Sciacallaggio e silenzi: la politica mostra il lato peggiore
Lo sciacallaggio politico è in azione sul caso Genova. Sull'onda dei sentimenti si rischia di allontanare il vero problema: l'Italia è costruita su infrastrutture degli anni '60 e queste ora presentano il conto. Il problema non è il Privato o il Pubblico, ma che ci sia una gestione buona e che a guadagnarci sia lo Stato, non il contrario. E' suo compito controllare il privato. Se non lo fa, è complice del disastro. L'imbarazzante inconcludenza a Cinque Stelle, il premier giustiziere, i sospetti trafficoni sul Pd e il vicepremier in baldoria. Che brutto spettacolo offre la politica in questi giorni.
E’ sconcertante che ad oggi, mentre la Procura di Genova non ha ancora formalizzato nessun indagato iscritto nel registro, la politica abbia già fatto i suoi processi. Con tanto di appelli e contrappelli. Nel momento della tragedia e del pianto, ci sono ancora tra i 10 e i 20 dispersi da recuperare e da svolgere i funerali di tutti e 38 i morti schiacciati sotto il viadotto Morandi, la politica si è chiusa a riccio nella difesa corporativa della sua funzione. Che dovrebbe essere se non altro quella di controllore del gestore concessionario la rete autostradale.
Chissà se un giorno si scoprirà, come è molto probabile, che lo Stato non ha fatto il suo dovere nel controllare i piani di manutenzione di Autostrade per l’Italia. Ne verrebbe fuori uno spaccato miserevole per uno Stato che in queste ore, attraverso i suoi eletti, sta dando prova di sciacallaggio sguaiato. Certo, i Benetton non stanno simpatici, soprattutto per le campagne pubblicitarie che hanno lentamente contribuito a cambiare il sentire di un Paese, ma questo, piaccia o no, non c’entra nulla con il crollo di un ponte per il quale devono essere individuati responsabili ben precisi.
Invece si è giocato alla solita politica dello scaricabarile. A cominciare dal premier Giuseppe Conte, il quale vorrebbe un colpevole subito “perché la giustizia ha tempi troppo lunghi”. Detta dal Presidente del Consiglio in carica, autoproclamatosi avvocato degli italiani, non è confortante, ma è piuttosto inquietante. Col proseguire con la navigazione a piccolo cabotaggio del Ministro del Lavoro e vicepremier Luigino Di Maio. Il quale non ha fatto altro che accusare il Pd di aver fatto campagna elettorale con i soldi dei Benetton. Nel 2015 una norma inserita di notte nel decreto sblocca Italia fece sì che la concessione ad Autostrade per l’Italia venisse rinnovata senza gara d’appalto. Il ponte sarebbe crollato probabilmente anche se non ci fosse stata questa norma. Ma è sintomatico che in questi momenti l’esponente grillino non riesca a fare nient’altro che gettare la croce addosso al Pd.
Il quale Pd, per la verità, non si sta certo impegnando a mantenere elevato il livello di decoro istituzionale. Matteo Renzi, ha replicato a Di Maio dandogli dello sciacallo e potrebbe anche avere ragione. Ma per essere più credibile, potrebbe almeno spiegare come è andata la storia della concessione rinnovata così automaticamente. Il tutto lascia ipotizzare che ci siano degli interessi dietro e forse anche delle combine. Ma l'autorinnovo della concessione funzionava così da anni. E da governi.
Chi invece non ha replicato agli attacchi, infilandosi in un curioso cul de sac, è l’ex ministro delle Infrastrutture Graziano Delrio. Era rivolta a lui l’interrogazione che il senatore Maurizio Rossi fece nel 2016 proprio sullo stato di conservazione del viadotto Morandi. “I giunti cedono, il ponte è a rischio”. La cosa scandalosa non è che a un ministro vengano fatte domande, ma che ad oggi non conosciamo la risposta di Delrio. Il quale, almeno prima di tutti noi, sapeva, o doveva sapere che sul ponte gravavano pesanti dubbi. Che cosa rispose Delrio? Questo l’ex ministro non lo ha detto e tutto questo alimenta i sospetti, per lo meno di incapacità.
