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EGITTO

Scende in campo Al-Sisi, il nuovo Nasser

Per la prima volta nella storia dell'Egitto si è dimesso il capo delle Forze Armate per candidarsi alle presidenziali. E gode di un vasto consenso, compresi il Papa copto e lo sceicco di Al-Azhar. E i Fratelli musulmani gli dichiarano guerra.

Esteri 28_03_2014
Il generale al-Sisi

Per la prima volta nella storia dell’Egitto lo scorso 26 marzo si è assistito alle dimissioni del capo del Consiglio Supremo delle Forze Armate nella persona del generale ‘Abd al-Fattah al-Sisi, che ricopriva altresì la carica di Ministro della Difesa. Dimissioni attese così come il successivo annuncio della sua candidatura a prossimo presidente della Repubblica Araba d’Egitto. Il discorso, trasmesso dalla televisione nazionale, è quello di un presidente in pectore, dell’uomo forte che, dal 3 luglio 2013, si è più volte rivolto al popolo egiziano, schierandosi al suo fianco nel lungo cammino verso la tanto agognata svolta che dovrebbe in ultima istanza condurre l’Egitto e gli egiziani a un futuro migliore. 

Il 3 luglio 2013, alla presenza dello shaykh di al-Azhar, di Papa Tawadros e di alcuni rappresentanti dell’opposizione al presidente islamista Mohammed Morsi, dichiarò, parlando in nome delle Forze Armate del paese: “Le Forze Armate egiziane sono state chiamate dal popolo egiziano ad aiutarlo […] Le Forze Armate egiziane in quanto istituzione patriottica hanno il compito di contenere la divisione e affrontare le sfide e i pericoli per potere uscire dalla presente crisi. Mentre monitorava la crisi, il comando delle Forze Armate si è incontrato con il Presidente lo scorso 2 giugno illustrandogli la propria opinione circa le condizioni della nazione e perorando la causa delle masse e del popolo egiziano. Le speranze si concentravano tutte sulla conciliazione nazionale. Purtroppo, il discorso di ieri del presidente e prima dello scadere dell’ultimatum di 48 ore non hanno esaudito le richieste del popolo. […] Le Forze Armate si opporranno con forza e fermezza a qualsiasi atto che devi dalla pace, in conformità alla sua responsabilità storica e patriottica”.

Da quel momento Al-Sisi, che non va dimenticato nell’agosto 2012 era stato nominato, in quanto musulmano praticante, dallo stesso Morsi sia a capo dell’esercito sia ministro della Difesa, si afferma come l’uomo destinato a riportare la giustizia e a raddrizzare le sorti di una rivoluzione “abortita”.  Pochi giorni dopo, il 24 luglio 2013, in un discorso tenuto innanzi a cadetti dell’Accademia Navale e di quella Aeronautica, compiva un ennesimo passo in avanti. Rispose alle accuse di chi lo definiva traditore nei confronti del presidente deposto, sottolineando che “l’esercito appartiene a tutti gli egiziani e chi lo comanda lo fa in base alla legittimità conferitagli dal popolo”, quindi il suo operato corrispondeva esattamente ai trenta milioni che avevano sottoscritto la petizione redatta dal movimento Tamarrod contro Morsi.

Ebbene, nel recente discorso in cui annuncia dimissioni e corsa per la presidenza, al-Sisi ritorna sia sui concetti a lui più cari, il popolo egiziano e l’Egitto, sia su questioni non solo relative alla sicurezza del paese, ma anche agli annosi problemi economico e sociale: “[…] Dobbiamo essere onesti con noi stessi. La nostra nazione sta affrontando sfide di enormi proporzioni, mentre la nostra economia resta debole. Milioni di nostri giovani sono disoccupati e questo è inaccettabile. Milioni di egiziani sono ammalati e non trovano cure e anche questo è inaccettabile. L’Egitto è un paese ricco di risorse materiali e umane, ma si regge su sussidi e aiuti economici. Anche questo è inaccettabile. Gli egiziani meritano di vivere in dignità, sicurezza e libertà. Meritano di godere del diritto lavoro, cibo, educazione, cure mediche e di potersi permettere una dimora. […] La nostra missione consiste nel riprendere in mano e ricostruire l’Egitto.” 

