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EDITORIALE

Se nella Chiesa si fa il tifo per l'eutanasia (senza dirlo)

L'intervista a Famiglia Cristiana di monsignor Paglia, presidente della Pontifica Accademia per la Vita, è indicativa dell'indirizzo preso da importanti settori della Chiesa: non solo favorevoli alla legge sul testamento biologico, ma anche una apertura all'eutanasia in nome dell'accompagnamento. 
- Roma, in piazza contro le Dat, di Marco Guerra

Editoriali 15_03_2017
Monsignor Paglia

Solo una notevole mancanza di senso della realtà può indurre a ignorare l’unico motivo per cui si vuole una legge che introduca le cosiddette Dichiarazioni Anticipate di Trattamento (Dat) o testamento biologico. Lo abbiamo raccontato e dimostrato più volte in questi giorni anche guardando ai Paesi che ci hanno preceduto: le Dat sono il primo passo per introdurre l’eutanasia. Eppure le gerarchie della Chiesa italiana e anche autorevoli esponenti vaticani sembrano viaggiare in un’altra dimensione.

C’è chi crede – vedi i vertici Cei - al potere taumaturgico della legge, capace di porre limiti a una deriva che altrimenti sarebbe ineluttabile, dimenticando che una legge c’è già: laddove una pratica è vietata non c’è alcun vuoto normativo da riempire. E c’è chi invece crede che la legge serva a creare unità nel Paese, proprio su un tema divisivo, evidentemente a prescindere – almeno in parte – dai contenuti. È quest’ultimo il caso di monsignor Vincenzo Paglia (sì, ancora lui purtroppo) i cui interventi, essendo egli il presidente della Pontifica Accademia per la Vita, acquistano un peso molto importante nel dibattito e nell’indirizzare l’azione dei cattolici.

In un’intervista a Famiglia Cristiana, dopo aver espresso diversi giudizi condivisibili sull’attuale cultura individualista che distrugge i legami e non valorizza la vita, entra nello specifico della discussione ora in Parlamento e si schiera con decisione a fronte di una legge sul biotestamento. Ovviamente per monsignor Paglia le Dat non c’entrano con l’eutanasia, ma la vera preoccupazione sembra l’unità del paese. Dato per scontato che è condivisa la necessità di una legge, «mi auguro che si giunga ad un accordo il più largo possibile».

Bisogna intanto ricordare che la necessità di una legge è stata propugnata da chi da sempre vuole l’eutanasia, e il primo grande successo è proprio aver convinto di tale necessità quasi tutti, compresi quelli che si illudono così di porre dei limiti. Inoltre è davvero curiosa la preoccupazione di un accordo ampio sulla legge piuttosto che quella di una legge giusta. È con queste preoccupazioni politiche che i cattolici collaborano volentieri all’approvazione di leggi ingiuste.

Queste sono comunque cose già viste e sentite. Ma è l’ultima risposta a lasciare veramente sconcertati: il giornalista chiede a monsignor Paglia un confronto nell’atteggiamento della Chiesa tra i casi del passato, Eluana Englaro e Piergiorgio Welby, e quello recente di djFabo. Qualcuno sostiene che in quest’ultima situazione i cattolici siano stati troppo tiepidi, dice il cronista. Macché, risponde Paglia: «Semmai, si sceglie in luogo della contrapposizione ideologica la via del dialogo e dell’approfondimento ma senza nessuna rinuncia ai principi». E ancora: Dobbiamo essere larghi nella compassione senza diminuire la fermezza nei principi».

Dunque, secondo monsignor Paglia, tentare di salvare una vita come quella di Eluana Englaro è contrapposizione ideologica. E cosa si sarebbe dovuto fare allora per essere più larghi nella compassione restando fermi nei princìpi? E con Welby? Dialogo o non dialogo c’era da scegliere: funerali in chiesa sì o no? Cosa farebbe oggi monsignor Paglia davanti a un caso del genere, in cui chi sceglie di morire sceglie anche di nobilitare i suoi ultimi giorni diventando la bandiera di un movimento che chiede l’eutanasia e il suicidio assistito, si fa testimonial del Partito Radicale e cerca, con il suo dramma, di spingere la Chiesa a cambiare la sua dottrina?

Crediamo purtroppo di sapere la risposta e – diciamocelo chiaramente – Paglia non è il solo a pensarla così. Sennò non si spiegherebbe il silenzio totale di voci ufficiali del mondo cattolico davanti ai ripetuti, pretestuosi, tentativi (non solo di Marco Cappato) di contrapporre l’atteggiamento della Chiesa milanese nel caso di dj Fabo con quello del Vicariato di Roma per il caso Welby.

È questa la novità di cui bisogna prendere atto: in questo clima di accompagnamento senza un criterio, si fa strada l’accettazione del suicidio (ovviamente a certe condizioni e con dei paletti, tanto per mettersi in pace con la coscienza) e aumenteranno le voci di coloro che già adesso parlano di riti e preghiere ad hoc per “accompagnare” coloro che scelgono l’eutanasia (clicca qui e qui). Si capisce allora perché la legge non faccia problema. Il mondo delle Curie è già molto più avanti.