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RIFORME

Scuola, si è deciso di non decidere

Niente decreto legge per la riforma della "buona scuola". Si è deciso di procedere con un disegno di legge. Il governo passa la palla al Parlamento. Ci perdono i precari: è bloccato il loro processo di assunzione. Soprattutto ci perdono le scuole paritarie: non si parla più del fondo sperimentale di detrazione delle rette scolastiche.

Editoriali 04_03_2015
Il ministro Giannini

Nel pomeriggio di ieri si era parlato di disegno di legge con discussione e approvazione in tempi certi e di stralcio delle assunzioni riguardanti i precari, nell’attesa di trovare un’altra formula che non le mettesse a rischio e ne consentisse l’attuazione a partire da settembre. Ieri sera, però, in consiglio dei ministri al termine di una giornata convulsa, che avrebbe dovuto segnare una svolta in materia di “buona scuola” e che invece ha riproposto forti divisioni, sia nel governo che tra governo e sindacati, si è deciso di non decidere.

Le prime avvisaglie si erano avute in mattinata, tanto che il premier aveva dovuto incontrare il ministro dell’istruzione, Stefania Giannini, che sembrava essere stata presa alla sprovvista dal cambio di programma: non più decreto del governo, bensì disegno di legge. Pare che dal Quirinale siano arrivati segnali precisi: su temi così decisivi per il futuro del Paese e per la crescita della comunità nazionale occorrono confronto e condivisione con tutti, anche con le opposizioni, quindi niente decreti ma solo disegni di legge da portare in Parlamento.

Il consiglio dei ministri ieri non ha potuto far altro, quindi, che rinviare ogni decisione a una prossima seduta, al fine di evitare di portare allo scoperto malumori e contrasti interni. Ha affrontato una semplice discussione sulle linee guida della “buona scuola”, incentrate sulla meritocrazia nella valutazione dell’insegnamento di ciascun docente, sul rafforzamento di alcune materie tra le quali inglese, musica, arte, sull’incentivazione dei processi di digitalizzazione. Ha altresì congelato la questione relativa all’assunzione di 180.000 precari, annunciata a partire dal primo settembre prossimo e che dovrebbe concludersi, stando ai proclami governativi, nel 2019, con l’attribuzione di 120.000 nuove cattedre. A questo punto, il collocamento dei precari potrebbe subire un brusco stop, il che getterebbe nel caos l’intera scuola, tra graduatorie, concorsi e ricorsi. Un film già visto, dunque, la cui ciliegina sulla torta potrebbe riguardare le scuole paritarie. Non si è parlato più, ieri, neppure dell’istituzione di un fondo sperimentale per la detrazione, fino a 4.000 euro all’anno, delle rette scolastiche delle scuole paritarie, per il quale si era impegnato uno schieramento trasversale sostenuto in primo luogo dal sottosegretario all’istruzione, Gabriele Toccafondi, del Nuovo centrodestra, ex Forza Italia (appello firmato da una trentina di parlamentari).

Forse a far rinviare tutto il pacchetto scuola potrebbero essere state le divisioni interne al Pd e alle componenti scolastiche proprio sull’aiuto alle paritarie. E’ la solita deriva ideologica che pare non stia risparmiando su alcune questioni specifiche (vedi jobs act e, ora, anche il rapporto scuola pubblica-scuola privata) anche l’attuale governo.

Gli oppositori delle paritarie, animati da oscurantismo e accecati da uno statalismo antistorico, dimenticano che è stata la legge n. 62 del 2000, promossa da un governo di sinistra (il ministro dell’epoca era Berlinguer) a stabilire che la scuola pubblica fosse un sistema integrato. La maggior parte delle paritarie sono scuole dell’infanzia, private e comunali, che suppliscono allo Stato fornendo un servizio alle famiglie. Senza il contributo formativo delle paritarie, il fabbisogno scolastico della popolazione nazionale non potrebbe mai essere soddisfatto e il sistema rischierebbe il collasso. E’ evidente che poi esistono i “diplomifici”, che macchiano l’immagine delle paritarie e screditano sul piano dell’immagine l’intero sistema. Su quelli bisognerà continuare ad essere inflessibili.

C’è dunque da sperare che il rinvio deciso ieri possa servire a sciogliere positivamente anche il nodo riguardante le detrazioni alle private, al fine di mantenere viva la ricchezza del pianeta formativo italiano, al riparo da politiche miopi e da battaglie di retroguardia.