San Pietro, la crepa e la roccia
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Il libro di Cristoforo Colombo (Paul Claudel), Fondata sulla roccia. Una storia della Chiesa cattolica (Louis de Wohl), Barabba (Pär Lagerkvist): un dramma, un saggio e un romanzo che ci parlano del primo Papa.
Chi l’ha detto che Cristoforo Colombo navigava solo con mappe e stelle? Nel dramma Il libro di Cristoforo Colombo di Paul Claudel, il vero timoniere spirituale è san Pietro. Sì, proprio lui: il pescatore di Galilea, il primo Papa, il custode delle chiavi del Regno dei Cieli. Claudel lo trasforma in una figura potente e silenziosa, che guida il navigatore verso l’ignoto con la forza della fede.
L’opera, scritta tra il 1927 e il 1930 e musicata da Darius Milhaud, è molto più di una biografia teatrale. È un viaggio metafisico, dove Colombo diventa un apostolo moderno, chiamato a evangelizzare il Nuovo Mondo. E chi meglio di Pietro per accompagnarlo? Non lo vediamo impugnare remi o impartire ordini, ma la sua presenza aleggia come quella di un regista invisibile: è lui che incoraggia, che consola, che conferma la missione.
Nel testo, Pietro non è solo simbolo della Chiesa, ma anche della continuità tra la chiamata di Cristo e quella dei suoi testimoni. Colombo, come Pietro, deve affrontare dubbi, accuse, solitudine. Ma, proprio come il santo, trova nella fede la forza per andare oltre. Claudel lo dipinge come roccia e specchio: roccia su cui poggia la vocazione del protagonista, specchio in cui si riflette il dramma di ogni uomo nel cammino della fede. In un’epoca in cui la letteratura cerca nuovi eroi, Claudel ci ricorda che a volte grande è colui che tiene salda la rotta.
Da pescatore a fondamento della Chiesa
Nel saggio Fondata sulla roccia. Una storia della Chiesa cattolica, Louis de Wohl è categorico: «Mai, in tutta la storia del mondo, a un uomo era stata riconosciuta un’autorità paragonabile». Si riferisce a Pietro, l’apostolo a cui Gesù affida appunto le chiavi del Regno: «Tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli» (Mt 16,19).
Durante la predicazione, Pietro è sempre accanto al Maestro. A volte è parte del gruppo ristretto — con Giacomo e Giovanni — come sul monte Tabor o nel Getsemani. Altre volte è il portavoce degli apostoli. Il suo nome ricorre nei Vangeli più di cento volte: nessun altro discepolo ha una presenza così forte. De Wohl si concentra su uno dei momenti più intensi: l’attesa del processo a Gesù. Pietro è agitato, tormentato. Poco prima aveva promesso di essere pronto a morire per Lui, ma Gesù gli aveva predetto il rinnegamento. E così accade: interrogato tre volte, Pietro nega di conoscere il Nazareno. Il canto del gallo lo risveglia. Scoppia in lacrime.
Non è sotto la croce. Ci sono Maria, Maria Maddalena e Giovanni. Ma Pietro riappare la domenica della Resurrezione. Gesù si mostra prima alla Maddalena, poi a lui, infine agli altri discepoli. Mangia con loro per dimostrare che è davvero risorto. Poi, in Galilea, rinnova la sua scelta: per tre volte chiede a Pietro di pascere il suo gregge.
Gesù resta con i discepoli per alcune settimane. Affida loro la missione di evangelizzare e battezzare nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. E promette: «Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,20). Poi ascende al Cielo, dal monte Oliveto.
Dopo la discesa dello Spirito Santo a Pentecoste, Pietro cambia. L’uomo che aveva avuto paura, ora parla con coraggio. Non è più il pescatore semplice e ignorante: ora ha eloquenza, ispirazione, autorevolezza. Proclama con certezza che Gesù è risorto e «Dio lo ha costituito Signore». Solo nel giorno di Pentecoste, tremila persone chiedono il battesimo.
