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Sant’Apollinare

Sono note in tutto il mondo le due basiliche paleocristiane di Ravenna che portano il suo nome. Meno conosciuta è invece la vita di questo vescovo santo, venerato come martire

Santo del giorno 20_07_2024 English Español

Le due basiliche paleocristiane di Ravenna che portano il suo nome, Sant’Apollinare in Classe e Sant’Apollinare Nuovo, sono note in tutto il mondo grazie pure ai loro splendidi mosaici. Meno conosciuta è invece la vita di questo vescovo santo, venerato come martire, che la tradizione vuole discepolo di san Pietro. Apollinare era originario di Antiochia, città la cui Chiesa venne fondata proprio dal Principe degli Apostoli e dove predicò anche san Paolo.

Si tramanda che il santo, convertitosi al cristianesimo insieme ai genitori, seguì Pietro a Roma. Fu poi da questi inviato a Ravenna, divenendone il primo vescovo. Operò molte conversioni e guarì la moglie di un tribuno, che si fece poi battezzare con tutta la famiglia. Ciò lo rese bersaglio delle persecuzioni dei pagani, i quali cercarono di imporgli di offrire sacrifici a Giove. Ma Apollinare non ne volle sapere e li mise in guardia dall’idolatria: “Non voglio sacrificare, meglio sarebbe l’usare del vostro oro e argento a sollievo dei poveri, invece d’adoperarlo per onorare demoni”. Venne percosso e lasciato mezzo morto. In seguito, rifiutandosi ancora di sacrificare agli idoli, fu ordinato il suo esilio. Ma il santo, salvatosi da un naufragio, riuscì alla fine a tornare a Ravenna. Qui, intorno al 70, fu battuto così selvaggiamente da morire sette giorni più tardi per le ferite riportate.

In questo senso si comprende perché san Pietro Crisologo, Dottore della Chiesa e vescovo di Ravenna (tra il 433 circa e il 450), in un bel sermone lo chiami per due volte “confessore” (e così lo commemora pure il Martirologio Geronimiano al 23 luglio, mentre il Martirologio Romano parla espressamente di “illustre martirio”). Il Crisologo avverte comunque di tributare ad Apollinare lo stesso onore dei martiri, perché a tale gloria porta la costante confessione di fede in mezzo alle persecuzioni: “Non tanto la morte, quanto la fede e la devozione fanno il martire: e come è prova di valore soccombere in battaglia, in uno scontro per amore del proprio re, così è indizio di virtù perfetta sostenere a lungo e portare a compimento le lotte. Fu provato martire non perché l’astuto nemico gli inflisse la morte, ma perché non riuscì a estorcergli la fede. […] Il confessore versava spesso il proprio sangue e dava testimonianza al suo Creatore con le sue ferite e con la fede del suo animo. Guardando al cielo, disprezzava carne e terra”.

Proprio sul luogo del martirio, l’antica Civitas Classis, fu eretta la Basilica di Sant’Apollinare in Classe, consacrata il 9 maggio 549. Ancora oggi vi si può ammirare il famoso mosaico absidale che raffigura il santo in atteggiamento orante, affiancato da 12 pecore (sei per lato) simboleggianti il gregge di Cristo, con lo stesso numero degli Apostoli e delle tribù di Israele. La più antica e completa agiografia a noi pervenuta è la Passio sancti Apollinaris, che risale al tempo dell’arcivescovo Mauro (642-671). Ma la tradizione relativa al mandato conferitogli dall’apostolo Pietro ha realisticamente origini ben più remote rispetto alla suddetta Passio. Lo si intuisce dalle lettere del 599 di papa Gregorio Magno all’arcivescovo di Ravenna Mariniano e al notarius Castorio, in cui si concede a Massimo, vescovo di Salona, in Dalmazia, colpevole di simonia e scomunicato, di fare penitenza e ritornare in comunione con la Chiesa ante corpus sancti Apollinaris, cioè davanti al sepolcro ravennate del santo.

Tale atto penitenziale si faceva generalmente a Roma - come emerge dallo stesso epistolario di san Gregorio - ad beati Petri sacratissimum corpus: se il motivo dell’eccezione può essere rintracciato nelle difficoltà di raggiungere Roma per i conflitti allora in corso, l’indicazione del sepolcro di Apollinare, come luogo ‘equivalente’ per la riconciliazione con la Chiesa, si spiega con il mandato conferitogli da san Pietro, secondo una tradizione evidentemente già ben radicata al tempo di papa Gregorio. La sua memoria liturgica è oggi prevista dal Calendario Romano Generale tre giorni prima del suo dies natalis, per evitare la sovrapposizione con la festa di santa Brigida, compatrona d’Europa.