Se Avvenire difende l’indifendibile legge Lgbt
In un articolo del 25 luglio, il quotidiano della Cei parla dell'ideologica legge «contro le discriminazioni», approvata due giorni dopo dal parlamento dell'Emilia Romagna a maggioranza Pd, come di un testo con qualche ombra ma tutto sommato positivo. Segno di una deriva da tempo in atto ad Avvenire, sempre più appiattito su posizioni non cattoliche.
Giornale: Avvenire di giovedì 25 luglio 2019. Titolo: «Legge antidiscriminazioni in Emilia, Pd schierato contro l’utero in affitto». Svolgimento: la legge presenta qualche ombra, ma tutto sommato è discreta e dobbiamo ringraziare i cattolici del Pd (che l’hanno votata) per aver depotenziato «gli acuti più ideologici».
Ebbene, dopo la clamorosa inversione a U che ha portato il quotidiano della Cei ad aprire alla triptorelina, nel suo uso come farmaco blocca-pubertà (clicca qui), Avvenire fa un altro balzo in avanti, pur tra alcuni distinguo, nell’accettazione dell’agenda Lgbt, che trova nel Pd il suo grande sponsor politico italiano (in compagnia del Movimento 5 Stelle). E lo fa con un commento a firma, anche stavolta, di Luciano Moia (clicca qui), giunto nel pieno della battaglia in aula sulla tanto discussa legge bavaglio, approvata nella notte tra il 26 e il 27 luglio.
Dunque, nell’edizione di giovedì, dopo aver parlato della presunta compattezza trovata sul tema dal partito di Zingaretti (ditelo a Lo Giudice, Cirinnà e seguaci), Moia scriveva che «se tutto andrà come deve, entro stasera […] avremo probabilmente la prima legge regionale contro le discriminazioni e le violenze di genere in cui si dice anche che l’utero in affitto è pratica da combattere perché offende la dignità della donna e riduce il figlio a pratica commerciale». Grassetto come nell’originale. Le parole usate lasciano pensare che i cattolici debbano quasi quasi stappare lo spumante per festeggiare tanta grazia venuta fuori da una legge pensata per mettere a tacere le idee… cattoliche.
Primo: la legge non parla né di «combattere» l’utero in affitto né dice che questo offende «la dignità delle donne». Queste due parti erano già state cancellate - due settimane prima dell’articolo di Moia - con la nuova versione degli emendamenti del Pd (clicca qui), presentati il 9 luglio e poi approvati in commissione Parità il giorno 11. Lo si può verificare leggendo il testo (clicca qui) licenziato dalla stessa commissione, che è uguale a quello poi definitivamente approvato il 27 luglio dall’aula. In sostanza, rispetto agli emendamenti firmati ad aprile da Giuseppe Paruolo e altri otto cattodem, è stata cancellata la parte relativa al «contrasto» dell’utero in affitto ed è stato eliminato ogni giudizio morale sulla pratica. Parti inaccettabili per chi comanda nel Pd. È rimasta, peraltro indebolita, solo la parte che prevede di non finanziare le associazioni pro maternità surrogata (vedi art. 12), e solo in ragione di un compromesso interno al Pd, che rischiava di spaccarsi e perfino di non avere i numeri per portare a casa la legge gradita alla lobby gay.
Secondo: anche se fossero rimasti i passaggi del testo che Moia, erroneamente, credeva presenti, la legge sarebbe stata comunque inaccettabile. Perché al di là dell’utero in affitto, la legge usa il linguaggio arcobaleno sull’«orientamento sessuale» e «l’identità di genere» e dunque nega di fatto la complementarità maschile-femminile, rappresenta un pericolo per la libertà d’espressione, crea corsie preferenziali nel mondo del lavoro per le persone Lgbt che saranno ritenute «vittime di discriminazione», favorisce l’insegnamento dell’ideologia gender nelle scuole, il controllo - da regime - dei contenuti diffusi dai media, eccetera. È quindi chiara la pretestuosità di una legge con il fine dichiarato di combattere le «discriminazioni» verso un particolare movimento, quando già nell’ordinamento italiano ci sono le tutele necessarie per tutti i cittadini.
Invece, per la firma di Avvenire, il passaggio contro l’utero in affitto «non sarebbe comunque l’unico degno di nota» e cita come esempi la cancellazione del termine «omotransnegatività» e del pazzesco riferimento alle discriminazioni «potenziali»: ma questi non sono mica punti buoni della legge, “degni di nota”, semmai si tratta di pericoli scampati.
L’elogio abbraccia anche «l’articolo relativo alle politiche del lavoro e della formazione» (le corsie preferenziali di cui sopra) e poi ricorda il richiamo all’articolo 26 della Dichiarazione universale dei diritti umani e all’articolo 30 della Costituzione sulla priorità educativa dei genitori. Per carità, a danno fatto, è meglio che quest’ultimo richiamo ci sia (se ne potranno avvalere i genitori più consapevoli, a beneficio dei loro figli, ma quanti altri dovranno sorbirsi concetti devastanti per effetto di questa legge?), ma è chiaro che in un Paese normale sarebbe superfluo (la Costituzione è la carta fondamentale) e poi le cronache ci dicono che insegnanti e dirigenti gay-friendly hanno in questi anni bellamente ignorato la priorità educativa dei genitori, basandosi su circolari ministeriali e a volte nemmeno su quelle. Figuriamoci ora che c’è una legge di questo tipo.
Solo verso la fine dell’articolo, Moia fa qualche appunto alla legge, parlando di «ombre» non dissipate e rilevando, con un linguaggio comunque ambiguo, una contraddizione interna alla teoria del gender. Un po’ come mettere una pezza dopo aver allagato un’intera casa. L’impressione finale per il lettore - ed elettore? - è che appunto questa legge non è poi così male e per certi aspetti è perfino lodevole.
Il giornalista è tornato sull’argomento nell’edizione del 27 luglio (clicca qui), a legge approvata, stavolta facendo qualche critica in più, accompagnata però da affermazioni inconcepibili per la dottrina cattolica, come quando - in modo simile a quanto fatto nel primo articolo - avalla l’idea Lgbt che quella di «omosessuali e transessuali» sia «una condizione strutturale e costitutiva della personalità».
Eh sì, del resto l’improvviso via libera alla triptorelina era stato rivelatore dell’accelerazione di una deriva già in atto da tempo. «Maschio e femmina li creò» non si sa più cosa voglia dire negli ambienti di Avvenire. E quindi non sorprende che non si sia capaci di dire che il parlamento dell’Emilia Romagna, in pieno scandalo affidi, ha appena approvato una legge malvagia. Al più si dice che «non è un testo esemplare».
Gesù ci ha avvertiti: «Sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno» (Mt 5, 37).