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a cura di Stefano Fontana

Il problema

Sangiuliano, Giuli e la cultura di destra

La seconda crisi, in poche settimane, che coinvolge il Ministero della cultura fa sorgere delle domande. Di certo, oggi che la cultura di sinistra è più confusa che mai, a destra si sta perdendo l’occasione per una svolta.

Dottrina sociale 25_10_2024

Il Ministero della cultura sta attraversando la sua seconda crisi in poche settimane. Dopo i problemi che hanno toccato il ministro Gennaro Sangiuliano ora tocca al suo successore Alessandro Giuli (nella foto). Si tratta solo di fatti personali, di scelte improprie, di arroganza istituzionale? Oppure, come qualcuno segnala, quel Ministero mostra di essere così debole perché la cultura di questa destra è debole?

La domanda è interessante perché, mai come in questo momento, la cultura delle opposizioni di sinistra è confusa e in difficoltà. La cosa è provata da due elementi che caratterizzano oggi questo fronte politico. Da un lato esso torna indietro agli anni Settanta, condanna la polizia che “manganella” gli studenti, giustifica l’espropriazione proletaria degli appartamenti e addirittura manda al Parlamento europeo una attivista di questa prassi antisistema, chiede la patrimoniale e il ripristino dell’assistenzialismo del reddito di cittadinanza, torna a minacciare scioperi generali contro la legge finanziaria prima ancora di leggerla. Insomma, vuole tornare ad essere una sinistra ideologica, dopo che Luca Ricolfi l’aveva accusata di aver abbandonato i lavoratori per gli omosessuali. Dall’altro lato, però, critica la legge sull’utero in affitto reato universale, vota in Europa per la costituzionalizzazione dell’aborto, si uniforma alle posizioni della Nato sull’Ucraina e continua sulla linea che lo stesso Ricolfi aveva chiamato della combinazione tra altruismo e liberalismo. In altre parole, torna ad una cultura massimalista e contemporaneamente procede su una cultura postmoderna e woke. Va da sé che, date queste contraddizioni, la sinistra sia divisa al proprio interno proprio per motivi culturali prima che di carriera politica.

Davanti a questa situazione, la maggioranza di governo aveva buon gioco a proporre una propria cultura chiara e convincente, cercando di fondare meglio il “comunitarismo” che secondo le previsioni di Marcello Veneziani avrebbe dovuto contrastare la cultura liberal della nuova sinistra. Ma la nomina dei due ministri Sangiuliano e Giuli, al di là delle vicende che li hanno interessati, dimostra una certa incapacità di fare la scelta giusta su un terreno, appunto quello della cultura, che poteva essere molto favorevole in questo momento. I due nomi non sono stati scelti con l’intendimento di indicare una svolta culturale. È certamente vero che quella che chiamiamo destra è una coalizione di governo con anime diverse, spesso anche molto diverse. E questo ha certamente impedito di individuare per il Ministero una persona che avesse una forte personalità culturale. Però si poteva fare (molto) di più e meglio. Il ministro Giuli, in modo particolare, fa riferimento ad un’appartenenza culturale piuttosto problematica per una coalizione di governo interessata alle svolte chiare rispetto al passato.

A ciò si aggiunga un'altra debolezza culturale, quella del Ministero della pubblica istruzione che, continuando sulla linea dell’insegnamento dell’educazione civica stabilita dai governi di sinistra, senza fare nessuna svolta significativa come era invece nell’attesa di molti, ed emanando delle linee guida per una “scuola costituzionale” che lasciano a desiderare come quelle del ministro Lucia Azzolina, ha perso un’occasione molto invitante.

Stefano Fontana