Sciocchezze, bugie e tossiche cortine di fumo di quelli che vogliono liberalizzare la cannabis
Servirà a combattere le mafie e i loro affari criminali; sarà la volta buona per far entrare nella casse dello Stato più denaro a vantaggio di tutti, non risulterà più dannosa per la salute di quanto lo siano tabacco e alcol. La liberalizzazione delle cannabis (una legge in proposito è in discussione alla Camera) è giustificata dagli antiproibizioni con i più diversi e curiosi argomenti. Falsi e infondati: ecco perché.
Con l’apertura della discussione a Montecitorio sulla proposta di legge in merito alla liberalizzazione della cannabis - ma il voto sul testo è slittato a settembre – si sono riaperte in parallelo le discussioni sulla bontà o meno di legalizzare l’uso e il commercio di questa sostanza psicotropa. Le tesi, che appaiono più slogan a dire la verità, di chi è favorevole alla legalizzazione della cannabis sono le stesse di sempre, quelle di pannelliana memoria per intenderci. Tentiamo di mettere in luce debolezze e ipocrisie di quelle più comuni.
La prima: «se legalizziamo la marijuana, togliamo mercato alle mafie». Qualche giorno fa Alfredo Mantovano ha già risposto in modo esauriente a questa obiezione (clicca qui), risposta che ha trovato eco nel parere autorevole del professor Gilberto Gerra intervistato dalla Nuova Bussola (clicca qui). Noi aggiungiamo solo qualche altra riflessione. In primis c’è da rilevare che il mercato criminale non solo sussisterà, sovrapponendosi a quello legale, ma aumenterà perché esso potrà solo trarre linfa vitale dal commercio legalizzato dato che quest’ultimo fornirà nuovi clienti al primo, offrendo merce assai più conveniente sotto il profilo della concorrenza: prezzi minori senza accise, marijuana potenziata, spaccio ai minori e a coloro i quali per vari motivi non vogliono far sapere che fumano spinelli, etc.
Senza poi contare che lo spinello è la porta di ingresso a droghe ancor più micidiali. Essendo queste ultime fonte di ricavi per la criminalità, liberalizzare la cannabis porterebbe dunque ad arricchire i malviventi. Questo è anche il pensiero di Paolo Borsellino che definiva «dilettanti di criminologia» coloro i quali erano favorevoli alla liberalizzazione delle sostanze stupefacenti perché in tal modo si sarebbero strappate «gli artigli alla mafia»: qui il video di 6 minuti che vale la pena di vedere (clicca qui).
Pensiamo anche ai mercati in regime di legalità o ai servizi legali: vendita di tabacchi e gestione delle discariche. Anche in questi due settori, seppur legali, abbiamo il contrabbando di sigarette e la gestione delle discariche da parte della criminalità organizzata. Ciò significa che legalizzazione non equivale sempre a dire annientamento dei traffici illegali. Infatti, laddove ci sono soldi c'è la criminalità. Legalizzando la cannabis il volume di affari legali aumenterà e i mafiosi potranno solo esserne contenti.
Altra tesi a supporto dell’antiproibizionismo: «se liberalizziamo la cannabis diminuiranno i consumatori». Falso. Ad esempio in Olanda dopo la legalizzazione della vendita di marijuana il consumo tra i 18-20enni dal 1984 al 1996 è passato dal 15% al 44% (W. M. de Zwart, H. Stam, S. B. M. Kuipers, Kerngegevens: Roken, Drinken, Drugsgebruik en Gokken Onder Scholieren vanaf 10 Jaar - Trimbos-instituut, Utrecht, Netherlands, 1997). É di palmare evidenza che se una condotta giuridicamente illecita viene poi depenalizzata, il numero di persone che assumeranno questa condotta aumenterà. Se lo Stato legalizza, promuove. Se proibisce, inibisce. Ovvio: nessun divieto al mondo potrà mai debellare totalmente un male, ma di certo servirà come strumento di deterrenza.
Dietro la proposta di legalizzare la cannabis si nasconde la stessa logica che ha portato alla depenalizzazione dell'aborto e alla regolamentazione della fecondazione artificiale: legalizziamo il fenomeno clandestino, fissiamo dei paletti per le condotte assai diffuse nel tessuto sociale. Ma lo Stato non si deve domandare: «questa pratica è diffusa? È clandestina? Allora legalizziamola». Altrimenti dovremmo legalizzare anche furti ed omicidi dato che sono condotte sia diffuse sia clandestine. É nella natura stessa del crimine non avvenire alla luce del sole, altrimenti finisci dietro le sbarre. E, rimanendo in argomento, perché non legalizzare a questo punto anche l’eroina e la cocaina, dato che il loro consumo è capillare, clandestino e lucrativo per la criminalità? Si obietterà: ma la cannabis fa meno male di cocaina e eroina. Ma lo Stato deve concorrere al bene della persona oppure decidere quale è la soglia minima di autodistruzione permessa al cittadino?
