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IL DOCUMENTO

Scuole cattoliche, il “no” a docenti Lgbt è normale

L’istruzione del 29 marzo della Congregazione per l’Educazione cattolica sta ricevendo accuse di discriminazione per il riferimento, nell’art. 77, all’orientamento sessuale. Ma la possibilità di sanzionare chi va contro, per dottrina e stile di vita, all’identità di una scuola è giusta. E in linea con il Concordato, le leggi e la giurisprudenza costituzionale.

Ecclesia 31_03_2022

Monsignor Georg Bätzing, presidente della Conferenza episcopale tedesca, era stato perentorio in un’intervista concessa alla rivista Bunte, dicendo di voler garantire che “nessuno deve più avere paura di perdere il lavoro per come vive la sua intimità personale”. Il Vaticano gli ha risposto due giorni fa con l’istruzione L’identità della scuola cattolica per una cultura del dialogo emanata dalla Congregazione per l’Educazione cattolica.

Nel documento, che porta la firma del cardinale Giuseppe Versaldi, viene specificato che “qualora la persona assunta non si attenga alle condizioni della scuola cattolica e della sua appartenenza alla comunità ecclesiale, la scuola prenda le misure appropriate”. E tra le condizioni, c’è la richiesta che i docenti si distinguano “per retta dottrina e per probità di vita nella formazione delle giovani generazioni”. Non viene escluso che nelle scuole paritarie possano esserci “docenti e il personale amministrativo che appartengono ad altre Chiese, comunità ecclesiali o religioni, nonché quelli che non professano alcun credo religioso” ma a costoro viene chiesto “l’obbligo di riconoscere e di rispettare il carattere cattolico della scuola”.

L’istruzione ha fatto discutere, in particolare, per l’articolo 77 nel quale viene scritto che «si prende atto che in tanti Paesi la legge civile esclude una “discriminazione” a causa della religione, dell’orientamento sessuale nonché di altri aspetti della vita privata. Nello stesso tempo, viene riconosciuta alle istituzioni educative la possibilità di munirsi di un profilo di valori e di un codice di comportamenti da rispettare. Nel momento in cui tali valori e comportamenti non siano rispettati dai soggetti interessati, essi possono essere sanzionati come espressione di una mancanza di onestà professionale nel non adempimento delle clausole definite negli appositi contratti e nelle linee-guida istituzionali».

Il riferimento all’orientamento sessuale e in generale all’adesione e alla coerenza alla dottrina della Chiesa, dunque, non è passato inosservato e sui social network in molti hanno accusato il dicastero vaticano di atteggiamento discriminatorio e addirittura di contrasto con gli ordinamenti giuridici dei vari Paesi. Tuttavia, l’art. 4 della legge 108 del 1990 sui lavoratori che prestano servizio presso un’organizzazione di tendenza stabilisce che quei datori di lavoro caratterizzati da un dato orientamento religioso, e che devono rimanere coerenti con esso, hanno il diritto di richiedere al lavoratore un obbligo di lealtà. È evidentemente il caso delle scuole e delle università cattoliche.

Ad esempio, esiste una sentenza della Corte Costituzionale sul licenziamento cosiddetto ideologico nelle organizzazioni di tendenza (del 21 novembre 1991, n. 12530) nella quale è stato scritto che “è legittimo, perché assistito da giusta causa, il licenziamento intimato da un istituto di istruzione cattolico a un proprio docente laico per aver questi contratto matrimonio con il rito civile e non con quello religioso”. Lo stesso decreto legislativo 9 luglio 2003 , n. 216, con il quale si dà attuazione della direttiva 2000/78/CE per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, sancisce che “nell’ambito del rapporto di lavoro o dell’esercizio dell’attività di impresa, non costituiscono atti di discriminazione (...) quelle differenze di trattamento dovute a caratteristiche connesse alla religione, alle convinzioni personali, all’handicap, all’età o all’orientamento sessuale di una persona, qualora, per la natura dell’attività lavorativa o per il contesto in cui essa viene espletata, si tratti di caratteristiche che costituiscono un requisito essenziale e determinante ai fini dello svolgimento dell’attività medesima”.

Bisogna ricordare, inoltre, il contenuto dell’articolo 10 dell’Accordo di revisione del Concordato tra Italia e Santa Sede nel quale si legge che “le nomine dei docenti dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e dei dipendenti istituti sono subordinate al gradimento, sotto il profilo religioso, della competente autorità ecclesiastica”. La stessa Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, accogliendo il ricorso del docente di filosofia Luigi Lombardi Vallauri sospeso dall’Università del Sacro Cuore per posizioni filosofiche ritenute contrarie alla dottrina cattolica, nella sentenza del 20 ottobre 2009 ha condannato il Governo italiano per aver violato la libertà d’espressione con il Concordato: quindi un riconoscimento implicito del fatto che l’Accordo di Villa Madama prevedeva che si potesse arrivare al licenziamento per giusta causa se la condotta del docente si ponesse in contraddizione con la tendenza dell’istituzione scolastica. Una sentenza discussa in cui un giudice, il portoghese Cabral Barreto, volle mettere per iscritto la sua opinione dissenziente secondo cui la libertà accademica proclamata dai suoi colleghi trovasse una limitazione “nell’interesse dell’Università cattolica a dispensare un insegnamento ispirato alle convinzioni religiose che le sono proprie”.

Un’opinione, quest’ultima, concordante con la sentenza della Corte Costituzionale del 1972 sul cosiddetto caso Cordero nella quale si rilevava che in base all’articolo 33 della Costituzione lo Stato non ha l’esclusività dell’insegnamento e che, all’interno delle istituzioni di tendenza, la “libertà della scuola” prevarrebbe sulla “libertà nella scuola”, imponendo la “conformità dell’insegnamento ad un determinato indirizzo ideologico o metodologico”. Può essere utile ricordare che le conclusioni di questa sentenza vennero ribadite dal legislatore in occasione della firma degli Accordi di Villa Madama a proposito del già citato articolo 10. Al punto 6 del Protocollo addizionale, infatti, in riferimento all’articolo 10 viene espressamente detto che “la Repubblica Italiana, nell’interpretazione del n. 3 - che non innova l’articolo 38 del Concordato dell’11 febbraio 1929 - si atterrà alla sentenza 195/1972 della Corte Costituzionale relativa al medesimo articolo”.