Se muore il prete no vax, allora si può spargere fango
Gli avvoltoi si avventano sul cadavere di don Paolo Romeo, reo di essere «tradizionalista» e «no-vax». Invece la testimonianza del sacerdote genovese morto di covid dà fastidio a chi pensa che sia virtù lasciare le persone ammalate senza cure e sacramenti. In questo era scomodo: perché non aveva accettato che la mancanza della sacra puntura potesse impedirgli di esercitare quel ministero da lui ricevuto per via sacramentale e non sanitaria.
- LE VARIANTI DI BASSETTI di Lorenza Formicola
Gli avvoltoi e gli squali si avventano sul cadavere di don Paolo Romeo, reo di essere al contempo tradizionalista e no-vax. Che cosa questi due aggettivi vogliano dire non lo sanno nemmeno quelli che li utilizzano, però suonano benissimo. Se poi quel sacerdote muore di Covid, allora è impossibile trattenersi dal dare il peggio di sé.
A leggere l’articolo di Bruno Viani, sul Secolo XIX dell'1 febbraio, sembra che don Romeo, parroco dell’Abbazia di Santo Stefano a Genova, sia morto perché era no-vax. Come se il Covid eseguisse la sentenza di un processo alle intenzioni; o come se di Covid muoiano solo i non vaccinati, mentre i vaccinati acquisirebbero una specie di salubrità sine die, come quella che viene loro riconosciuta dal Governo, con il Green Pass perpetuo.
E dopo Viani, come dei pappagalli con gli artigli, a ruota tutti gli altri. La palma dell’articolo più deprimente è l’articolo di FanPage, che ha buon gioco a ridicolizzare don Romeo come un imbecille che credeva che dentro i vaccini ci fossero le cellule dei bambini abortiti. E giusto per far capire che invece lui – l’articolista - tale Davide Falcioni è di quelli ben informati, aggiunge dall’alto della sua scienza: «È una vecchia bufala rispolverata con il Covid. Secondo alcuni, specie afferenti ad ambienti molto conservatori, molti vaccini sarebbero prodotti usando feti abortiti acquistati dalle case farmaceutiche». Chi siano questi “alcuni” l’attentissimo articolista non ce lo fa sapere. Forse perché non lo sa; come anche non sa che quanti si oppongono a questi vaccini, non lo fanno perché ritengono che siano prodotti usando i feti abortiti, ma perché sono a conoscenza di quello che anche Falcioni è costretto ad ammettere e cioè «che alcuni virus vengono coltivati su cellule di origini fetale». Forse sarebbe meglio dire a (stra)Falcioni che il problema etico sta proprio lì, riconosciuto anche dalla Nota della Congregazione per la Dottrina della Fede, tanto sventolata per dare l’idea che don Romeo fosse un insubordinato.
Se non ci fosse di mezzo un morto, il titolo de Il Messaggero darebbe sufficienti motivi per ridere: «No vax, don Paolo Romeo: “I vaccini contengono cellule derivate da feti abortiti”. Poi muore di Covid». Ve lo immaginate don Romeo che, mentre predica contro i vaccini illeciti (perché tali sono), stramazza a terra per Covid?
Torniamo al Secolo XIX. Secondo Viani, don Romeo sarebbe stato un «intransigente», «in dissenso con le posizioni della Chiesa», «al limite dell’ortodossia», sostenitore di «un’opzione estrema e non sostenuta dalle gerarchie cattoliche, portata avanti dagli ambienti ristretti di origine lefebvriana per una questione morale». Se Viani vuole sapere che cosa pensi la Fraternità Sacerdotale San Pio X della questione, cioè i lefebvriani, può farlo con suo comodo, leggendo il comunicato della Casa Generalizia, e si accorgerà che non si tratta affatto di un’opzione estrema, ma al contrario, perfino troppo permissiva.
Lefebvriani a parte, la posizione della Congregazione non è affatto «assolutoria e propositiva», con l’intento di sacrificare la questione delle linee cellulari al «bene maggiore», ossia «la vaccinazione universale». Nel libro di recente pubblicazione, ho cercato di mostrare i punti deboli della Nota della CDF; ma anche il fatto che in essa permangono pur sempre condizioni ben precise; non ultima la seguente: «Il dovere morale non è vincolante se vi è un grave pericolo, come la diffusione, altrimenti incontenibile, di un agente patogeno grave: in questo caso, la diffusione pandemica del virus SARS-CoV-2 che causa il Covid-19». Basterebbe questo paragrafo per capire che la posizione di don Romeo era più che legittima. I vaccini attuali hanno infatti ormai ampiamente dimostrato di non essere in grado di impedire la diffusione dell’agente patogeno, nonostante tutta l’industria della stampa per far credere che siano quasi esclusivamente i non vaccinati ad infettarsi ed infettare. Pertanto, l’elemento che legittimerebbe il ricorso a tali vaccini è quanto meno “opinabile”. Don Paolo Romeo, di fronte alle insistenze di chi voleva che si vaccinasse, più che giustamente perciò si appellava al fatto che la Nota prevedeva la possibilità di opporsi a questi vaccini «per motivi di coscienza», purché si facesse il possibile per ridurre il rischio di infettare le persone più vulnerabili.
Don Paolo Romeo non è morto perché era no-vax; non è morto perché era intransigente. Non sappiamo la ragione precisa della sua morte. Quello che è certo è che è voluto rimanere fedele, qualunque fosse il prezzo da pagare, alla testimonianza di fede che sentiva di dover dare ai suoi parrocchiani e ai fedeli che lo accostavano; una testimonianza che certo può suonare eccentrica di fronte ad una gerarchia che invece ha rapidamente trasformato un vaccino immorale in un dovere morale. La possibilità di ammalarsi di Covid non lo ha trattenuto dal restare fedele fino in fondo al suo ministero, perché, come ci scrive chi lo ha conosciuto «portava i Sacramenti ai malati di Covid (per esempio ai miei genitori): non aveva paura di chi ha il potere di uccidere il corpo, ma non l'anima (Mt 10, 28) [...]. È morto come muoiono i santi, servendo Cristo nei sofferenti, restando sotto la croce mentre gli altri fuggivano. E come Cristo dà fastidio».
Già, don Romeo dà tremendamente fastidio a chi pensa che ormai sia virtù barricarsi in casa e lasciare le persone ammalate di Covid senza cure e senza sacramenti. È scomodo, perché non aveva accettato che la mancanza della sacra puntura potesse impedirgli di esercitare quel ministero da lui ricevuto per via sacramentale e non sanitaria.
L’Italia è piena di fabbricati regalati per riconoscenza ad ordini religiosi che, durante le epidemie, si erano distinti per il soccorso alle persone malate, perdendo non pochi dei propri membri. Evidentemente, una volta si sapeva riconoscere il profumo dell’eroica carità; oggi, invece, si avverte la necessità di vilipendere chi, senza volerlo, mette in luce la nostra viltà.