Seminario chiuso, ombre su Roma: "Errore del vescovo"
“Ho detto due volte al vescovo Taussig che stava sbagliando, ma se la decisione è della Santa Sede non si può fare altro che obbedire”. Il vescovo Aguer parla alla Bussola del clamoroso precedente di San Rafael, la diocesi argentina dove il vescovo ha chiuso il seminario perché i fedeli e i sacerdoti si sono opposti all'obbligo pandemicamente corretto di Comunione in mano. "Decisione contraria alla disciplina vigente nella Chiesa e alla libertà dei fedeli: ogni cattolico ha diritto di comunicarsi in bocca e in ginocchio, il presidente argentino non può proibire il culto divino".
- ALTRE VITTIME NELLA GUERRA PER L'OSTIA di Nico Spuntoni
“Ho più volte detto a monsignor Taussig che stava sbagliando ma, se come sembra, la decisione è arrivata dalla Santa Sede, lui non ha potuto fare altro che obbedire”. Il vescovo argentino Hector Aguer parla alla Bussola del clamoroso caso di San Rafael, la diocesi andina dove il vescovo ha chiuso il seminario dato che i fedeli e i sacerdoti si opponevano a distribuire e ricevere la Comunione sulle mani.
Una storia che mostra come le misure del pandemicamente corretto siano una scusa per imporre misure che già da tempo maturano nella gerarchia. Misure che minano la libertà dei fedeli e che il più delle volte vanno contro la disciplina della Chiesa. E mentre si scopre che il vescovo di San Rafael non è nuovo a misure speciali di punizione verso preti che non si sottomettono a disposizioni pastorali che poco hanno a che fare sia con il sanitario che con il pastorale, la Bussola ha cercato Aguer (in foto), che ha vissuto da vicino la vicenda della chiusura del seminario, avendo cercato di dissuadere il confratello per ben due volte.
Eccellenza, può dirci qualche cosa sulla telefonata con Taussig?
Monsignor Taussig mi ha chiamato due volte al telefono. Io gli ho detto che cosa pensavo: che aveva sbagliato aveva commesso un errore con questo decreto sul modo di fare la comunione. Però lui ha insistito con le sue ragioni. E noi non ci siamo trovati d'accordo. Forse aveva già letto il mio articolo La comunione in tempo di pandemia pubblicato su Infocatholica. Devo aggiungere che ho con lui una relazione di amicizia da molti anni. Mi ha sorpreso che mi chiamasse per la seconda volta. Io ho insistito con le ragioni che ho esposto.
Che cosa pensa della protesta dei fedeli? Quella della comunione in mano è una motivazione giusta?
Attualmente questo tipo di reazioni sono frequenti nella società civile. Non è strano che questo accada anche nella Chiesa. Tanto più che la diocesi di San Rafael ha un orientamento ben definito da molti anni. Mi spingo a pensare che il decreto di monsignor Taussig abbia fatto arrabbiare la maggior parte dei fedeli. Insisto sul fatto che non era necessario questo decreto: e che in sostanza è contrario alla disciplina vigente nella Chiesa e alla libertà dei fedeli. Ogni cattolico ha il diritto di comunicarsi in piedi o in ginocchio, in mano o in bocca. È curioso che il presidente della nazione argentina abbia deciso di prendersi cura della salute dei cittadini proibendo il culto divino.
E lei che cosa pensa della comunione in mano?
Come ho detto, secondo la disciplina della Chiesa esiste questa diversità nel modo di fare la comunione. Personalmente penso che se uno si comunichi in mano dovrebbe fare prima un gesto di adorazione. San Agostino diceva: “Nessuno può mangiare questo Pane se prima non lo ha adorato”. La mia esperienza pastorale mi suggerisce di preferire la comunione in bocca. Non poche volte, celebrando in Cattedrale, ho dovuto richiamare qualche comunicante che si portava via l’Ostia consacrata. Rimane poi d’altra parte da risolvere il problema delle particole. Soprattutto si è persa l’abitudine di utilizzare il piattino e nel comunicarsi con la mano possono restare in essa frammenti che contengono la Presenza reale di Nostro Signore Gesù.
Può la violazione di una misura pastorale dettata da un’emergenza esterna come una pandemia, giustificare la chiusura di un seminario?
