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CAMBIAMENTO CLIMATICO

Sanders e i verdi: l'ideologia dell'estinzione volontaria

Bernie Sanders, candidato alle primarie democratiche anche per le prossime elezioni presidenziali americane, ha detto esplicitamente di voler incoraggiare gli aborti per combattere i cambiamenti climatici. Un'idea che punta all'estinzione volontaria dell'uomo, tutt'altro che nuova e sempre più diffusa negli ambienti accademici e nella società

Creato 07_09_2019
Bernie Sanders

Bernie Sanders, candidato alle primarie democratiche anche per le prossime elezioni presidenziali americane (si terranno nel novembre 2020), in un dibattito televisivo ha dato ragione a un’insegnante su una delle questioni più controverse legate ai cambiamenti climatici: fare meno figli per salvare il pianeta Terra. La sua risposta ha fatto scandalo e ha dato il destro ai conservatori per lanciare critiche al vetriolo, contro la retorica anti-umana del senatore democratico. Ma Sanders non è un caso isolato. E’ solo l’ultimo anello di una catena di teorie, consenso accademico, opinione mediatica e infine anche movimenti della società civile che chiedono all’uomo precisamente questo: di ridursi, di farsi da parte, per “salvare il mondo”. Con un ribaltamento di prospettive senza precedenti.

Bernie Sanders, di suo, ha detto poco o nulla di nuovo. E’ invece interessante rileggere la domanda che gli è stata rivolta dalla professoressa Martha Readyoff: “Conferire più diritti alle donne ed educare tutti alla necessità di frenare la crescita della popolazione pare un programma ragionevole da applicare. Lei sarebbe abbastanza coraggioso da discutere su tale questione e renderla un punto fondamentale dei prossimi piani per la lotta alla catastrofe climatica?”. Il candidato democratico alle presidenziali Usa ha risposto essenzialmente: “sono d’accordo”. Ed ha attaccato la Mexico City Policy (introdotta per la prima volta da Reagan nel 1984 e ripristinata dai suoi successori repubblicani, incluso Trump), in base alla quale gli Usa non finanziano attività di promozione dell’aborto all’estero. Sanders l’ha definita “assurda”. Di suo proporrebbe di ripristinare gli aiuti, con fondi pubblici alle attività abortiste “specialmente nei Paesi poveri di tutto il mondo, dove le donne non necessariamente vorrebbero avere un gran numero di figli e dove possono avere l’opportunità, tramite una politica di controllo delle nascite, di contenere il numero dei figli”.

Il senatore repubblicano Ted Cruz, ironizzando sulla disinvoltura con cui Sanders ha, di fatto, perorato la causa di chi vorrebbe ridurre il numero di esseri umani sulla Terra, cita Thanos, il cattivo degli Avangers che, nel fumetto e nel film che ne è tratto, dimezza l’umanità con uno schiocco di dita. “Con una mossa a sorpresa, Sanders ha nominato Thanos suo vice”, ha twittato Cruz. Ancor più forte il commento del deputato Steve Scalise, che sottolinea l’implicita natura obbligatoria della politica voluta dal Democratico: “Bernie Sanders ha detto che i vostri dollari pagati in tasse dovrebbero essere usati per finanziare gli aborti all’estero, per ridurre la popolazione mondiale”. Ben Shapiro, uno dei più seguiti commentatori repubblicani, evidenzia invece la natura implicitamente razzista del ragionamento di Sanders: incoraggerebbe l’aborto di “bambini a gran maggioranza neri”, in Paesi in via di sviluppo.

Tuttavia, Sanders fa suo quel che sta già diventando di dominio comune. L’aspetto della popolazione è ancora considerato controverso ed è il meno dibattuto nel cambiamento climatico (meno delle rinnovabili e delle tasse sull’energia). Tuttavia sta per essere sdoganato del tutto. E’ implicito nel calcolo dell’impronta ecologica, l’indice elaborato dal WWF nel 1999 per calcolare quanto gli uomini (individualmente e collettivamente) consumino risorse, in proporzione a quanto il pianeta può sostenere. Questi calcoli si fanno in relazione al pianeta, non all’uomo che lo abita. Il numero degli abitanti in sé, infatti, si è rivelato non essere un problema insolubile. Ai tempi in cui Paul R. Ehrlich scriveva il catastrofista La bomba demografica (1968) si prevedeva che negli anni in cui stiamo vivendo ora non ci sarebbero già state più risorse. Al contrario, la popolazione è cresciuta da 3 a 7,5 miliardi di persone da allora e la fame nel mondo, anche se tutt’altro che sconfitta, si è notevolmente ridotta, sia in proporzione alla popolazione totale, sia in termini assoluti: da 1 miliardo di sotto-nutriti nel 1991 agli 800 milioni attuali, secondo le statistiche della Fao. Anche in termini di povertà, pur essendo aumentata la popolazione, la Banca Mondiale registra un “calo da record” nel numero dei poveri che vivono con meno di 1,9 dollari al giorno: dal 42,1% nel 1981 al 9,9% del 2015. In estrema sintesi: anche se siamo di più, non viviamo peggio. Ma non è più questo aspetto che interessa: non ci si chiede come stiamo noi (umani), ma come sta il pianeta.

