Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
San Giovanni da Kety a cura di Ermes Dovico

Sant’Alfonsa dell’Immacolata Concezione

«Io sento che il Signore mi ha destinata a essere un’oblazione, un sacrificio di sofferenza… Considero il giorno in cui non ho sofferto un giorno perduto per me», diceva sant’Alfonsa dell’Immacolata Concezione (1910-1946), nativa di un villaggio nello stato del Kerala, in India, ultima di cinque figli

Santo del giorno 28_07_2022 English Español

«Io sento che il Signore mi ha destinata a essere un’oblazione, un sacrificio di sofferenza… Considero il giorno in cui non ho sofferto un giorno perduto per me», diceva sant’Alfonsa dell’Immacolata Concezione (1910-1946), nativa di un villaggio nello stato del Kerala, in India.

Al secolo Anna Muttathupadathu, ultima di cinque figli, era venuta alla luce all’ottavo mese di gravidanza dopo il terrore provato dalla madre Maria Puthukari, che durante il sonno era stata avvinghiata alla vita da un serpente. Ricevette il Battesimo il 27 agosto, a otto giorni dalla nascita, secondo il rito siro-malabarese, proprio dei cattolici indiani che si considerano eredi dei primi convertiti dall’apostolo Tommaso, evangelizzatore della regione del Malabar. Tre mesi più tardi la piccola Anna rimase orfana della madre e passò la sua prima infanzia nella casa dei nonni. Rimase sempre molto legata al padre, che le insegnò a pregare in piedi sulla spiaggia, a braccia aperte.

La sua educazione cristiana fu curata particolarmente dalla nonna, che le trasmise la devozione a san Giuseppe. In onore dello sposo di Maria, la nonna andava a Messa ogni mercoledì, giorno in cui accoglieva in casa qualche povero e lasciava alla bambina il piacere di donare del riso o altri alimenti. Oltre alla Messa domenicale la nonna e la nipotina erano solite partecipare alla liturgia del venerdì, in ricordo della Passione di Gesù, e del sabato, in onore della Madonna, come a ‘completare’ la santa gratitudine verso la Sacra Famiglia che è nel cuore di ogni cristiano. Con la nonna recitava il Rosario tutte le sere e dalle sue labbra ascoltava spesso qualche pagina di Storia di un’anima di santa Teresa del Bambin Gesù, che la fece appassionare alla spiritualità del Carmelo. A sette anni arrivò il giorno tanto atteso della prima Comunione. «Sapete perché oggi sono così felice? Perché ho Gesù nel mio cuore», diceva alle sue compagnette. A 33 scriverà così al suo direttore spirituale: «Già dall’età di sette anni non ero più mia. Ero totalmente dedicata al mio divino Sposo».

Più complicato si rivelò invece il rapporto con una zia da cui si trasferì nel 1920. La parente cercò in ogni modo di combinarle un matrimonio, non vedendo con favore la sua vocazione religiosa. Risoluta a essere tutta di Gesù, Anna decise drasticamente di mettere un piede su un mucchio di braci accese, procurandosi una grave ustione: «Il mio matrimonio era stato organizzato quando avevo 13 anni. Che cosa dovevo fare per evitarlo? Pregai tutta la notte… poi mi venne un’idea. Se il mio corpo fosse stato un po’ sfigurato, nessuno mi avrebbe voluta! Oh, quanto ho sofferto! Offrii tutto per la mia grande intenzione». Nonostante la menomazione al piede dovette resistere ad almeno un altro tentativo di darla in moglie. Ma alla fine riuscì ad assecondare la sua vocazione e, su consiglio del confessore, entrò tra le Francescane Clarisse (fondate nel 1888): il 2 agosto 1928 iniziò il postulandato e assunse il nome di Alfonsa dell’Immacolata Concezione, per devozione a sant’Alfonso Maria de’ Liguori e alla Madonna.

Nel periodo 1930-1935 la sua salute subì un grave deterioramento, tra ferite purulente alle gambe ed emorragie. Per qualche tempo dovette interrompere il noviziato. Quando poté riprenderlo, scrisse: «Non voglio agire o parlare secondo le mie inclinazioni. […] Voglio stare attenta a non respingere mai nessuno. Parlerò agli altri solo con parole dolci. Voglio controllare i miei occhi con rigore. Chiederò perdono al Signore per ogni piccola mancanza e la espierò con una penitenza. Non importa quali possano essere le mie sofferenze, non mi lamenterò mai e, se dovessi subire qualche umiliazione, cercherò rifugio nel Sacro Cuore di Gesù». Il 12 agosto 1936 fece la professione perpetua, vivendo un giorno di indicibile gioia spirituale. Le malattie continuarono a logorarla nel corpo. Ma suor Alfonsa proseguì fino alla morte - avvenuta a 36 anni non ancora compiuti - a unire lietamente le sue sofferenze alla croce di Cristo, per amore al disegno salvifico dello Sposo. È stata beatificata nel 1986 e canonizzata nel 2008: in entrambi i casi è avvenuto il riconoscimento della guarigione miracolosa di bambini con piedi ritorti.