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PAPA E REPUBBLICA

Scalfari, un problema di coscienza

Secondo Eugenio Scalfari, l'affermazione del Papa «la questione [del bene e del male] per chi non crede in Dio sta nell'obbedire alla propria coscienza» è una rivoluzione di Papa Bergoglio. Forse gli serve un ripasso della dottrina della Chiesa.

Editoriali 13_09_2013
Eugenio Scalfari

Avete mai provato ad usare il traduttore automatico di Google? Se inserite una frase in inglese di media complessità il risultato in italiano che ne viene fuori a volte sfiora il comico tanto è errato. Ecco Scalfari è diventato il traduttore automatico del pensiero di Papa Bergoglio e di tutta la Chiesa da lui guidata.

Ne ha dato prova ieri (12 settembre) sulle pagine di Repubblica rispondendo alla lettera che un paio di giorni fa Papa Francesco gli aveva indirizzato. Molti sarebbero i passaggi interessanti da mettere sotto la lente di ingrandimento, me ne selezioniamo solo uno per motivi di brevità. Il bianco pizzetto di Repubblica riporta nuovamente un passo della missiva del Pontefice che lo ha particolarmente colpito: «la questione [del bene e del male] per chi non crede in Dio sta nell'obbedire alla propria coscienza. Il peccato, anche per chi non ha la fede, c'è quando si va contro la coscienza. Ascoltare e obbedire ad essa significa, infatti, decidersi di fronte a ciò che viene percepito come bene o come male. E su questa decisione si gioca la bontà o la malvagità del nostro agire».

Il traduttore automatico Scalfari, tutto emozionato dal fatto che il Pontefice presti attenzione a lui tra mille, gongola e subito sputa la traduzione in perfetto laichese: «Un’apertura verso la cultura moderna e laica di questa ampiezza, una visione così profonda tra la coscienza e la sua autonomia, non si era mai sentita finora dalla cattedra di San Pietro. Neppure papa Giovanni era arrivato a tanto e neppure le conclusioni del Vaticano II, che avevano auspicato l'inizio del percorso ai pontefici che sarebbero venuti dopo e ai Sinodi che avrebbero convocato». Insomma una grande novità sono le parole di Papa Francesco per le orecchie del fondatore di Repubblica. Non è nuovo invece l’atteggiamento di questo quotidiano che conia come inedite alcune affermazioni del Pontefice quando in realtà si inseriscono armoniosamente nel solco della Tradizione e del Magistero Cattolico (vedi la questione sull’omosessualità).

Anche in questo caso il Papa ha ripetuto pari pari ciò che dice la sana dottrina in merito al tema della coscienza. Ad esempio il Catechismo della Chiesa Cattolica al n. 1777 afferma: «Presente nell’intimo della persona, la coscienza morale le ingiunge, al momento opportuno, di compiere il bene e di evitare il male. Essa giudica anche le scelte concrete, approvando quelle che sono buone, denunciando quelle cattive». In modo analogo Giovanni Paolo II al n. 32 della Veritatis splendor scrive che la coscienza è «un atto dell'intelligenza della persona, cui spetta di applicare la conoscenza universale del bene in una determinata situazione e di esprimere così un giudizio sulla condotta giusta da scegliere qui e ora». Le citazioni si sprecherebbero. Ci fermiamo qui.

Scalfari però sostiene che la posizione del Papa è rivoluzionaria non solo rispetto alla paludata e conservatrice tradizione del Magistero cattolico, bensì anche rispetto – secondo alcuni cliché stereotipati – al progressismo di Giovanni XXIII e del Concilio Vaticano II. E allora andiamo a vedere cosa ha scritto Papa Roncalli sulla coscienza nella Pacem in Terris (3): «il Creatore ha scolpito l’ordine anche nell’essere degli uomini: ordine che la coscienza rivela e ingiunge perentoriamente di seguire: “Essi mostrano scritta nei loro cuori l’opera della legge, testimone la loro coscienza” (Rm 2,15)». Ci pare che dica le stesse cose del suo successore Francesco.

E in merito al Concilio Vaticano II? Come si espresse su questo tema? Ecco alcuni stralci. Così la Gaudium et spes (16): «Nell'intimo della coscienza l'uomo scopre una legge che non è lui a darsi, ma alla quale invece deve obbedire e la cui voce, che lo chiama sempre ad amare e a fare il bene e a fuggire il male, quando occorre, chiaramente parla alle orecchie del cuore [...]. L'uomo ha in realtà una legge scritta da Dio dentro al suo cuore [...]. La coscienza è il nucleo più segreto e il sacrario dell'uomo, dove egli si trova solo con Dio, la cui voce risuona nell'intimità propria».

E nella Lumen Gentium (16): «Quelli che senza colpa ignorano il Vangelo di Cristo e la sua Chiesa, e tuttavia cercano sinceramente Dio, e sotto l'influsso della grazia si sforzano di compiere con le opere la volontà di Dio, conosciuta attraverso il dettame della coscienza, possono conseguire la salvezza eterna». Sembra proprio che l’attuale Pontefice abbia solo ribadito la dottrina cattolica su questo punto.
Ma perché Scalfari sostiene invece che una tale frase del Papa sulla coscienza «non si era mai sentita finora dalla cattedra di San Pietro»? Forse per il seguente motivo.

Scalfari è caduto in un processo di semplificazione da sussidiario delle elementari: Papa Bergoglio è il papa buono, dunque progressista, non conservatore, vicino ai poveri, non legato all’astratta dottrina così nemica della felicità degli uomini ma più attento alle nostre necessità materiali, più umanista che teologo, più versato al lato pratico che a quello teorico, che nutre più simpatia per il dialogo e le domande che per i dogmi e le risposte assertive. Insomma un tipo ok per Repubblica. Ma se è buono non può che dire cose che la Chiesa – da sempre cattiva – non ha mai detto. E dunque il suo concetto di coscienza non può che sposarsi appieno con la modernità e la laicità, le quali – per dirla con Thomas Hobbes – affermano che «bene e male sono nomi che significano i nostri appetiti e le nostre avversioni».

Questo in sintesi il processo di traduzione automatica di quella “scimmia pensante” di Scalfari, per usare una definizione di sé coniata dallo stesso padre di Repubblica, che ha inteso la coscienza come il luogo di creazione della verità soggettiva sganciata dal riferimento oggettivo della legge naturale e di Dio. Così come ricorda l’enciclica Veritatis Splendor al n. 32: «All'affermazione del dovere di seguire la propria coscienza si è indebitamente aggiunta l'affermazione che il giudizio morale è vero per il fatto stesso che proviene dalla coscienza. Ma, in tal modo, l'imprescindibile esigenza di verità è scomparsa, in favore di un criterio di sincerità, di autenticità, di “accordo con se stessi”, tanto che si è giunti ad una concezione radicalmente soggettivista del giudizio morale».