Chiesa e altare, la convinzione della “svolta costantiniana”
Secondo una tesi oggi purtroppo maggioritaria in ambito accademico, solo grazie a Costantino la liturgia si sarebbe spostata nelle chiese e la mensa si sarebbe trasformata in un altare. Una tesi con pesanti conseguenze sul modo di intendere la liturgia, ma che presenta problemi di attendibilità.

Noi uomini nutriamo convinzioni granitiche che poggiano su mode culturali piuttosto che su elementi certi. Non è raro che ipotesi di studiosi divengano magicamente prove inconfutabili; questo curioso, rapido passaggio non sempre è frutto di candida precipitazione; spesso e volentieri si tratta di una precisa volontà di raggiungere un determinato obiettivo, selezionando gli aspetti della ricerca storica e scientifica che meglio calzano con i propri progetti e trascurando gli altri .
Gli articoli dedicati alla Comunione sulla mano hanno mostrato come questa “selezione” sia riuscita a spacciare l’attuale modalità quasi fosse il fedele recupero di quella della Chiesa antica. Anche lo studio sulla datazione e la storicità dei Vangeli (confluito nel libro Si è fatto carne. Rapporto sulla storicità dei Vangeli) ha dovuto raccontare di come numerosi elementi che rafforzavano l’ipotesi di una datazione più precoce degli scritti del Nuovo Testamento siano stati ignorati o ridicolizzati da gran parte dei biblisti accademici, i quali preferiscono continuare a seguire idee preconcette in base alle quali gli scritti neotestamentari non possono essere stati scritti troppo a ridosso dei fatti e dei testimoni.
Esistono molte altre convinzioni, ormai radicatesi come fatti inoppugnabili, che condizionano pesantemente la vita della Chiesa, in particolare la comprensione della sua liturgia. Per alcune domeniche, cercheremo di andare a fondo di una di queste convinzioni dominanti, che riguardano l’altare e la chiesa. Se si pone ad un cristiano mediamente formato la domanda di come fosse il culto nei primi secoli della storia della Chiesa, il responso plebiscitario sarebbe più o meno questo: i cristiani celebravano l’Eucaristia in normali ambienti domestici, nel contesto di un pasto comune e servendosi della mensa comune.
E tale è purtroppo anche la tesi maggioritaria in ambito accademico, nel quale si ritrova anche la tesi della cosiddetta “svolta costantiniana” del cristianesimo. In pratica, solo con l’appoggio dell’imperatore Costantino alla Chiesa, la liturgia si sarebbe spostata negli edifici sacri e la mensa si sarebbe trasformata in un altare. Questo passaggio avrebbe contaminato il cristianesimo puro delle origini con elementi del mondo pagano; contaminazione che si constaterebbe principalmente nel passaggio dell’Eucaristia da rendimento di grazie a sacrificio e nell’introduzione del concetto di sacro/sacralità, sconosciuto invece nel Vangelo.
È da secoli che intellettuali illuministi da una parte e teologi e storici protestanti dall’altra insistono su una presunta purezza del cristianesimo versus il sistema cattolico, ritenuto l’espressione più evidente di tale contaminazione. In particolare, sarebbero proprio la liturgia e la Messa cattoliche ad aver rotto con la semplicità delle origini. Ad aprire le porte a questa idea in ambito cattolico fu il sacerdote archeologo Franz Wieland (1872-1957); nelle sue ricerche sull’altare paleocristiano e sul concetto di sacrificio, che portarono alla pubblicazione di quattro erudite opere, pubblicate dal 1906 al 1912, Wieland era giunto alla conclusione che, fino al III secolo, l’Eucaristia non era affatto intesa come sacrificio e, pertanto, non esisteva alcun altare. I suoi libri finirono all’Indice, ma le sue idee si infiltrarono capillarmente nel mondo accademico, fino ad imporsi come la versione scientificamente fondata della Chiesa delle origini.
Soffermiamoci sui punti salienti di questa tesi e sulla connessione delle sue diverse parti. Il sostrato storico è il fatto che i primi cristiani avrebbero celebrato l’Eucaristia nel contesto di un normale pasto, ad imitazione di quello che avrebbe fatto il Signore stesso nell’Ultima Cena. Adagiati sui triclinia di comuni sale da pranzo messe a disposizione della comunità, i cristiani spezzavano il pane eucaristico nel contesto conviviale e pertanto si servivano di normali mense, rifiutando invece gli altari pagani, chiaramente legati ai sacrifici cruenti. Vediamo emergere chiaramente la concatenazione di tre elementi “storici”: la mancanza di un ambiente deputato esclusivamente alla celebrazione dell’Eucaristia, a favore di un contesto domestico, ove si svolge la vita quotidiana delle persone; l’assenza di un altare dedicato, a favore di una mensa comune; l’assenza della dimensione sacrificale della fractio panis, sostituita da quella conviviale e persino esplicitamente rifiutata in quanto retaggio delle religioni pagane, ampiamente criticate dai Padri apologeti.
Questa triade è alla base di un conseguente modo di intendere la liturgia della Chiesa, e in particolare la celebrazione eucaristica. La Messa, per come la conosciamo, sarebbe l’esito di incrostazioni successive e progressive, che avrebbero provocato il passaggio dal convivio eucaristico, caratterizzato da forme rituali semplificate, centrate sull’agape fraterna, alla celebrazione di un sacrificio rivolto alla divinità per renderla propizia, dentro templi consacrati esclusivamente per il culto, su altari di fatto indistinguibili da quelli pagani, e con una sopravvalutazione della figura sacerdotale. Dentro questa prospettiva, un’autentica riforma della liturgia dovrebbe prefiggersi di ritornare all’epoca aurea della Chiesa, ossia i secoli antecedenti alla “svolta costantiniana”, ricercando forme rituali sempre più semplificate ed “essenziali”, riportando l’altare alla forma di mensa, le chiese a luoghi di riunione della comunità, il sacerdote a presidente.
Una conseguenza inevitabile è che la vittima illustre di tale impostazione sia la sacralità. Il termine “sacro” indica il doppio movimento di adesione alla divinità e separazione dal profano: ciò che appartiene a Dio è separato dal resto. Seguendo le conclusioni delle ricerche di Wieland, l’assenza di un luogo e di un altare dedicati esclusivamente al culto mostrerebbe che i cristiani dei primi due secoli testimonierebbero che Cristo avrebbe abolito questo concetto; unificando in sé l’uomo e Dio, il Signore Gesù avrebbe abbattuto ogni muro di separazione tra sacro e profano. Niente più luoghi sacri, niente più altari sacri, niente più ministri sacri, niente più sacrificio, essendo ormai tutto sacro.
Si tratta di convinzioni che godono di ottima salute nel mondo dei teologi e dei liturgisti e che hanno sedotto non pochi fedeli, convinti che il cristianesimo abbia radicalmente voltato pagina rispetto alle antiche forme di culto e religiosità, sia pagane che giudaiche. Questa impostazione ha avuto chiari effetti sulla liturgia, nella quale si è progressivamente imposta l’attenuazione, quando non anche la cancellazione, di quegli elementi che tipicamente esprimono la sacralità, nella loro evidente discontinuità con il contesto profano. Anche l’architettura delle nuove chiese e la realizzazione dei nuovi altari hanno seguito questi criteri.
Il senso di questa nuova serie di articoli è quello di cercare di capire se questa comprensione dei primi due secoli della storia della Chiesa possa realmente poggiare su solidi elementi storici e archeologici, o non sia piuttosto vero che una certa convinzione previa abbia condizionato la ricerca.