Schettino, la rimozione di 32 vittime
Anche quando un uomo, in coscienza, sa che non gli si può muovere alcuna critica per il proprio operato, ma nonostante ciò ha comunque provocato, con le sue innocentissime azioni, una strage, ecco che la sua coscienza gli suggerisce, anzi gli impone e lo sprona a chinare la testa.
Sono iniziate ieri (16 settembre) le operazioni di rimozione del relitto della nave Costa Concordia presso l’isola del Giglio. Come di rimbalzo le vicende giudiziarie del comandante Francesco Schettino hanno di nuovo catturato l’attenzione dei media, anche perché il prossimo 23 settembre riprenderà il processo per il naufragio della nave.
Non spetta di certo a noi dire se Schettino sia colpevole o innocente, però nella tragica vicenda della Concordia vengono in luce alcune condotte del comandante – successive al disastro - che lasciano quantomeno perplessi. Va da sé che è prevedibile che qualsiasi imputato sulla terra il quale si ritenga innocente fa carte false per scampare al carcere, così come sta facendo Schettino.
Ma ciò che sorprende è la quasi dimenticanza di quelle 32 persone che non faranno più ritorno a casa. Schettino nel luglio del 2012 in un memoriale consegnato ai suoi legali esprimeva il suo dolore per le vittime: «Il mio cordoglio va alle famiglie colpite negli affetti più forti. Il loro dolore è anche il mio e mi sento di ribadirlo con forza, con sincera e affranta partecipazione». Siamo più che certi che queste parole siano sincere e non dettate né da strategia difensiva né scritte pro forma, in ossequio cioè ad una funerea etichetta. Però l’aspetto che lascia un poco turbati è il seguente: dopo questo threnos greco, ossia dopo questo lamento funebre, l’atteggiamento di Schettino pare quasi suggerire una voluta rimozione dalla scena di quelle 32 vittime, personaggi che hanno fatto la loro giusta comparsa all’inizio di questa triste storia, ma che ora non ha più senso trattenere sul proscenio. Rimosso il relitto, rimuoviamo anche i relitti della memoria dunque.
Ci pare quindi che, versato il doveroso tributo al cordoglio, Schettino si sia lanciato in una corsa per la sua salvezza processuale che ricorda così tanto quella precedente fuga dalla sua nave avvenuta nella notte del 13 gennaio. Certo, lui si dichiara innocente ed è così convinto della sua completa innocenza che ormai è rimasto l’unico imputato nel processo, perché gli altri hanno patteggiato la pena e ne sono usciti. Insomma lui non ha nulla da patteggiare perché nulla di sbagliato ha compiuto.
Però c’è da rilevare che anche quando un uomo, in coscienza, sa che non gli si può muovere alcuna critica per il proprio operato, perché esente da ogni macchia, ma nonostante ciò ha comunque provocato, con le sue innocentissime azioni, una strage, ecco che la sua coscienza gli suggerisce, anzi gli impone e lo sprona a chinare la testa. Anche il più immacolato degli imputati sarebbe schiacciato dal peso di una simile tragedia e la propria condotta processuale e pubblica sarebbe orientata perlomeno ad un umbratile e pensoso pudore, segno che nell’imputato mai si è spento il ricordo sofferto e tormentato per le vittime.
Lo ribadiamo: non stiamo qui a sindacare sulla sua colpevolezza –anche se l’aria che tira nelle aule giudiziarie che hanno visto svolgersi parte del processo a carico di Schettino fa prevedere che questi qualcosa dovrà pur pagare – ma quello che ci allarma è la perdita del senso di solidarietà, un sentimento che sopravvive al di là delle proprie responsabilità giuridiche e morali e che nasce, in questo caso, per il solo fatto che per 32 persone le acque del Giglio sono diventate la loro tomba. In breve ci pare – ma forse ci possiamo sbagliare – che il “si salvi chi può” incarnato nell’abbandono della nave da parte del comandante in quella notte di gennaio, sia ripetuto da Schettino ancor oggi, allorché questi è tutto e solo proteso alla propria incolumità giuridica, immemore – come allora – di quegli specialissimi suoi 32 passeggeri.