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SIERRA LEONE

Se l’odio tribale è più forte del cristianesimo

Vincono tutti, ma dalla vicenda il principio di obbedienza esce sconfitto mentre trionfa ancora una volta il tribalismo che neanche il cristianesimo è riuscito a cancellare del tutto. Così si preferisce un pastore di un altro Continente piuttosto che un connazionale di etnia diversa. Succede in Sierra Leone dove la nomina di un vescovo riaccende gli odi tribali. 

Editoriali 21_07_2015
Monsignor Henry Aruna, il vescovo rifiutato

La Sierra Leone è uno dei Paesi più poveri del mondo. Oltre metà dei suoi sei milioni di abitanti vivono con meno di 1,25 dollari al giorno, quindi sotto la soglia di povertà. Nell’Indice di sviluppo umano 2014 è 183°, su 187 Stati classificati. Detiene il primato della più bassa speranza di vita alla nascita del mondo: 45,4 anni contro una media mondiale di 70,8 e di 56,8 anni per quel che riguarda l’Africa subsahariana. 117 bambini su 1.000 muoiono entro il primo anno di vita, 187 su 1.000 prima di compiere cinque anni. Il tasso di mortalità materna è uno dei peggiori al mondo: ogni 100.000 parti, 890 donne perdono la vita in seguito a gravidanza e parto. 

Tra il 1991 e il 2002 la Sierra Leone è stata devastata da una delle guerre civili più feroci della storia africana recente: le miniere di diamanti erano la posta in gioco. L’espressione “diamanti insanguinati” nasce allora. Al termine del conflitto si contavano da 50.000 a 300.000 morti, 2,5 milioni di profughi, sfollati e oltre confine, decine di migliaia di persone mutilate. Lo scorso anno sul Paese si è abbattuto un altro flagello: ebola, un’epidemia tuttora in corso che ha già fatto quasi 4.000 morti. In Sierra Leone il 60% della popolazione è islamica, il 30% animista. I cristiani sono pochi: solo il 10%. Le sfide quotidiane e le prove terribili alle quali sono stati e continuano a essere sottoposti dovrebbero averli più che mai uniti, superando ogni fattore economico e sociale di divisione. Ma così non è stato. Tre anni fa la nomina del nuovo vescovo di Makeni, principale città della Provincia del Nord, ha fatto emergere quanto peso continui a esercitare il tribalismo tra di loro, a tutti i livelli, persino tra il clero. 

La Santa Sede nel gennaio del 2012 aveva scelto come successore di monsignor Giorgio Biguzzi, messo a riposo per limiti di età, il reverendo Henry Aruna. Nessuno ha pensato che potesse costituire un problema il fatto che padre Aruna fosse un Mende, la seconda etnia del Paese, concentrata nel Sud, mentre il Nord è territorio dell’etnia più numerosa, i Temne. Invece la decisione di Roma è stata contestata e respinta: il clero argomentando che con quella nomina tutti i vescovi del Paese sarebbero stati di origine meridionale, la popolazione semplicemente rifiutando di accettare un Mende, un estraneo, come proprio pastore. Le proteste sono diventate violente. Alla fine monsignor Aruna è stato ordinato, ma solo un anno dopo e nella capitale Freetown perché a Makeni la cerimonia avrebbe sicuramente provocato disordini; e a Makeni non si è mai insediato. Si temeva per la sua vita: molti i messaggi e le telefonate intimidatorie e minacciose contro l’ “estraneo” imposto e indesiderato. 

D’altra parte era evidente che, in un clima così ostile, monsignor Aruna non solo rischiava la vita a Makeni, ma avrebbe potuto contare sulla collaborazione di ben pochi sacerdoti e laici disposti a sfidare il risentimento dei fedeli infuriati. Così la diocesi è stata affidata temporaneamente a padre Natalio Paganelli, uno dei missionari saveriani fondatori della diocesi stessa. In questo modo il Vaticano – allora il Papa era Benedetto XVI – pur chiedendo fermamente il rispetto del principio di obbedienza, aveva inteso dar tempo al clero di Makeni di accettare il nuovo vescovo e convincere la comunità dei fedeli ad accoglierlo. Invece, sabato scorso 18 luglio, papa Francesco ha elevato padre Natalio alla dignità episcopale assegnandogli la sede titolare vescovile di Gadiaufala e disponendo che rimanga a Makeni come vescovo amministratore. Quanto a monsignor Aruna, nello stesso giorno il Pontefice lo ha trasferito dalla diocesi di Makeni a quella di Kenema, nel Sud Mende, lo ha nominato vescovo ausiliario di quella diocesi e gli ha assegnato la sede titolare vescovile di Nasbinca. Intervistato, monsignor Biguzzi ha commentato: «Ottimo! Una nomina nel segno della continuità! Laggiù ne sono felici. C’è stato un applauso in cattedrale!». Un risultato – ha proseguito – «frutto di fine diplomazia. Vincono tutti: la diocesi viene ascoltata, ma Aruna rimane vescovo».     

Vincono tutti, tutti soddisfatti. Ma dalla vicenda il principio di obbedienza esce sconfitto mentre trionfa ancora una volta il tribalismo, quindi il razzismo, l’ostilità e la diffidenza che separano e contrappongono le etnie, l’intolleranza che diventa violenza contro gli estranei: sentimenti e atteggiamenti che neanche il cristianesimo è riuscito a cancellare del tutto, al punto che una popolazione indipendente da oltre mezzo secolo, che fieramente rifuta ingerenze straniere e rivendica sovranità nazionale, diritto di  autodeterminazione e libertà di scelta, preferisce un pastore arrivato da un altro Continente piuttosto che farsi guidare da un connazionale di etnia diversa.