È l’inizio di una nuova era. Pietro compie il suo primo miracolo: guarisce un mendicante storpio dalla nascita. Così, il pescatore di Galilea diventa pescatore di uomini. E la roccia su cui Cristo ha fondato la sua Chiesa.
Il volto umano del pentimento nel Barabba di Lagerkvist
Nel romanzo Barabba di Pär Lagerkvist, san Pietro non è il pontefice trionfante delle basiliche, ma un uomo ferito, segnato dal rimorso. La sua apparizione è breve, ma lascia il segno: un lampo di verità nel buio esistenziale del protagonista.
Barabba, l’uomo graziato al posto di Gesù, vaga tormentato. Non capisce il senso di quella scelta che gli ha salvato la vita, ma gli ha tolto la pace. In questo pellegrinaggio interiore, incontra Pietro: non un predicatore, ma un testimone. Non impone, non proclama. Parla con la voce di chi ha conosciuto la caduta e ha assaporato la redenzione. Pietro racconta il suo rinnegamento con una semplicità disarmante. È il primo cristiano che Barabba incontra. Non lo converte, ma lo scuote. Due uomini, entrambi spettatori della croce, si trovano faccia a faccia. E in quell’incontro, Barabba intravede — forse per la prima volta — che il sacrificio di Cristo potrebbe riguardare anche lui.
Ma non basta. Barabba cerca un Messia diverso: un liberatore politico, un salvatore del popolo ebraico. A Roma, tra le fiamme dell’incendio e le voci che accusano i cristiani, decide di agire. Vuole distruggere Roma, convinto di servire il Signore. Finisce in carcere, solo, e scopre di aver contribuito all’accusa contro uomini e donne che professano la loro innocenza. Ancora una volta, Barabba è isolato. In cella, rivede Pietro: vecchio, venerando, triste. Il discepolo non lo rimprovera, ma lo guarda con dolore. Barabba ha frainteso: ha cercato la giustizia nel fuoco, non ha capito che il Signore è solo Amore. Nei giorni che precedono il supplizio, Barabba ripensa a tutto: a Gesù, alla promessa della vita eterna, alla sua esistenza tormentata. E quando arriva il momento della crocifissione, non urla, non si ribella. Prima di esalare l’ultimo respiro, mormora: «A Te raccomando l’anima mia». Un finale che non è una conversione spettacolare, ma un sussurro di speranza. Un uomo che ha cercato, sbagliato, sofferto e che, alla fine, ha intravisto il volto dell’Amore.
Un uomo che ha tremato e ha creduto
San Pietro non è solo un nome scolpito nella pietra della Chiesa. È un volto che attraversa i secoli, una voce che vibra tra le pagine della Bibbia, i versi di Dante, le scene di Claudel, le ombre di Lagerkvist. È l’uomo che ha tremato per paura e che ha rinnegato per paura, che ha pianto per amore e che ha creduto, nonostante tutto. Ogni autore lo ha visto da una prospettiva diversa. Pietro è la Chiesa, ma è anche l’uomo. È la roccia, ma è anche la crepa. È il custode delle chiavi, ma pure colui che, anche se per breve tempo, ha perso la strada. E forse è proprio questa la sua forza: è un uomo vero. E per questo ci guida. Non perché non abbia sbagliato, ma perché ha saputo rialzarsi. Non perché abbia sempre capito, ma perché ha sempre cercato. Non perché abbia comandato, ma perché ha amato.
In ogni epoca, in ogni parola, san Pietro ci ricorda che la fede è un cammino. E che anche chi ha tradito può diventare fondamento. Perché la grazia non sceglie i migliori, ma chiede solo la nostra disponibilità. E Pietro, con le sue mani callose e il cuore spezzato, ha detto sì.
San Pietro, l’uomo delle chiavi e delle cadute
Il primo Papa nei versi danteschi ci ricorda che la fede è cammino e che la grazia non sceglie i migliori. Ecco perché il pescatore di Galilea fu scelto da Gesù a fondamento della Chiesa.

