Scuola, ritorno a un compito semplice
Tra le mille emergenze del nuovo governo non può mancare la scuola. Galli della Loggia individua dieci punti per un ritorno alle origini. Condivisibili, che faranno storicere il naso a progressisti e novatori. Aggiungiamo la fine di tutte le "educazioni a..." e del monopolio statale che blocca una vera autonomia.
Tra le mille emergenze che questo nuovo governo “di cambiamento” –il governo della “strana coppia”- dovrà affrontare e, ci auguriamo, risolvere, ce n’è una che emerge più delle altre. Relativamente pochi se ne rendono conto, perché nella mentalità comune odierna le urgenze sembrano essere tutt’altro, ma si tratta di una questione davvero grave. Parliamo di scuola, o per essere più precisi, di educazione.
L’editoriale di Ernesto Galli della Loggia, pubblicato ieri sul Corriere della Sera, ne dà la misura esatta. È una lettera indirizzata con toni accorati al nuovo ministro Bussetti; una lettera che i più, soprattutto tra i progressisti e gli irriducibili novatori (quelli che parlano ogni due per tre di una scuola digitale 4.0 e “libera” da ogni dogma del passato) reputeranno retrograda, improntata ad un tradizionalismo becero che mal si concilia con “le magnifiche sorti e progressive” (internet, realtà virtuale, plurilinguismo, etc…) cui vogliamo che aspirino le nuove generazioni.
Eppure, le dieci semplici proposte che Galli della Loggia propone di adottare, “perché esse darebbero subito l’idea che qualcosa sta veramente per cambiare nella scuola italiana”, o quantomeno l’idea della “direzione verso cui la scuola italiana deve andare”, sono a mio parere assolutamente condivisibili.
Ne citiamo alcune:
reintroduzione in ogni aula scolastica della predella, in modo che la cattedra dove siede l’insegnante sia di poche decine di centimetri sopra il livello al quale siedono gli alunni;
reintroduzione dell’obbligo per ogni classe di ogni ordine e grado di alzarsi in piedi in segno di rispetto (e di buona educazione) all’ingresso nell’aula del docente;
divieto deciso nei confronti di tutte le «occupazioni» più o meno simboliche e delle relative autogestioni che ormai si celebrano da decenni come un tempo la «festa degli alberi»;
divieto assoluto agli studenti (pena il sequestro) di portare non solo in classe ma pure all’interno della scuola lo smartphone; e altre ancora, per le quali rimandiamo, per chi lo volesse, alla lettura integrale dell’articolo.
Appare evidente che si tratta di un ritorno al passato, a un pre-sessantotto, a quel tempo in cui la scuola era considerata ancora istituzione autorevole (talvolta quasi autoritaria) e gli insegnanti godevano di un certo prestigio sociale. Una scuola in cui, a giudicare dalle conoscenze acquisite e ancora vive nella memoria delle passate generazioni, si studiava davvero e si imparava davvero.
È realistico pensare di fare una inversione a U di tal fatta? Non lo so, ma a mio parere dobbiamo assolutamente provarci, perché la situazione della scuola sta sfuggendo di mano (disinteresse, assenteismo, bullismo, violenza verso i docenti, conflittualità generalizzata, etc…) e, se non ci si muove rapidamente, le conseguenze saranno danni incalcolabili per diverse generazioni.
Mi permetto, però, di suggerire altri due-tre questioni, tra cui si trovano anche le condizioni di fondo senza delle quali gli altri punti, oggi, sarebbero irrealizzabili.
Il primo punto è la ripulitura da tutte quelle pseudo-educazioni che non hanno nulla a che fare con la mission della scuola ma che l’hanno abbondantemente deteriorata negli ultimi decenni: educazione alla salute; educazione alla legalità; educazione sessuale; educazione all’ambiente; educazione finanziaria; educazione alla parità di genere (paravento per l’introduzione di quella devastante e ripugnante ideologia gender che rischia di rovinare intere generazioni di bambini e adolescenti), e chi più ne ha più ne metta.
La scuola deve tornare al suo compito “semplice” e originario: far crescere la persona attraverso lo studio delle discipline scolastiche, che sono il patrimonio di conoscenza e di scoperta della realtà che le passate generazioni ci hanno trasmesso. Se si fa davvero bene questo, se la persona cresce e si sviluppa integralmente –nella collaborazione con le altre agenzie educative, tra cui in primis la famiglia- tutto il resto verrà da sé. Basterebbe, per esempio, uno studio serio, approfondito e ben guidato della Divina Commedia per imparare cosa vuol dire il rispetto della persona, la cura della propria e altrui sessualità, la gestione dei beni terreni, l’attenzione al proprio e all’altrui destino…
Ci sono, inoltre, un paio di punti preliminari. Se è vero che la scuola ha bisogno di tornare “al passato”, come propone Galli della Loggia, è anche vero che tutto questo non potrà realizzarsi se non si attuano quelle condizioni previe per cui gli insegnanti possano riappropriarsi del gusto e dell’autorevolezza che permette di essere testimoni credibili di fronte ai giovani, e alle famiglie di collaborare davvero con la scuola, non da controparte come accade oggi (fino allo scontro fisico…), ma come vero partner educativo.
Autonomia e parità: ecco cosa serve oggi, a monte delle proposte di Galli della Loggia. Non so perché se ne sia dimenticato, forse non fanno parte del suo patrimonio culturale, ma voglio dirgli che senza questo passo avanti non si potrà nemmeno tornare indietro.
Non lo si potrà fare perché la scuola continuerà ad essere territorio indifeso per le scorribande sindacali e per la burocrazia, che hanno demotivato gli insegnanti sino allo sfinimento, quando non li hanno trasformati in asettici e solerti funzionari dell’amministrazione periferica dello Stato, intoccabili qualsiasi cosa facciano (o non facciano…).
Non lo si potrà fare perché senza una vera libertà di scelta educativa, le famiglie continueranno a essere costrette a mandare i figli in scuole che non hanno scelto, senza condividerne idealità e metodi educativi, dovendo sottostare ai diktat di un ministero che organizza e gestisce dall’alto l’educazione delle giovani generazioni, cambiando rotta, tra l’altro, ad ogni cambio di governo (cosa che nel nostro paese accade frequentemente….). Oppure costrette a pagare due volte (con le tasse e con la retta) per la frequenza di scuole paritarie con le quali possono davvero condividere il cammino educativo dei propri figli.
Condividiamo allora, in conclusione, l’invito al Ministro Bussetti espresso nell’editoriale del Corriere:
“Gentile signor ministro, lei si trova oggi alla testa di un dicastero importante nel quadro di un governo che ama definirsi del «cambiamento»…..E allora coraggio, cambi! Cambi subito almeno qualche piccola cosa: che poi, dia retta, piccola non sarebbe proprio per nulla”. Soprattutto, se, aggiungiamo noi, si tratta di autonomia e parità. Buona fortuna, signor Ministro.