giudiziario possono avere l’ultima parola sulla vita e la morte di un indifeso? Sono queste – in estrema sintesi – le domande rimaste sul tavolo dopo l’uccisione in Inghilterra di Charlie Gard.

Domande che in Italia si intrecciano con le “disposizioni anticipate di trattamento” (DAT), tre paroloni asettici per un progetto di legge che “ha un contenuto nella sostanza eutanasico”, secondo i giuristi cattolici del Centro Studi Livatino.

Le decisioni prese dai giudici di togliere la ventilazione al neonato facendolo morire per soffocamento, sono perciò tremendamente attuali anche per noi (se ne parlerà a Rimini mercoledì 23 agosto in un incontro con Salvatore Abbruzzese e mons. Luigi Negri). 

Abbiamo chiesto un parere alla ricercatrice Ilaria Anrò (Diritto dell’Unione Europea all’Università degli Studi di Milano), specialista della giurisprudenza della Corte di Strasburgo, autrice di numerose pubblicazioni sulla tutela dei diritti fondamentali e membro della redazione della rivista online www.eurojus.it.

Professoressa Anrò, come commenta la decisione della Corte di Strasburgo sul caso Charlie Gard?

“Per come è scritta, la decisione appare molto frettolosa, ad esempio sul problema della legittimazione attiva dei genitori di Charlie, e sul previo esaurimento dei ricorsi interni. In alcuni paragrafi (ad es. 58, 70, 73, 75) la Corte in sostanza dice: «Questo problema sarebbe da esaminare, ma è inutile farlo perché il ricorso è manifestamente infondato», lasciando sospeso un interrogativo di grande importanza nell’ambito della tutela dei diritti fondamentali: in un caso di questo tipo, i genitori potevano agire presso la Corte di Strasburgo per loro figlio, o no? E’ vero che la Corte si pronuncia ritenendo il ricorso manifestamente infondato, ma sarebbe stato interessante capire, con una chiara statuizione sul punto, se i genitori erano legittimati ad agire in rappresentanza del minore. Inoltre la decisione mi è sembrata un po’ troppo prudente nell’applicare la dottrina del margine di apprezzamento”.

In che senso “prudente”?

“La Corte si è concentrata sulla legislazione sull’accesso alle cure sperimentali e sulla sospensione dei trattamenti salva-vita, stabilendo che quanto era stato deciso dai giudici inglesi era in linea con il quadro giuridico esistente, e che comunque c’era stato uno scrutinio approfondito delle circostanze del caso. In questo la decisione è «prudente»: evitando di giudicare nel merito. Eppure qui si entra in quella «zona grigia» tra la sospensione del trattamento vitale e l’eutanasia che in Italia è emersa nel caso di Eluana Englaro. Nelle pronunce dei giudici inglesi sul caso Charlie si legge che spetta ai giudici – e non ai genitori – stabilire qual è il superiore interesse del minore: forse la Corte avrebbe potuto indagare di più qual era – nel caso di specie – il superiore interesse del bambino, anche se si comprende l’atteggiamento di self- restraint della Corte di Strasburgo, che vuole evitare di diventare un «quarto grado di giudizio»”.

Che significa il margine di apprezzamento?

“E’ una dottrina tipica della Corte europea dei diritti dell’uomo, di origine giurisprudenziale, in virtù della quale nell’applicazione della CEDU, viene lasciato allo Stato un certo spazio di discrezionalità nel bilanciare i diversi interessi e diritti in gioco, soprattutto ove non sia riscontrabile una concezione comune all’interno delle legislazioni degli Stati circa lo standard di tutela applicabile ai diritti tutelati dalla Convenzione. Ciò accade, evidentemente, nelle materie eticamente sensibili, ove la Corte adotta un atteggiamento di self-restraint e riconosce appunto, il margine di apprezzamento, limitandosi a verificare che sia rispettato il principio di proporzionalità e che lo Stato non ecceda in maniera illegittima il proprio spazio di discrezionalità. Ad esempio, sulla maternità surrogata la Corte EDU ha riconosciuto un ampio margine di apprezzamento agli Stati”.

Quindi la Corte incaricata di difendere i diritti umani inviolabili, in certi casi non lo fa, restringe il suo campo d’azione lasciando margine interpretativo al singolo Stato. A seconda di quale Stato si tratta e di quale caso è in discussione, il margine va in un senso o nel suo contrario … E’ così?

“E’ innegabile che talvolta la Corte sia un po’ meno «prudente»: ad esempio, condannando l’Italia del 2015 per l’assenza di legislazione circa le unioni civili, ha voluto imprimere un preciso indirizzo alla giurisprudenza (anche se è vero che in tal caso, in tema di unioni civili, si era formato un largo consenso in Europa).. Al contrario, nel caso Charlie, così delicato e nuovo, è rimasta nei limiti del margine di apprezzamento. In ambito del bio-diritto i giudici si inseriscono in un contesto nel quale spesso mancano leggi e non sono chiari i princìpi da applicare, come nel fine-vita. Una volta era pacifico rispettare certi princìpi, oggi non è più così. Si assiste allora ad uno slittamento verso la discrezionalità dei giudici che sono costretti a decidere i casi concreti, in assenza di riferimenti precisi, contribuendo alla formazione di regole generali che saranno poi applicate in successive pronunce, da altri giudici. Questo comporta paradossalmente una sovversione del sistema di riparto dei poteri, perché il potere di fare le leggi è del legislatore, mentre il potere giudiziario dovrebbe limitarsi ad applicare le leggi. E’ una situazione decisamente insolita”.

Qual è il suo giudizio sintetico sul caso Charlie?

"Personalmente penso che la richiesta dei genitori di poter accedere a cure sperimentali avrebbe dovuto essere maggiormente presa in considerazione. Invece si è fatta una eccessiva semplificazione del concetto di «superiore interesse del minore». I giudici nazionali hanno deciso per il no ad altre cure e per far morire il bambino. Fa paura che sia il giudice a decidere quale sia il «supremo interesse del minore» e quale sia il «grado di vita degna di essere vissuta», in totale disaccordo con il giudizio dei genitori”.