Non ho titolo per dare una risposta perché si tratta di una situazione totalmente anomala. Anche se in questi tempi in cui la Chiesa preferisce il dialogo converrebbe più la persuasione che le misure di autorità.
Che cosa sta accadendo nella Chiesa? Questa storia ci parla di una mancanza totale di libertà per i fedeli e di paternità per i seminaristi e i preti. È così?
Si parla comunemente oggigiorno di una crisi della Chiesa. Il recente libro del Cardinal Sarah parla di una crisi del Magistero in termini molto severi. Dice che si è imposta una cacofonia. Molte volte le decisioni delle conferenze episcopali si impongono democraticamente e i vescovi finiscono per accettarle supinamente. I fedeli, in generale, non sanno nulla delle decisioni dei superiori a meno che nella predicazione ordinaria i sacerdoti non insistano su queste. Se la decisione di chiudere un seminario proviene dall’organismo competente della Santa Sede (la Congregazione per il clero, retta dal prefetto Beniamino Stella, in foto, ndr), si comprende come monsignor Taussig abbia semplicemente eseguito. La cosa che resta da capire è come sia precipitata una situazione che sembra mostrare come i motivi di differenze e di discordia andassero avanti da molto tempo.
Che cosa sarà di questi seminaristi? Teme per il loro affievolirsi della fede?
Anzitutto bisogna ricordare che in Argentina e negli altri paesi, nella maggior parte delle diocesi i seminaristi sono molto pochi. Diocesi che hanno più di un milione di abitanti contano una trentina di presbiteri. E i seminaristi si possono contare sulle dita di una mano. La questione è quindi nella vita della Chiesa che è molto più del problema delle vocazioni. Io sono stato rettore di un seminario per una decina di anni. E come arcivescovo in vent’anni sono andato in seminario tutti i sabati a offrire le mie parole per la formazione dei seminaristi e a celebrare Messa. Le mie vacanze le ho sempre fatte con loro in una casa di campagna del seminario. Questo mi ha dato l’occasione di conversare assiduamente con i 45 sacerdoti che ho ordinato. La vicinanza del vescovo, una vicinanza chiarificatrice e affettuosa è fondamentale. L’unica cosa che posso fare è pregare per queste vocazioni, per questi 40 ragazzi del seminario di San Rafael, che non si perdano.
Abbiamo letto della sostituzione repentina e ingiustificata del vescovo di San Luis. Si parla di un “castigo” a seguito di polemiche per aver proibito alle fanciulle di fare da “chierichette”. Può essere sufficiente per una sostituzione senza motivo? Che sta accadendo in Argentina?
Mi ha sorpreso dolorosamente quello che è accaduto a San Luis. Dagli anni ‘70 su richiesta del compianto monsignor Laise, ho visitato assiduamente la diocesi. E ho continuato a farlo su richiesta dei suoi successori. L’anno scorso sono stato una settimana. Ho fatto conferenze al clero, ai seminaristi, ai religiosi e ai laici. Non ho notato nessun segno di opposizione al vescovo. Anzi, il contrario. Ho l’impressione che sia stata data un’importanza smisurata ad alcune decisioni secondarie di Monsignor Martinez, come ad esempio proibire che nelle celebrazioni liturgiche fossero le bambine o le adolescenti a sostituire i maschietti nel compito di chierichetti. Monsignor Martinez ha una solida formazione filosofica e teologica. Lo posso confermare avendolo ascoltato in alcune Settimane tomiste di Filosofia alle quale anche io partecipo. D’altra parte, è un canonista, presumo che sappia come si possa operare in materia di autorizzazioni o proibizioni. Perché tenendo ben in mente le dichiarazioni del cardinal Sarah che ho citato esistono nella Chiesa settori fortemente progressisti che diffondono il discredito e l’opposizione a coloro che considerano affezionati alla grande tradizione della Chiesa. Ma se la Santa Sede ha proceduto così non mi metto certo io a giudicarla.
Perché la notizia di San Rafael è grave non solo per l’Argentina ma per tutta la Chiesa universale?
Perché contrasta con la situazione di altri paesi e conferenze episcopali intere e perché contraddice chiaramente la tradizione e il magistero della Chiesa e senza dubbio si può andare oltre. Come sta accadendo infatti col Sinodo della Chiesa in Germania.