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L'ANGELUS

Sconfiggere il diavolo con la "furbizia" del Vangelo

I Magi seppero evitare l'inganno di Erode (intenzionato a uccidere Gesù), portando i doni a Betlemme e tornando per un'altra strada, senza passare vicino all'oscuro palazzo reale.

Ecclesia 07_01_2014
Papa Francesco

Nell’Angelus della festa dell’Epifania Papa Francesco ha affermato che quello dei Magi è un «episodio che il Papa Benedetto ha commentato magnificamente nel suo libro sull’infanzia di Gesù», dove si afferma che, insieme al significato spirituale, ha un reale carattere storico che non dev’essere negato riducendolo a puro simbolo. Nell’omelia della Messa, il Papa è partito da un verso di un antico inno liturgico dell’Epifania: «Lumen requirunt lumine», seguendo una luce i Magi cercano «la» Luce, la Luce del mondo, Gesù. «La stella apparsa in cielo accende nella loro mente e nel loro cuore una luce che li muove alla ricerca della grande Luce di Cristo».

Il percorso dei Magi è quello di ogni uomo: «la nostra vita è un camminare, illuminati dalle luci che rischiarano la strada, per trovare la pienezza della verità e dell’amore, che noi cristiani riconosciamo in Gesù, Luce del mondo». Anche noi come i Magi abbiamo a disposizione «due grandi “libri” da cui trarre i segni per orientarsi nel pellegrinaggio: il libro della creazione e il libro delle Sacre Scritture». Tutto sta a prestare loro attenzione, senza pregiudizi.

Nel giorno dell’Epifania la liturgia della Chiesa ci fa ascoltare l’appello di Dio alla città di Gerusalemme per bocca del profeta Isaia: «Alzati, rivestiti di luce!» (Is 60,1). «Gerusalemme è chiamata ad essere la città della luce, che riflette sul mondo la luce di Dio e aiuta gli uomini a camminare nelle sue vie». E ancora oggi «questa è la vocazione e la missione del Popolo di Dio nel mondo».

Ma a questa missione si può anche essere infedeli, «Gerusalemme può venire meno a questa chiamata del Signore». Per questo la Scrittura ci dice che i Magi, arrivati a Gerusalemme, non riuscivano più a vedere la stella. Vedevano invece il tetro palazzo del re Erode: «quella dimora è tenebrosa, vi regnano il buio, la diffidenza, la paura, l’invidia». Erode teme che il Messia metta in pericolo il suo regno. Non si rende conto che lui, Erode, è solo un «misero fantoccio», e che il regno che il Bambino viene a distruggere è quello del «Principe di questo mondo», il demonio. Tuttavia, «il re e i suoi consiglieri sentono scricchiolare le impalcature del loro potere, temono che vengano capovolte le regole del gioco, smascherate le apparenze. Tutto un mondo edificato sul dominio, sul successo sull’avere, sulla corruzione è messo in crisi da un Bambino! Ed Erode arriva fino a uccidere i bambini». Il Pontefice cita san Quodvultdeus (395?-454), discepolo di sant’Agostino (354-430) e vescovo di Cartagine, che morì in esilio a Napoli, il quale così si rivolge a Erode: «Tu uccidi i bambini nella carne perché la paura ti uccide nel cuore». «È così – commenta il Papa –: aveva paura, e per questa paura è impazzito».

Ma i Magi «seppero superare quel pericoloso momento di oscurità presso Erode», «sfuggirono al torpore della notte del mondo, ripresero la strada verso Betlemme e là videro nuovamente la stella», che prima «non si vedeva nel buio della mondanità di quel palazzo».

La stella li guidò pure a una «santa “furbizia”. È una virtù anche questa, la santa “furbizia”», quando ci troviamo di fronte al demonio e ai suoi satelliti. «Si tratta di quella scaltrezza spirituale che ci consente di riconoscere i pericoli ed evitarli. I Magi seppero usare questa luce di “furbizia” quando, sulla via del ritorno, decisero di non passare dal palazzo tenebroso di Erode, ma di percorrere un’altra strada». L’episodio c’insegna «come non cadere nelle insidie delle tenebre e come difenderci dall’oscurità che cerca di avvolgere la nostra vita».

La «santa “furbizia”» è molto utile, quando si ha a che fare con il diavolo. Con questa virtù i Magi «hanno custodito la fede. E anche noi dobbiamo custodire la fede. Custodirla da quel buio. Ma, anche, tante volte, un buio travestito di luce! Perché il demonio, dice san Paolo, si veste da angelo di luce». Con un riferimento mitologico, il Papa ha paragonato l’azione del diavolo ai «canti delle Sirene, che ti dicono: “Guarda, oggi dobbiamo fare questo, quello...”». Il «fascino delle Sirene» oggi si esprime nella mondanità spirituale – un tema ricorrente della predicazione di Francesco, e un’espressione che indica il fare il bene per motivi puramente umani e non per il Signore –, e nelle «tante modernità che oggi ci sono» e che allontanano da Dio. Per resistere alle Sirene, dobbiamo «coltivare quella furbizia spirituale che sa coniugare semplicità ed astuzia, come chiede Gesù ai discepoli: “Siate prudenti come i serpenti e semplici come le colombe” (Mt 10,16)».

Rischiamo di cedere alle seduzioni delle Sirene, della mondanità spirituale e del diavolo quando ci accontentiamo «di una vita mediocre, del “piccolo cabotaggio”» delle piccole luci di questo mondo anziché seguire la stella e cercare la Luce che è Cristo. Dio, in verità – ha detto ancora il Papa all’Angelus – ci cerca sempre per primo. L’Antico Testamento usa l’immagine secondo cui «Dio è come il fiore del mandorlo. Perché? Perché in quella terra il mandorlo è il primo che fiorisce. E Dio sempre precede, sempre per primo ci cerca, Lui fa il primo passo. Dio ci precede sempre. La sua grazia ci precede e questa grazia è apparsa in Gesù. Lui è l’epifania. Lui, Gesù Cristo, è la manifestazione dell’amore di Dio».

La Chiesa «sta tutta» nel duplice movimento di Dio che va incontro agli uomini e degli uomini che si lasciano attrarre da Dio. «La Chiesa è il popolo di coloro, che hanno sperimentato questa attrazione e la portano dentro, nel cuore nella vita». Ai lontani, ai timorosi, agli indifferenti il Papa lancia il suo appello: «Il Signore ti chiama. Il Signore ti cerca. Il Signore ti aspetta. Il Signore non fa proselitismo, dà amore, e questo amore ti cerca, ti aspetta, te che in questo momento non credi o sei lontano. E questo è l’amore di Dio».