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FAMILY PARTY/IL DIBATTITO

Sbagliato il partito, ma il No al referendum è una strada

La nostra non è affatto la più bella Costituzione del mondo, per molti aspetti è un disastro. Quella che Renzi e la Boschi ci vogliono rifilare sarebbe peggio: il ritorno al centralismo della vecchia Italia di Giolitti, la cui ricomparsa sarebbe una catastrofe

Editoriali 06_03_2016
Massimo Gandolfini

Ritengo anch'io che fondare un “Partito della famiglia” non sia il modo migliore per dare pubblica rappresentanza ed espressione al movimento portato alla ribalta dalla grande assemblea di massa dello scorso 30 gennaio al Circo Massimo di Roma. In armonia con la loro storia alcuni fra i maggiori promotori dell'iniziativa intendono tuttavia farlo. Lo facciano, la realtà delle cose dirà se e quanto avranno avuto ragione. E auguriamoci che in ogni caso non sia di danno.

Tutto questo accade tra l'altro in una situazione di crisi politica generale nella quale, tanto in sede italiana quanto in sede europea, questioni all'apparenza assai lontane tra loro s'intrecciano aggrovigliandosi l'una con l'altra finché ogni cosa si blocca. In effetti ciò accade non senza motivo: al di là infatti di ogni specifica questione il problema numero uno è l'incapacità dell'uomo contemporaneo di rapportarsi efficacemente e attivamente con la realtà. Il caso della gestione (ovvero della mancata gestione) degli attuali flussi migratori irregolari verso l'Unione Europea è esemplare al riguardo. Malgrado la questione sia nota in tutti i suoi aspetti, i governi si ostinano ad affrontare ognuno di tali aspetti come se fosse qualcosa di a sé stante; con esiti perciò inevitabilmente fallimentari.

Torniamo però al nostro Paese e alla questione dei possibili seguiti del “Family Day”. Sorprendendo molti, Massimo Gandolfini ha lanciato come prossimo possibile obiettivo di un'analoga mobilitazione di massa il “no” al referendum popolare di quest'autunno sulla riforma costituzionale varata dall'attuale governo. Il premier Renzi, come è noto, ha risposto inviperito accusando Gandolfini di strumentalizzare la questione “per mandarmi a casa”. “Che c'entra la difesa della famiglia con la riforma del Senato? Che c'entrano le coppie omosessuali con la cancellazione del CNEL? Che c'entrano i movimenti religiosi con le competenze regionali su energia e turismo? Nulla. Ma dobbiamo farla pagare a Renzi”.

Forse non ne coglie il nesso in modo consapevole, ma con il grande istinto politico che lo caratterizza il premier ha subito avvertito la gravità della sfida. In effetti l'entità della reazione di Renzi all'annuncio di Gandolfini dimostra a contrariis quanto egli abbia colto nel segno. Con buona pace del premier, malgrado la diversità dei contenuti immediati, il disegno di legge Cirinnà e la riforma costituzionale Renzi-Boschi hanno il medesimo seme e sono anche caratterizzati da una medesima disonestà di fondo. In entrambi i casi il grande obiettivo conclamato, l'unione civile e rispettivamente l'eliminazione del bicameralismo “perfetto”, sono i falsi scopi sui quali si è fatto concentrare il dibattito per poter poi far passare zitti zitti ben altro. Nel caso del disegno di legge Cirinnà un matrimonio omosessuale mascherato nonché l'avvio dello sgretolamento del matrimonio in quanto tale (con l'unione di fatto more uxorio che viene equiparata al matrimonio civile). Nel caso della riforma costituzionale il ritorno al  centralismo e allo statalismo della vecchia Italia liberale pre-fascista dell’epoca di Giolitti e dei suoi prefetti, la cui ricomparsa in scena sarebbe oggi per il nostro Paese una catastrofe storica.

Temevo tuttavia che a livello di massa tali prossimità fossero difficili da capire finché non ho letto l'interessantissima intervista di Marco Guerra a John Waters che abbiamo pubblicato ieri («Fare una battaglia contro i matrimoni gay non dà la patente per governare un Paese»). Non mi rifaccio qui in particolare al giudizio di Waters sull'inopportunità, che peraltro condivido, di trasformare ipso facto in forza politica un movimento popolare di opposizione al matrimonio omosessuale. Mi riferisco invece a quanto egli dice sullo spunto delle recenti elezioni politiche in Irlanda, dove tutti i partiti che avevano sostenuto il referendum a favore del matrimonio gay sono usciti con le ossa rotte.

“Ero molto pessimista dopo il referendum”, osserva Waters, “pensavo che il cambiamento radicale della società irlandese fosse inarrestabile. Ma le elezioni politiche di una settimana fa hanno rappresentato una novità molto interessante. Il governo uscente che ha promosso il matrimonio egualitario è stato duramente sconfitto. I laburisti sono passati da 33 a 7 in parlamento. Io non credo che la gente abbia punito i partiti di governo perché hanno favorito l'introduzione del matrimonio egualitario per i gay. Ma inconsciamente questo ha influito molto sulla decisione degli elettori. Per molti irlandesi la questione dei matrimoni gay rappresenta comunque una ferita aperta nel loro sentire più profondo e poi la maggioranza degli elettori è rimasta delusa dal fatto che il partito laburista aveva promesso loro di far uscire l'Irlanda dalle politiche recessive imposte dalla Troika. Questi elettori hanno quindi fatto un bilancio delle politiche dell'esecutivo e hanno visto che l'unica cosa che è riuscito a fare è stato il matrimonio per i gay. La gente si chiede che cosa ha fatto il governo per i miei figli? Per la mia vita? I diritti fondamentali da garantire sono solo quelli dei gay? Insomma che se ne fanno le famiglie del matrimonio gay con tutti i problemi che hanno, gli irlandesi hanno perfino ripreso ad emigrare. Più che una reazione diretta al matrimonio gay è questo è il ragionamento che ha portato alla sconfitta dei partiti più vicini alle battaglie Lgbt”.

In tale prospettiva il “no” al referendum costituzionale di quest'autunno, che Gandolfini ha lanciato, merita a mio avviso di venire attentamente considerato. Purché beninteso non venga sprecato caricandolo di un peso politico immediato che non deve assolutamente avere. A noi che stiamo fuori del Palazzo, e che quindi non vogliamo prendere il suo posto, rimandare Renzi a Pontassieve importa poco, anzi nulla. Per quel che conta può restare pure a palazzo Chigi, ma a Costituzione invariata. Beninteso, la nostra non è affatto la “più bella Costituzione del mondo”. Anzi, per molti aspetti è un disastro. Quella che Matteo Renzi e Maria Elena Boschi ci vogliono rifilare però sarebbe peggio.

In quanto poi al possibile futuro superamento della sbandata antropologica in corso in Europa - osserviamo concludendo - nella sua intervista Waters afferma che, più che dalla resistenza dei Paesi che non ne sono stati ancora raggiunti, a suo avviso «la riscossa partirà da quei Paesi che per primi hanno sperimentato le leggi imposte dal pensiero unico dominante, che per primi hanno subito il cambiamento antropologico. E loro capiranno per primi l'errore che hanno commesso. La reazione non verrà dal tradizionalismo o da processi politici, ma sarà una cosa naturale, pre-politica, saranno i nostri corpi a ribellarsi, le nostre relazioni biologiche, la nostra cultura. Sarà una reazione contro le bugie della società radicale di massa. Perché non si potrà insistere a dire che l'essere umano è qualcosa di diverso. Ratzinger ha detto che la verità ha sempre un futuro, la verità prima o poi ha il sopravvento».