Segre al Quirinale, folle idea. Ecco perché
La proposta di candidare Liliana Segre al Quirinale è la riprova di quanto sia sfuggito di mano il dibattito sull’antisemitismo ai suoi stessi promotori e di come in Italia si faccia davvero fatica a trattare le questioni di interesse generale senza indossare le lenti di una ideologia.
La proposta di candidare Liliana Segre al Quirinale è la riprova di quanto sia sfuggito di mano il dibattito sull’antisemitismo ai suoi stessi promotori e di come in Italia si faccia davvero fatica a trattare le questioni di interesse generale senza indossare le lenti di una ideologia.
Lucia Annunziata ha lanciato la proposta di candidare al Quirinale la senatrice a vita Liliana Segre, superstite dell’Olocausto. Nei giorni scorsi, il direttore dell’Huffington Post, durante un seminario a Milano, ha spiegato: «Vogliamo far partire da qui, da questo convegno, la proposta di candidare Liliana Segre alla presidenza della Repubblica, per togliere il Quirinale dalla partigianeria della politica». Politica, aveva osservato poco prima, che «parla sempre meno con il territorio».
Le ha fatto eco il direttore de “La Repubblica”. «Sottoscriviamo all’inizio di questa giornata una proposta alta e nobile –ha commentato Carlo Verdelli- L’idea di Lucia Annunziata e dell’Huffington Post di candidare Segre significa candidare un simbolo che racconta un’altra visione dell’Italia. La notizia della scorta data a Segre, in seguito a minacce subite, ha scosso il mondo. Ci sarà una commissione anti odio e speriamo che Segre, che ha sempre predicato la pace, resista alle pressioni che sta subendo, so che è turbata».
La proposta ha indubbiamente un intento nobile, ma rischia davvero di esacerbare ancora di più gli animi e di polarizzare ulteriormente la discussione sui valori dell’antisemitismo, dell’antifascismo e dell’anticomunismo, accreditando un’idea manichea di società e di cultura.
E poi c’è la questione anagrafica, tutt’altro che secondaria. Liliana Segre ha 89 anni. Il successore di Sergio Mattarella verrà eletto nel 2022, quando la senatrice a vita di anni ne avrà 92. Il mandato dura sette anni, dunque si concluderebbe quando Liliana Segre ne avrà 99. Pur augurando lunga vita alla senatrice, appare impensabile che durante quel settennato possa svolgere con il necessario dinamismo le funzioni di Presidente della Repubblica. Dalle missioni all’estero alla gestione delle crisi di governo, il Capo dello Stato è impegnato in attività che possono davvero risultare molto assorbenti e decisamente faticose. Nonostante l’Italia sia una Repubblica parlamentare e non presidenziale, il Quirinale rimane il centro nevralgico della guida della nazione, e questa sua crescente rilevanza si lega alla cronica instabilità politico-parlamentare, con conseguente svalutazione del ruolo delle Camere e valorizzazione solo temporanea della figura del premier. E poi in un momento in cui il peso di Sergio Mattarella è decisivo per la durata della legislatura, delegittimarne in qualche modo il ruolo, escludendo con oltre due anni di anticipo una sua ricandidatura, appare nei suoi confronti anche uno sgarbo istituzionale.
Ma a prescindere dai margini di operatività della Segre, il buon senso detta alcune decisive ragioni per essere contrari alla proposta di candidarla al Colle.
Maurizio Crippa, dalle pagine de Il Foglio, giustamente ritiene che «trasformare la senatrice in un “simbolo”, buttandola in partigianeria politica, in un paese in cui l’antisemitismo è invece bestia così trasversale, è un’idea criticabile».
C’è dunque il rischio concreto che una candidatura del genere finisca per essere strumentalizzata e per alimentare quel clima d’odio che si sta combattendo nelle ultime settimane con particolare veemenza e che ha prodotto minacce di morte alla stessa senatrice ma anche a chi, nell’immaginario collettivo, viene percepito come un suo acerrimo avversario e invece non lo è, cioè Matteo Salvini.
In verità il veleno ha cominciato a scorrere all’indomani del voto in Parlamento sulla commissione Segre. Quell’iniziativa, discutibile da tanti punti di vista, ha fatto riemergere antichi rancori. Il voto di astensione del centrodestra ha evidenziato una netta frattura tra quanti hanno una visione dogmatica dell’antisemitismo e quanti, con maggiore ragionevolezza, fanno notare che il bavaglio alle opinioni contrarie è sempre un vulnus alla democrazia e che non è possibile comprimere la libertà d’espressione in nome dell’affermazione di un pensiero unico. Istituire tribunali delle idee è sempre azzardato, visto che già esistono tante solide garanzie giuridiche e giurisprudenziali per punire, nella vita reale e in Rete, le manifestazioni d’odio, in qualunque direzione indirizzate.