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Sant’Anselmo d’Aosta

Fides quaerens intellectum, «la fede che cerca l’intelletto», era il principio guida di sant’Anselmo d’Aosta o di Canterbury (1033-1109). Chiamato Doctor Magnificus, ideò un celeberrimo argomento sull’esistenza di Dio, su cui si sono cimentate generazioni di filosofi e teologi

Santo del giorno 21_04_2020 Español

Fides quaerens intellectum, «la fede che cerca l’intelletto», era il principio guida di sant’Anselmo d’Aosta o di Canterbury (1033-1109). Chiamato Doctor Magnificus, ideò un celeberrimo argomento sull’esistenza di Dio, su cui si sono cimentate generazioni di filosofi e teologi. Anselmo, considerato da alcuni il fondatore della Scolastica e anello di congiunzione tra sant’Agostino e san Tommaso d’Aquino, si distinse per la sua capacità di unire al rigore logico una continua tensione verso Dio. La sua teologia raggiunse certamente vette elevatissime attraverso lo studio, ma anzitutto si fondava sulla preghiera, l’umiltà e la priorità della fede. “Non tento, Signore, di penetrare la tua profondità, perché non posso neppure da lontano mettere a confronto con essa il mio intelletto; ma desidero intendere, almeno fino ad un certo punto, la tua verità, che il mio cuore crede e ama. Non cerco infatti di capire per credere, ma credo per capire”.

Anselmo nacque ad Aosta da una famiglia nobile. Il padre era longobardo, dedito alle cose mondane, mentre la madre era una piemontese animata da grande religiosità. Da bambino, come scrive l’amico e biografo Eadmero, immaginava che Dio abitasse sulla sommità delle Alpi: una notte sognò di essere invitato nella Sua splendida reggia, dove conversò amabilmente con Lui e alla fine si vide offrire “un pane candidissimo”. A 15 anni chiese di entrare tra i benedettini, ma il padre si oppose poiché voleva farlo erede dei suoi beni. Il suo ardore verso Dio pian piano si raffreddò e il giovane finì per essere vinto dalle passioni terrene e dagli interessi materiali. Rimasto orfano della madre e vedendo che i rapporti con il padre non miglioravano, a 23 anni lasciò la patria e iniziò a girare per la Francia. Dopo varie esperienze si recò all’Abbazia benedettina di Bec per conoscerne il famoso priore, il teologo Lanfranco da Pavia. Fu un incontro decisivo.

Si risvegliarono in lui sia la passione per lo studio sia la vocazione religiosa. Vestì l’abito monacale nel 1060 e diventò l’allievo prediletto di Lanfranco. Appena tre anni dopo, quando il maestro fu eletto abate in un altro monastero, Anselmo divenne il priore e il direttore della scuola claustrale di Bec. Al periodo da priore risale il suo primo importante scritto, il Monologion, in cui elaborò una dimostrazione a posteriori dell’esistenza di Dio, a partire dai diversi gradi di perfezione delle cose del mondo. Seguì a stretto giro l’opera più celebre, il Proslogion, contenente l’“argomento ontologico” (così lo definì Kant) con il quale Anselmo volle dare un’altra dimostrazione, stavolta a priori, dell’esistenza di Dio: “O Signore, tu non solo sei ciò di cui non si può pensare nulla di più grande, ma sei più grande di tutto ciò che si possa pensare. […] se tu non fossi tale, si potrebbe pensare qualcosa più grande di te, ma questo è impossibile”.

Era esigente nell’osservanza della regola, ma i monaci lo amavano per i suoi modi affabili e nel 1078, alla morte dell’abate di Bec, insistettero perché fosse lui ad assumere la guida. Sebbene preso da molteplici occupazioni, il santo non trascurava mai il raccoglimento spirituale, fino a vegliare per parte della notte. Tutta la sua vita religiosa, compresa l’attività intellettuale, era orientata a “innalzare la mente alla contemplazione di Dio”. Come scrisse Giovanni Paolo II nella sua Fides et Ratio, “sant’Anselmo sottolinea il fatto che l’intelletto deve porsi in ricerca di ciò che ama: più ama, più desidera conoscere. Chi vive per la verità è proteso verso una forma di conoscenza che si infiamma sempre più di amore per ciò che conosce”, laddove tale amore e tale verità si incontrano chiaramente in Dio. In quest’ascesa della sua anima, Anselmo era aiutato dalla tenera devozione alla Madonna: “Maria, te il mio cuore vuole amare, te la mia lingua desidera ardentemente lodare”.

Nel 1093, quando la sua fama era ormai diffusa in tutta Europa, fu eletto arcivescovo di Canterbury. Si era nell’epoca della lotta per le investiture e Anselmo, da fermo difensore della libertà della Chiesa, si scontrò prima con re Guglielmo il Rosso e poi con Enrico I: preferì per due volte l’esilio anziché cedere alle ingerenze dei sovrani. Dopo lunghe trattative, nel 1107 poté rientrare definitivamente a Canterbury. Nella sua ultima fase terrena continuò l’opera di riforma morale del clero. Ormai impossibilitato a camminare, si faceva trasportare ogni giorno in chiesa per la Messa. Morì il 21 aprile 1109, Mercoledì Santo, quando il Vangelo del giorno richiamava il suo sogno dell’infanzia: “Voi siete quelli che avete perseverato con me nelle mie prove; e io preparo per voi un regno, come il Padre l’ha preparato per me, perché possiate mangiare e bere alla mia mensa nel mio Regno […]” (Lc 22, 28-30).

Per saperne di più:

Catechesi di Benedetto XVI su sant’Anselmo (Udienza generale del 23 settembre 2009)