Se l'Italia "contrabbanda" le armi
La magistratura indaga su un carico
di missili russi sequestrati dalla nostra Marina nel 1994 e finiti nelle mani degli oppositori di Gheddafi.
Molti aspetti misteriosi e qualcuno grottesco caratterizzano la vicenda della più che probabile fornitura di armi russe sequestrate 17 anni fa da un cargo diretto in Croazia che il tribunale ordinò di distruggere ma che invece sono rimaste stoccate nelle caverne dell'isola sarda di Santo Stefano, dove fino al 2008 era presente una base per sottomarini nucleari statunitensi. La vicenda l'ha raccontata nei dettagli il Corriere della Sera ricordando i traffici di armi che videro coinvolto l'oligarca russo Alexander Zukov, ma la parte interessante riguarda il trasferimento segreto di queste armi alle forze ribelli che in Libia combattono il regime di Gheddafi.
L'ingente arsenale comprendente 400 missili anticarro, 11 mila lanciarazzi anticarro, 5 mila razzi Grad da 122 millimetri 30 mila kalashnikov e 32 milioni di proiettili, torna a dare nell'occhio solo quando in maggio viene trasportato dalla Maddalena a Olbia e da lì a Civitavecchia con due traghetti civili carichi di passeggeri ai quali non sfuggono i misteriosi container militari. L'aspetto ridicolo è che il trasporto è stato effettuato su traghetti civili per risparmiare qualche migliaio di euro (come hanno appurato le indagini della procura sarda) facendo così emergere un'operazione che avrebbe dovuto restare segreta.
Insomma, una missione da 007 gestita alla Fantozzi, almeno nella fase iniziale perché poi, da Civitavecchia a Bengasi, le armi sono state trasportate con una nave militare o a bordo di un altro cargo civile noleggiato per consegnare materiali e aiuti umanitari, tecnica già utilizzata dai francesi e dal Qatar per fornire armi agli insorti. Di fronte alle inchieste giornalistiche e alle interrogazioni parlamentari il governo ha posto il segreto di stato sulla vicenda.
Iniziativa infelice che conferma tutte le ambiguità dell'Italia e dei suoi alleati nella guerra libica ma che indirettamente conferma anche che queste armi sono finite in mano ai ribelli. Un elemento che spiegherebbe anche il ruolo di decine di consiglieri militari italiani, per lo più membri delle forze speciali, che secondo indiscrezioni da un paio di mesi sarebbero in Libia con il compito di addestrare i miliziani all'uso di armi complesse come i missili anticarro. Un compito ricoperto in Libia anche da molti consiglieri militari francesi e contractors britannici alcuni dei quali coinvolti anche in modo diretto nei combattimenti al fianco degli insorti.
Comprensibile che Roma voglia mantenere il segreto sulla vicenda sia per non ammettere il ruolo bellico di primo piano ricoperto dagli italiani sia perché le forniture di armi alla Libia, siano esse dirette a governativi o ribelli, violano l'embargo previsto dalle risoluzioni dell'Onu 1970 e 1973.
L'imbarazzo è tale che persino la Nato si è rifiutata di commentare la notizia, che riguarda iniziative dei singoli Paesi e non dell'Alleanza Atlantica.
Evitare di scivolare su simili bucce di banana, come quella affrontata a inizio luglio da Parigi quando Le Figaro rese noto che 40 tonnellate di armi e munizioni francesi erano state paracadutate ai ribelli a sud di Tripoli, è imperativo per il governo italiano già ai ferri corti con una Lega Nord contraria alla guerra e inviperita dall'aumento delle accise sui carburanti per pagare i costi della guerra a Gheddafi.