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ELEZIONI USA

Se occorre un "cremlinologo" per capire che ne sarà di Biden

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Pressing su Biden perché si ritiri: si aggiunge George Clooney, ma alle sue spalle agisce Obama. Sono tutti retroscena di una politica americana ormai opaca, come quella del Cremlino.

Editoriali 12_07_2024
George Clooney ricevuto da Joe Biden (La Presse)

Pressing su Biden, per convincerlo a ritirarsi dalla corsa, dopo le catastrofiche performance delle ultime settimane, a partire dal dibattito televisivo del 29 giugno, vinto da Trump. Ai deputati democratici, a cui si aggiunge anche Chuck Schumer, leader della maggioranza al Senato (non ha parlato chiaramente, ma ha lasciato intendere di essere pronto al momento buono a scaricare il presidente) si aggiunge un personaggio che non fa politica, anche se da sempre è in politica: George Clooney.

La star di Hollywood, grande finanziatore del Partito Democratico, sponsor di Barack Obama dal 2008, ha scritto un editoriale sul New York Times in cui chiede al presidente di ritirarsi. Non usa le mezze parole di Schumer, è esplicito, soprattutto considerando che l’articolo incomincia con una dichiarazione d’amore per Biden, a cui segue un “ma”. «Ma c’è una battaglia che non può vincere, quella contro lo scorrere del tempo».  E non c’è niente di peggio che dichiarare la propria amicizia, stima e amore, per poi proseguire con argomenti opposti dopo un “ma”.  Perché è l’equivalente del “resteremo amici” nelle relazioni che si rompono, o del “le faremo sapere” dopo un colloquio andato male.

Il palcoscenico è significativo: il New York Times è il primo punto di riferimento della stampa progressista. Dalle elezioni del 2016 ha abbandonato la sua “obiettività” (già più teorica che reale) per diventare un quotidiano politico senza equivoci. Ricevere un invito a ritirarsi su un editoriale del New York Times non è come ricevere una recensione negativa sulla Pravda ai tempi di Stalin, ma quasi. «Non è solo la mia opinione, è quella di ogni senatore, deputato e governatore con cui abbia parlato in privato, nonostante ciò che dicono in pubblico». Precisa George Clooney, sottolineando un concetto ancor più terribile. Anche se ti sorridono ancora, dice al presidente, sappi che ti considerano già un morto che cammina.

Il giorno dopo la pubblicazione del pezzo di Clooney, è emerso un retroscena sul quotidiano Politico, sempre di area democratica, uno dei migliori per conoscere i segreti di Washington. Secondo le sue fonti, Clooney avrebbe contattato l’ex presidente Obama, spiegandogli l’intenzione di pubblicare quell’editoriale su Biden. Obama non lo avrebbe incoraggiato, ma non si sarebbe neppure opposto.

Clooney strumento di Obama? Di sicuro l’attore può parlare liberamente, senza rischiare di dividere il partito. Obama è costretto ad un atteggiamento più prudente, ma evidentemente ha la stessa idea: sostituire Biden in corsa. Allo stesso schema si starebbe unendo anche Nancy Pelosi, ex presidente della Camera, ormai in pensione, ma sempre piena di contatti e di influenza

Nell’evento del 16 giugno scorso, in occasione del quale sono stati raccolti 30 milioni di dollari per la campagna di Biden, erano presenti sia Barck Obama che George Clooney. Quest’ultimo era fra gli organizzatori della serata, insieme a Julia Roberts e con interventi di Barbra Streisand e Jack Black. Ci sono versioni contrastanti su come sia andato l’intervento di Biden in quell’occasione. Ma secondo fonti vicine a Clooney, deve essere stato un prequel del dibattito del 29 giugno, con perdite di memoria e imbarazzanti scene mute. Deve essere stato in quell’occasione che l’ex presidente ha deciso che è meglio per tutto il partito cambiare candidato.

Ma è solo dalla metà di giugno che si sono accorti dell’incandidabilità di Biden? Per quattro anni, i media, all’unisono, hanno continuato a non dire ciò che era sotto gli occhi di tutti. E solo questo mese, ex direttori di testata e giornalisti sfogano la loro frustrazione e rivelano di non aver mai potuto penetrare la fitta nebbia informativa che circondava il vertice degli Usa.

La vera notizia, comunque, è che, per capire come sta andando la corsa per le presidenziali americane si debba ricorrere a indiscrezioni, retroscena e articoli che “le mandano a dire”. Se c’è un segnale di crisi di una democrazia, eccolo. Proprio negli Usa, una nazione che vanta la trasparenza del proprio sistema di selezione dei vertici, con elezioni primarie aperte e competitive, prima di arrivare al voto per il presidente. Se ora occorrono metodi da “cremlinologo” per capire che accade fra le mura della Casa Bianca e sondare le manovre attorno a un presidente che si ricandida, vuol dire che abbiamo un problema. Manca solo la violenza del Cremlino, ma ci sono, anche qui, ampi margini di peggioramento.