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UDIENZE

Sbaglia chi dimentica i cristiani perseguitati

All'udienza del 25 settembre, Papa Francesco ricorda che la Chiesa è una, anche se conta quasi tremila diocesi e parla tutte le lingue del mondo. Ma non lo possiamo dare per scontato. C'è un segno che lo rivela: proviamo compassione per i fratelli perseguitati?

Ecclesia 26_09_2013
India

All’udienza generale del 25 settembre Papa Francesco ha proseguito la catechesi sul «Credo», commentando l'affermazione «Credo la Chiesa, una». La catechesi è stata occasione per un monito contro le divisioni e le «chiacchiere» e per un forte appello a ricordare che molti cristiani oggi sono discriminati e perseguitati.

Con l'espressione «la Chiesa una», ha detto il Papa, «professiamo che la Chiesa è unica e questa Chiesa è in se stessa unità», anche se è sparsa in tutto il mondo, conta quasi tremila diocesi e parla tutte le lingue. In che senso, dunque, la Chiesa è veramente una?

«Una risposta sintetica – ha affermato il Pontefice - la troviamo nel Catechismo della Chiesa Cattolica, che afferma: la Chiesa Cattolica sparsa nel mondo "ha una sola fede, una sola vita sacramentale, un’unica successione apostolica, una comune speranza, la stessa carità" (n. 161)». Questa definizione «ci orienta bene». «Unità nella fede, nella speranza, nella carità, unità nei Sacramenti, nel Ministero: sono come pilastri che sorreggono e tengono insieme l’unico grande edificio della Chiesa. Dovunque andiamo, anche nella più piccola parrocchia, nell’angolo più sperduto di questa terra, c’è l’unica Chiesa». Questo è un grande dono, e una grande certezza per i fedeli.

Ogni tanto è bene e bello che questa unità si mostri. «Penso, per esempio - ha continuato Francesco - all’esperienza della Giornata Mondiale della Gioventù a Rio de Janeiro: in quella sterminata folla di giovani sulla spiaggia di Copacabana, si sentivano parlare tante lingue, si vedevano tratti del volto molto diversi tra loro, si incontravano culture diverse, eppure c’era una profonda unità, si formava un’unica Chiesa, si era uniti e lo si sentiva».

Ma che la Chiesa sia una non lo possiamo mai dare per scontato. Dobbiamo chiederci spesso: «io, come cattolico, sento questa unità? Io, come cattolico, vivo questa unità della Chiesa? Oppure non mi interessa, perché sono chiuso nel mio piccolo gruppo o in me stesso? Sono di quelli che “privatizzano” la Chiesa per il proprio gruppo, la propria Nazione, i propri amici?». L'ultima cosa di cui la missione ha bisogno oggi è una «Chiesa privatizzata», che ultimamente rivela una «mancanza di fede».

Oggi c'è un segno che rivela se sentiamo la Chiesa come una o no. È se sentiamo come nostre le sofferenze dei fratelli perseguitati, un dramma dimenticato di cui Papa Francesco ha già parlato diverse volte. Chi non include nel suo orizzonte spirituale e culturale il dramma della Chiesa perseguitata sbaglia, e non contribuisce a costruire l'unità. «Quando sento che tanti cristiani nel mondo soffrono, sono indifferente o è come se soffrisse uno di famiglia? Quando penso o sento dire che tanti cristiani sono perseguitati e anche danno la vita per la loro fede, tocca il mio cuore questo o non viene a me?». E ancora: «Quanti di voi pregate per i cristiani che sono perseguitati? Quanti? Ognuno si risponda nel cuore: “Io prego per quel fratello, per quella sorella, che è in difficoltà, per confessare e difendere la sua fede?” È importante!».

Tutti noi possiamo «ferire questa unità» della Chiesa anche fomentando «incomprensioni, conflitti, tensioni, divisioni, che la feriscono, e allora la Chiesa non ha il volto che vorremmo, non manifesta la carità, quello che vuole Dio. Siamo noi a creare lacerazioni!». Quelle del passato richiedono «la fatica» dell'ecumenismo con ortodossi e protestanti, ma se ne creano continuamente di nuove. È paradossale, perché «il nostro mondo ha bisogno di unità. È un’epoca in cui noi tutti abbiamo bisogno di unità, abbiamo bisogno di riconciliazione, di comunione e la Chiesa è Casa di comunione». Il Papa cita san Paolo nella «Lettera agli Efesini»: «Io dunque, prigioniero a motivo del Signore, vi esorto: comportatevi in maniera degna della chiamata cha avete ricevuto, con ogni umiltà, dolcezza e magnanimità, sopportandovi a vicenda nell’amore, avendo a cuore di conservare l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace» (4, 1-3). L'unità non è solo un dovere, «è la ricchezza della Chiesa».

Francesco è anche tornato sul tema, che denuncia spesso, del gossip e delle chiacchiere inutili: «Ognuno si chieda oggi: io faccio crescere l’unità in famiglia, in parrocchia, in comunità, o sono un chiacchierone, una chiacchierona, sono motivo di divisione, di disagio? Ma voi non sapete il male che fanno alla Chiesa, alle parrocchie, alle comunità le chiacchiere! Fanno male. Le chiacchiere feriscono. Un cristiano, prima di chiacchierare deve mordersi la lingua! Sì o no? Eh, mordersi la lingua! Quello ci farà bene, perché la lingua si gonfia e non può parlare e non può chiacchierare».

Sbaglieremmo, però, ha concluso il Pontefice, se pensassimo che l'unità può venire dai nostro sforzi umani. L'unità è un dono dello Spirito Santo. «La nostra unità non è primariamente frutto del nostro consenso o della democrazia dentro la Chiesa o del nostro sforzo di andare d’accordo, ma viene da Lui che fa l’unità nella diversità, perché lo Spirito Santo è armonia, sempre fa l’armonia nella Chiesa: è un’unità armonica in tanta diversità di culture, di lingue e di pensiero». Per questo si possono fare molte cose per creare unità, ma la chiave di tutto è la preghiera.