E’ evidente che al-Sisi, nella prima parte del discorso, abbia fatto leva sull’orgoglio, sempre molto sensibile, del popolo egiziano, ma soprattutto ha implicitamente ammesso il fallimento dei governi che lo hanno preceduto, compreso quello di Mubarak. Ha individuato le voragini che, da sempre, sono state colmate, per lo meno in parte, dai Fratelli musulmani garantendone il radicamento sul terreno e l’affermazione a livello elettorale alla prima tornata post-rivoluzionaria. Nella seconda parte attacca ogni intrusione esterna, con implicito riferimento a Stati Uniti e Unione Europea: “Ciò cui ha assistito l’Egitto negli ultimi anni sia a livello politico che a livello mediatico, a livello interno e a livello esterno, ha fatto sì che questo paese sia stato calpestato. E’ giunta l’ora di fermare la mancanza di rispetto e l’intrusione. […] L’Egitto non è un campo di gioco per nessuna fazione interna, regionale o internazionale e non lo sarà mai. […] Abbiamo bisogno di questa madre patria per tutti i suoi figli senza alcuna sorta di alienazione, esclusione o discriminazione.”

Infine un richiamo all’unità nazionale, ma soprattutto la richiesta di investitura dal popolo perché “è l’impegno, il lavoro sincero e patriottico che fa grandi le nazioni”. Al-Sisi sembra volere riportare l’Egitto all’epoca nasseriana di cui lui stesso è figlio essendo nato nel 1954 ovvero l’anno in cui il generale Naguib fu costretto a lasciare spazio all'"uomo forte" del regime, il colonnello Gamal ʿAbd al-Nasser che, dopo essere stato oggetto il 26 ottobre di un attentato a opera dei Fratelli Musulmani, sciolse l'organizzazione e il 30 ottobre fece arrestare al-Hudhaibi e i maggiori dirigenti della Fratellanza. La storia sembra ripetersi: uomo forte, Fratelli musulmani, no alle ingerenze esterne, in epoca nasseriana rappresentate dalla Gran Bretagna. 

Al-Sisi in questo momento gode dell’appoggio delle due principali autorità religiose ovvero Papa Tawadros e lo shaykh di al-Azhar al-Tayyeb. Dal punto di vista politico il partito al-Nur, attraverso il suo segretario generale Galal Marra, ha dichiarato che “è un diritto del feldmaresciallo ‘Abd al-Fattah al-Sisi in quanto rispettabile cittadino egiziano candidarsi alle elezioni presidenziali e a offrire i propri servigi in un momento difficile della storia dello Stato egiziano”. Anche il movimento Tamarrod ha emesso un comunicato in cui si afferma che il sostegno alla candidatura di al-Sisi corrisponde al desiderio della maggioranza del popolo egiziano”. Il comunicato fa riferimento anche alle seguenti parole di Nasser: “Credo fermamente che usciranno dalle fila di questo popolo eroi sconosciuti che sentiranno la libertà, santificheranno l’orgoglio e crederanno nella dignità”. 

Il portavoce del partito al-Dustur, Khalid Dawud, ha approvato la candidatura, ma al contempo ha aggiunto: “Chiediamo che sia un candidato alla stregua degli altri, che non vi sia alcuna intromissione da parte delle istituzioni per forzarne la candidatura. […] che vengano custodite e rispettate le regole della democrazia e che le elezioni siano libere e trasparenti nella piena competizione con gli altri candidati”.

Non poteva mancare la reazione dei Fratelli musulmani. Uno dei loro leader, Ibrahim Munir, residente a Londra ha commentato, con parole che hanno tutta l’aria di una minaccia: “Non vi saranno né stabilità né sicurezza con la presidenza di al-Sisi”. Ebbene, i Fratelli musulmani così come al-Sisi e gli egiziani conoscono già il risultato. Al-Sisi si è conquistato la fiducia sul terreno, dimostrando di stare dalla parte del popolo nel momento in cui è stato allontanato Morsi, la sua storia e i suoi discorsi lo avvicinano a Nasser. La speranza è che l’ex militare mantenga le promesse, che ristabilisca la sicurezza che riporterà il turismo nella terra dei Faraoni, che riformi dal basso sanità e istruzione per restituire fiducia agli egiziani. La speranza è che porti a compimento la lotta contro il terrorismo con lungimiranza e non solo con politiche repressive a breve termine.