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PAPA FRANCESCO

San Pietro Favre e il desiderio di Dio

Messa di ringraziamento di Papa Francesco per la canonizzazione di Pietro Favre (1506-1546), il primo sacerdote gesuita. I gesuiti sono devoti al Sacro Cuore, ma non si tratta di una devozione sentimentale o facile.

Ecclesia 04_01_2014
Papa Francesco

Il 3 gennaio Papa Francesco ha presieduto la Messa nella Chiesa del Gesù di Roma, intendendo così ringraziare il Signore per l’iscrizione al catalogo dei Santi, il 17 dicembre scorso, di Pietro Favre (1506-1546), il primo sacerdote gesuita. Dalla spiritualità del nuovo santo, a lui carissimo, il Papa ha tratto una profonda riflessione sul desiderio di Dio, la chiave che apre la porta della spiritualità cristiana e l'anima di ogni apostolato cordiale ed efficace.

Nell’omelia Francesco è partito dall'espressione di san Paolo: «Abbiate gli stessi sentimenti di Cristo Gesù: egli pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo» (Fil 2, 5-7). Questa consegna di san Paolo, ha detto il Papa, è il cuore del carisma dei gesuiti: «vogliamo essere insigniti del nome di Gesù, militare sotto il vessillo della sua Croce, e questo significa: avere gli stessi sentimenti di Cristo. Significa pensare come Lui, voler bene come Lui, vedere come Lui, camminare come Lui. Significa fare ciò che ha fatto Lui e con i suoi stessi sentimenti, con i sentimenti del suo Cuore».

I gesuiti sono devoti al Sacro Cuore, ma non si tratta di un devozione sentimentale o facile. «Il cuore di Cristo è il cuore di un Dio che, per amore, si è "svuotato". Ognuno di noi, gesuiti, che segue Gesù dovrebbe essere disposto a svuotare se stesso». È una vocazione profondamente ecclesiale. «Essere uomini che non devono vivere centrati su se stessi perché il centro della Compagnia è Cristo e la sua Chiesa. E Dio è il "Deus semper maior", il Dio che ci sorprende sempre. E se il Dio delle sorprese non è al centro, la Compagnia si disorienta». Il gesuita è inquieto, ma «perché pensa sempre guardando l’orizzonte che è la gloria di Dio sempre maggiore, che ci sorprende senza sosta. E questa è l’inquietudine della nostra voragine. Quella santa e bella inquietudine!».

Se perde questa inquietudine, o la converte in inquietudine mondana, il gesuita si smarrisce. «Possiamo chiederci se il nostro cuore ha conservato l’inquietudine della ricerca o se invece si è atrofizzato; se il nostro cuore è sempre in tensione: un cuore che non si adagia, non si chiude in se stesso, ma che batte il ritmo di un cammino da compiere insieme a tutto il popolo fedele di Dio. Bisogna cercare Dio per trovarlo, e trovarlo per cercarlo ancora e sempre». Di qui nasce anche l'apostolato. «Solo questa inquietudine dà pace al cuore di un gesuita, una inquietudine anche apostolica, non ci deve far stancare di annunciare il kerygma, di evangelizzare con coraggio. È l’inquietudine che ci prepara a ricevere il dono della fecondità apostolica. Senza inquietudine siamo sterili».

San Pietro Favre, ha detto il Papa, era «uomo di grandi desideri, un altro Daniele». Tuttavia, «era pure uno spirito inquieto, indeciso, mai soddisfatto». Quando ha incontrato sant’Ignazio (1491-1556), «ha imparato a unire la sua sensibilità irrequieta ma anche dolce e direi squisita, con la capacità di prendere decisioni». Per Favre, «è proprio quando si propongono cose difficili che si manifesta il vero spirito che muove all’azione (cfr Memoriale, 301)». Al solito, il Papa propone un esame di coscienza: «abbiamo anche noi grandi visioni e slancio? Siamo anche noi audaci? Il nostro sogno vola alto? Lo zelo ci divora (cfr Sal 69,10)? Oppure siamo mediocri e ci accontentiamo delle nostre programmazioni apostoliche da laboratorio?».

«Ricordiamolo sempre - ha proseguito il Pontefice - la forza della Chiesa non abita in se stessa e nella sua capacità organizzativa, ma si nasconde nelle acque profonde di Dio». Torna il tema di Favre come uomo di desiderio: «queste acque agitano i nostri desideri e i desideri allargano il cuore». Il Papa cita sant'Agostino (354-430): «Pregare per desiderare e desiderare per allargare il cuore». «Proprio nei desideri Favre poteva discernere la voce di Dio. Senza desideri non si va da nessuna parte ed è per questo che bisogna offrire i propri desideri al Signore. Nelle Costituzioni [gesuite] si dice che "si aiuta il prossimo con i desideri presentati a Dio nostro Signore"».

Desiderio per il cristiano significa sempre in ultimo desiderio di Dio. «Favre aveva il vero e profondo desiderio di "essere dilatato in Dio": era completamente centrato in Dio». Da qui veniva il suo zelo e la sua capacità di annunciare il Vangelo, presentandolo senza facili «bastonate inquisitorie, di condanna», una tentazione che talora - ha detto Francesco - assale anche noi, ma con una «dolcezza» che lo rendeva amabile perché si percepiva come fosse radicata in una profonda vita interiore. «La sua familiarità con Dio lo portava a capire che l’esperienza interiore e la vita apostolica vanno sempre insieme. Scrive nel suo Memoriale che il primo movimento del cuore deve essere quello di "desiderare ciò che è essenziale e originario, cioè che il primo posto sia lasciato alla sollecitudine perfetta di trovare Dio nostro Signore"».

Favre vive con il desiderio costante di «lasciare che Cristo occupi il centro del cuore». Di lui si diceva: «pare che sia nato per non stare fermo da nessuna parte», perché «era divorato dall’intenso desiderio di comunicare il Signore». Questa è la vera lezione del nuovo santo per noi. «Se noi non abbiamo il suo stesso desiderio, allora abbiamo bisogno di soffermarci in preghiera e, con fervore silenzioso, chiedere al Signore, per intercessione del nostro fratello Pietro, che torni ad affascinarci».

Siamo gesuiti, ha detto il Papa ai suoi confratelli - ma vale anche per tutti noi -, «vogliamo militare sotto il vessillo della Croce nella Compagnia insignita del nome di Gesù. Noi che siamo egoisti, vogliamo tuttavia vivere una vita agitata da grandi desideri», ascoltare Pietro Favre quando ci esorta: «non cerchiamo mai in questa vita un nome che non si riallacci a quello di Gesù (Memoriale, 205)». E il nome che più si riallaccia a quello di Gesù, ha concluso il Pontefice, è quello della Madonna.