Sanità allo Stato? No, per buon senso e per dottrina
Sanità totalmente in mano allo Stato? Sia il buon senso sia i principi della Dottrina sociale della Chiesa non supportano questa proposta. Anzi, chiedono di rivedere la sanità in modo veramente sussidiario.
In occasione della presente epidemia da coronavirus si levano alcune voci per chiedere che la sanità torni totalmente in mano allo Stato. Mi sembra che le motivazioni principali, legate alla contingenza in corso, siano le seguenti: le regioni non sono esenti da abusi ed errori, c’è una esigenza di uguaglianza su tutto il territorio nazionale, quando sorgono delle emergenze occorre coordinare le risposte e solo lo Stato lo può fare.
A mio parere, sia il buon senso sia i principi della Dottrina sociale della Chiesa non supportano questa proposta. Anzi, chiedono di rivedere la sanità in modo veramente sussidiario.
Cominciamo dal buon senso e consideriamo l’atteggiamento del governo in questo periodo. Fughe di notizie allarmanti prima degli annunci ufficiali, stanziamento di fondi ai comuni che altro non sono che anticipazioni, difficoltà a mettere in sicurezza gli operatori sanitari, cinque versioni diverse di autocertificazione per gli spostamenti, inconsistenza dell’azione di governo sul versante dell’Unione europea, lo sportello dell’INPS che non funzione, la modulistica INPS che non è stata rinnovata rispetto a quella esistente con difficoltà enorme per chiedere le provvidenze previste, i tribunali che non rispondono anche se, pur bloccate le attività esterne, il personale dovrebbe esserci e lavorare, incertezze e incompetenze ai massimi livelli nella gestione della scuola, inadeguatezza della protezione civile a questo tipo di minaccia, messaggi contrastanti tra le fonti pubbliche di informazione, sospensione delle garanzie costituzionali, tentativi di sfruttare la situazione per pubblicità politica … e l’elenco potrebbe continuare. Senza contare i tagli al reparto sanità dei governi degli ultimi dieci anni.
Il buon senso vede che le principali risorse contro l’epidemia sono venute in sede locale e dalla spontanea mobilitazione delle forze sociali. Medici e infermieri che operano a proprio rischio, famiglie che si sono assunte molti oneri nelle difficoltà, sinergia tra pubblico e privato, contributi economici facoltosi, discreta operatività dei comuni. Quando si va sul piccolo, sul gestibile, sul partecipabile … allora si vedono risposte concrete, quando ci si allontana e ci si colloca al centro, ossia a distanza, si riscontra la confusione. E pensare che la presidenza del Consiglio ha oltre tremila dipendenti e che in questo periodo è stato nominato un Commissario straordinario e uno stuolo di consiglieri ma la burocrazie e l’incrostazione dei percorsi hanno ancora la meglio. Gli aiuti tardano a venire, non si sa ancora come finanziarli, l’accesso agli stessi è complicato, si parla di una cassa integrazione europea che nessuno sa cosa sia. Con ciò non si vuole difendere il sistema attuale della sanità regionale che, come testimoniano i conti drammaticamente in rosso di alcune regioni, non sempre dà buon esempio. Ma il ritorno al centralismo no.
La Dottrina sociale della Chiesa è per una risposta al problema della sanità coordinata ma articolata, come ad ogni altro problema sociale. Coordinata rispetto al bene comune, articolata perché la giustizia consiste nel dare a ciascuno il suo, sia in termini di benefici ottenuti sia in termini di possibilità di operare e partecipare. Il bene comune è articolato a diversi livelli e non si dà solo al livello statale. Ciò esige che anche gli attori e le regole si collochino a diversi livelli di assunzione di responsabilità morale prima che civica. Lo Stato centralista è deresponsabilizzante. Anche una regione lo può diventare, ma se l’articolazione sussidiaria viene impostata bene e se la responsabilità è distribuita le cose vanno meglio.
Possiamo tornare ora alle tre motivazioni principali di chi vorrebbe restituire la sanità completamente allo Stato. La prima era: le regioni non sono esenti da abusi ed errori: è vero, ma questo avviene quando esse copiano il centralismo statale e lo ripropongono sul territorio. La soluzione allora non è di tornare al centralismo statale ma di articolare ulteriormente le competenze sul territorio. La seconda era: c’è una esigenza di uguaglianza su tutto il territorio nazionale: ma l’uguaglianza non è la giustizia. Certamente la dignità delle persone è uguale e esiste qualcosa di dovuto all’uomo in quanto uomo come dice la Centesimus annus, ma la giustizia, che pure tiene conto di questo, consiste nel dare a ciascuno il suo, contrariamenteo all’egualitarismo, il che chiama in causa la responsabilità e la responsabilità non è uguale in tutti. La terza dice: quando sorgono delle emergenze occorre coordinare le risposte. Ma il coordinamento delle risposte è una cosa e la loro esecuzione responsabile è un’altra. Magari ci fosse chi coordina e chi fa, spesso purtroppo chi coordina anche fa. Pensare di accentrare il coordinamento e anche l’esecuzione non è cosa buona.