In generale da questa storia escono malissimo anche i Cinque Stelle come forza rinnovatrice del Paese. La velocità con la quale si sono affrettati a eliminare dal sito internet il loro no al progetto Gronda, il raccordo che dovrà cambiare la viabilità di Genova, mandando in pensione finalmente il viadotto della morte, è apparsa una excusatio non petita irresponsabile.
Come irresponsabile è anche il comportamento del ministro degli Interni Matteo Salvini, che nel momento in cui di notte si continuava a scavare alla ricerca di qualche sopravvissuto, era a Messina ad un evento di partito a mangiare impepata di cozze o qualche altra prelibatezza isolana simile. Per uno che ha impostato anche con merito, la sua immagine politica, proprio sull’immagine social, è uno scivolone non da poco, che denota per lo meno una mancanza di rispetto nel giorno del dolore. Il politico, diceva, Aldo Moro, deve essere irreprensibile anche in spiaggia. Un’occasione persa per lui.
Resta sul fondo la partita che sarà lunga e drammatica del ritiro della concessione ad Atlantia. Una decisione però annunciata sentimentalmente dal governo, sull’onda dell’emotività perché sarebbe controproducente per lo stesso Stato, che dovrebbe rimborsare dei mancati introiti il gestore fino al 2040 di una cifra monstre e si vedrebbe dover ricominciare da capo tanto nel progetto Gronda quanto nella ricostruzione del ponte.
Rivedere la concessione ad Autostrade per L’Italia è sacrosanto. Ma è segno di maturità e saggezza il rivederla affinché sia lo Stato a guadagnarci e non gli azionisti della compagine societaria. Tenuto conto che, ma qui è il Pd che dovrebbe spiegare qualche cosa invece di fare la verginella, nonostante Delrio avesse desecretato in gennaio tutti i contratti che il Ministero dei Trasporti ha con i concessionari autostradali, permangono ad oggi tutti gli omissis proprio sulla natura dei compensi e dei trattamenti economici. E tutto questo segreto di Stato fa sorgere sospetti di pastrocchi e combine. E perché no, il rischio di tangenti, parola che non si sente più pronunciare da tempo immemore perché sembra ormai appartenente ad un lontano passato. In ogni caso tutto questo denota una falsa trasparenza in capo all’ultimo governo Dem e una incapacità di capacitarsi della realtà dell'attuale che non sa nemmeno dove mettere le mani per capirci qualcosa, per stessa ammissione del ministro dei Trasporti Toninelli..
Benetton avrà le sue colpe? In un Paese normale dovrebbe essere la magistratura ad accertarlo e a farlo in tempi certi e celeri.
Invece, il vero problema è completamente taciuto. Abbiamo infrastrutture ereditate dagli anni ’60 perché poi il Paese si è fermato. E queste oggi presentano il conto. Ecco il cuore dello scandalo: il problema non è l’annosa querelle sul pubblico o sul privato, ma se una cosa è gestita bene o male. Se è gestita male da un privato significa che il Pubblico o non ha controllato o ha interessi di bottega. Anche perché il Pubblico in questi anni non ci ha mai dato prova di grande lungimiranza.
La E45 Cesena-Terni è un groviera tutto l’anno, e per finire la Salerno Reggio Calabria, oggi ribattezzata AutoMediterranea ci abbiamo messo 50 anni e parecchie cosche alle calcagna. Insomma: lo Stato non è proprio nelle condizioni di poter fare la morale. Piuttosto dovrebbe fare, con i suoi rappresentanti, una sola cosa: fare di tutto perché la magistratura possa arrivare a capire con certezza che cosa è successo e iniziare a pretendere dai privati un rigore che per primo, lo Stato, non sembra aver chiesto.