L’ordinamento giuridico deve invece domandarsi: «Questa pratica favorisce il bene comune? Rendiamola legittima allora, discipliniamola per tutelarla e quindi per favorirla a livello sociale (è il caso del matrimonio). Questa condotta lede il bene comune? Vietiamola (al più tolleriamola), ma mai rendiamola legittima». La legalizzazione non è la soluzione, bensì rappresenta la resa dello Stato di fronte agli illeciti dilaganti. La soluzione quindi non è legalizzare l'illecito, ma combattere l'illecito, altrimenti lo stesso Stato diventerà mafioso. Appropriarsi da parte dello Stato del mercato criminale non può essere motivo di soddisfazione per nessuno, perché è come se lo Stato si mettesse a fare il pizzo ai commercianti perché in tal modo sottraiamo il mercato del pizzo ai camorristi e ai mafiosi. Legalizzare la droghe sarebbe un crimine di Stato.
In breve, il buon governante non può esimersi da un giudizio di carattere etico: tale condotta fa il bene della persona, della società, oppure no? Lasciare la risposta solo al privato cittadino porterebbe a legalizzare non solo cannabis, eroina e cocaina, ma anche arsenico e stricnina. Infatti, se il privato vuole farsi del male perché impedirglielo? Perché la sua vita e la sua salute sono un bene non solo per lui, ma anche per tutta la collettività.
Questa risposta ci traghetta ad un’altra pseudo argomentazione a favore della liberalizzazione dello spinello di recente espressa anche dal sottosegretario agli Esteri Benedetto Della Vedova a favore delle telecamere del Tg1: anche l’alcol e il fumo fanno male, ma il loro uso e commercio è legale. Partiamo dall’alcol: di per sè un bicchiere di vino non fa male, così anche per i superalcolici, ovviamente in quantità assai ridotte. Per questo tipo di bevande bisogna distinguere tra uso e abuso. Solo il secondo può ledere la salute del consumatore. La cannabis fa sempre male, non si può spendere per lei la distinzione tra uso e abuso.
In merito al fumo: come per lo spinello anche una sola sigaretta fa male (ma gli effetti della cannabis sull’organismo sono più devastanti). Lo Stato attento al bene comune dovrebbe far sì che questo vizio sparisca. Altrimenti perché tanti controlli ad esempio sugli alimenti per tutelare la salute del consumatore? O l’obbligo delle cinture di sicurezza, di un certo abbigliamento nei cantieri, dei trattamenti sanitari obbligatori anche su persone capaci di intendere e volere? La salute è un bene da tutelare, a volte anche in modo coattivo. Il fumo però non solo è vietato, ma è pure legale. Qui non si può non rilevare una contraddizione in termini all’interno del nostro ordinamento giuridico, spiegabile in modo agevole dal fatto che sui tabacchi lo Stato ci lucra.
Torniamo però alla condotta del buon governante che vuole combattere questo vizio. Dato che il fenomeno è da tempo legalizzato e quindi molto diffuso, e la coscienza collettiva lo considera un male accettabile, sarebbe controproducente vietarlo e quindi sanzionarlo. Meglio usare altri strumenti per arrivare alla meta: opera di dissuasione tramite restrizioni del fumo in luoghi pubblici, informazione, campagne mass mediatiche, etc. Affermare poi che «dal momento che le sigarette sono legali, legalizziamo anche la cannabis», non ha senso perché ad un male se ne sommerebbe un altro, ad un rischio un altro rischio. Un danno già esistente e diffuso non legittima un secondo e futuro danno, bensì dovrebbe spronare a vietarne di nuovi.
Oltre a questo c’è da appuntare che la cannabis porta con sé un disvalore e pericolo sociale maggiore rispetto al tabacco. Riguardo al disvalore sociale, lo spinello provoca alienazione dal reale, fuga dalla realtà, evasione irresponsabile. É lo scopo “ricreativo” di cui parla la proposta di legge. Un modo edulcorato per dire “voglia di sospensione di responsabilità”. Inoltre la cannabis non poche volte è sintomo di disagio esistenziale. In merito invece al pericolo sociale, oltre agli effetti sul sistema nervoso che possono appannare la reattività di chi guida o è sul posto di lavoro, è noto che la marijuana è la porta di ingresso a droghe dagli effetti più devastanti. Legalizzarla porterebbe a percepire l’uso di questa droga come lecita e quindi buona, spronando i giovani e giovanissimi a sperimentare droghe ancor più micidiali.
Infine, un’altra argomentazione degli antiproibizionisti che fa leva sul portafoglio: la tassazione sulla cannabis porterà più soldi alle casse dello Stato, più risorse a tutti noi. Ma questo afflusso di denaro sarà una goccia nel mare di soldi che lo Stato - cioè per l’appunto noi tutti – dovrà invece sborsare per far fronte ai danni provocati dalla marijuana. Tra i costi possibili ricordiamo: assistenza dei servizi per le tossicodipendenze (sportelli di informazione e prevenzione e attività di reinserimento), assistenza residenziale in comunità terapeutiche, assistenza per patologie correlate, ospedalizzazione, interventi territoriali urgenti (ambulanza e pronto soccorso), pensione di invalidità e contributi sociali, costi della giustizia connessi a crimini in cui è implicato l’uso della cannabis, di eroina e cocaina che sono figlie della prima (indagini, processi, carceri, etc.).
Senza tener conto di altri costi sociali: aumento della mortalità su strada e sul luogo di lavoro, costi per le famiglie che dovranno accudire i propri cari, diminuzione o perdita delle capacità produttive, abbandono scolastico, etc. Far finta di tutto questo è come nascondersi dietro una foglia di marijuana.