Il nome più evocativo di questa mentalità è quello della comunità internazionale Vhemt, acronimo anglosassone di “Movimento per l’estinzione umana volontaria”. Chi ne fa parte promuove attivamente la sterilizzazione per evitare di fare figli, onde evitare di pesare di più sul pianeta. Il quotidiano Linkiesta, uno dei più attivi sul fronte ecologista in Italia, titolava un suo editoriale del 2017: “Il modo migliore per salvare il clima? Fare meno figli”. “Altro che problema: la crisi demografica è, in realtà, una benedizione. Lo dice uno studio scientifico della svedese Università di Lund (che, per chi non lo sapesse, è molto prestigiosa) che ha monitorato i vari effetti delle attività umane sul cambiamento climatico. Risultato? Meglio fare meno figli. Per essere precisi, uno di meno”. L’articolo de Linkiesta, sempre citando il parere degli accademici svedesi, misura quante "sofferenze" possiamo risparmiare al pianeta: “Secondo gli scienziati per l’ambiente è otto volte meglio adottare «una dieta vegetariana piuttosto che usare lampadine a risparmio energetico». E quattro volte meglio piuttosto che «riciclare». Tanti miti distrutti in poche frasi. E se poi, anziché fare due figli se ne fa uno solo, per l’ambiente è «60 volte meglio piuttosto che essere vegetariani». Addio emissioni”. Sì, e addio umanità aggiungerebbe una qualunque persona dotata di buon senso.

L’attenzione esclusiva alle esigenze del pianeta, invece che a quelle dell’uomo, può cambiare (e in parte sta già cambiando) la formulazione degli stessi diritti umani. Michelle Bachelet, attuale Commissaria per i Diritti umani all’Onu, prima della conferenza sui cambiamenti climatici di Katowice, l’anno scorso, inviava una lettera aperta ai capi di Stato e di governo, ritenendoli responsabili legalmente “nel quadro dei diritti umani per prevenire il cambiamento climatico”. La visione della Bachelet è sostanzialmente la stessa di Greta Thunberg, la giovane testimonial della lotta ai cambiamenti climatici: siamo in emergenza, bisogna agire di conseguenza. La libertà di azione dei governi viene limitata nel nome della causa comune. Bachelet nella sua lettera rende noto che milioni di persone affrontano il pericolo del cambiamento climatico e ha invitato i paesi partecipanti a prendere le misure “più efficaci, appassionate, urgenti e basate sui diritti umani contro i cambiamenti climatici”. Queste misure, inevitabilmente, limitano la libertà economica in diversi suoi aspetti: nella produzione energetica, nel trasporto, nella produzione di beni di consumo. Ma anche gli aspetti della nostra vita quotidiana, a partire dalla nostra dieta, saranno sempre meno liberi.

Come abbiamo già visto nello studio dell’Università di Lund “è otto volte meglio adottare «una dieta vegetariana piuttosto che usare lampadine a risparmio energetico»”. In uno sviluppo grottesco di questa logica, in un simposio a Stoccolma sull’alimentazione, il Gastro Summit, ci si chiede “Il cannibalismo potrebbe essere una soluzione per la sostenibilità ambientale nel futuro?” Invitato a parlare alla conferenza, Magnus Söderlund, ricercatore, esperto di comportamento dei consumatori e marketing, non lo esclude. Fra il serio e il faceto, alla domanda se lui personalmente possa provare a mangiare carne umana, risponde: “sono un po’ in dubbio, ma per non apparire apertamente conservatore… devo dire… sarei disponibile almeno ad assaggiarla”. Perché, dal suo punto di vista, è solo, in sostanza, una questione di abitudini e di tabù. Ma comunque, nel nome della sostenibilità, si dovrebbero sperimentare altre strade. Oggi il cannibalismo sostenibile è solo una provocazione. Un domani, una volta sdoganato anche questo concetto...